martedì 30 novembre 2021

La nobile Camilla Maccafani da Pereto, moglie dello scurcolano Stefano Bontempi


L'immagine che apre questo post ritrae lo stemma dei Maccafani, antichissima e nobile famiglia di Pereto che, nel corso dei secoli, ha rivestito, attraverso diversi suoi rappresentanti, ruoli rilevanti nella società marsicana, abruzzese e non solo. Molti Maccafani furono Vescovi, altri furono abati, sacerdoti e rettori di chiese e abbazie. La vita di una Maccafani, ossia Camilla, vissuta tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento, coinvolge anche Scurcola poiché, come risulta da diversi documenti, Camilla Maccafani andò in moglie a Stefano Bontempi. Camilla era figlia di Lattanzio Maccafani di Pereto a sua volta figlio di Alessandro, fratello maggiore di Giorgio Maccafani il quale, oltre a svariati incarichi ecclesiastici, fu anche vescovo di Orte e Civita Castellana, dal 1498 al 1501, e poi vescovo di Sarno, dal 1501 fino al 1516, anno della sua morte. Mons. Giorgio Maccafani, dunque, era prozio (fratello del nonno Alessandro) di Camilla.

Lapide sepolcrale del vescovo Angelo Maccafani (m. 1470)
Macerata

La data di nascita di Camilla non è nota, ma è certo che ebbe diversi fratelli e sorelle: Alessandro, che fu rettore della chiesa di San Silvestro in Pereto, Giorgio, che fu abate di San Silvestro sempre a Pereto, e poi Antonio, Cleria, Costanza, Diana e Teresa. Secondo quanto scrive Massimo Basilici [1], studioso della storia di Pereto e autore di vari testi legati alla storia dei Maccafani, "con i figli di Lattanzio si estinse questo ramo dei discendenti della famiglia Maccafani [...] All'epoca in cui sono vissute Cleria e Camilla, la famiglia Maccafani, conosciuta per aver dato i natali a vari vescovi in diversi diocesi italiane, era in declino". Era abituale, per l'epoca, avere una scarsa considerazione delle figlie femmine, per loro poteva prospettarsi, al massimo, un matrimonio di convenienza con personaggi di qualche prestigio e, si può immaginare, che Camilla Maccafani non fece eccezione.

Stemma Maccafani a Cese di Avezzano

Come attesta lo stesso Corsignani [2] Camilla fu "consorte" di Stefano Bontempi, il quale "fiorì nel fine dell'anno 1500". Alla fine del Cinquecento, come ho già scritto, nel trascorrere della storia di Scurcola, è possibile rimarcare la morte e la tumulazione di Giovan Cesare Bontempi, scomparso il 14 ottobre 1584 a 64 anni, presso la nostra Chiesa di Sant'Antonio. I figli di Giovan Cesare, come si legge sulla lapide ancora presente in chiesa, si chiamavano Giovanni Battista, Federico e Marcello per cui Stefano potrebbe essere, semplicemente, un altro esponente della famiglia Bontempi: forse uno dei nipoti di Giovan Cesare?

Lapide funebre di Giovan Cesare Bontempi
Chiesa di S. Antonio a Scurcola

Dal fondamentale testo di Basilici si ricavano notizie interessanti su Camilla. In primis che "Donna" (titolo attribuito a chi aveva nobili origini) Camilla Maccafani era matrigna di Odorisio Bontempi. Ciò lascia intuire che Stefano Bontempi, prima di sposare Camilla, deve aver avuto una prima moglie (probabilmente era vedevo) dalla quale ha avuto almeno un figlio, Odorisio per l'appunto. In un atto risalente al 1616, oggi perduto e poi richiamato in un successivo atto del 26 settembre 1619 del notaio Capodoro Ottaviani [3], si ricava che il dottor Odorisio Bontempi e la sua matrigna Donna Camilla Maccafani "assegnarono alla cappella della Pietà, esistente nella chiesa di Sant'Antonio in Scurcola, 175 ducati, inoltre assegnarono 70 ducati da spendersi per la costruzione di detta cappella con l'obbligo di 3 messe la settimana" [4].

Interno attuale della Chiesa di S. Antonio

Dall'atto più tardo, quello del settembre 1619, si ricava che Odorisio Bontempi si premurò di far celebrare una messa presso la "cappella dello Spasimo" o "della SS. Trinità" (la stessa citata nella targa funebre del 1584 di Giovan Cesare Bontempi) nel giorno dell'anniversario della morte della matrigna Camilla Maccafani la quale, evidentemente, nel 1619 doveva essere già defunta. Rispetto alle donazioni dei Maccafani alla Chiesa di S. Antonio di Scurcola e ai frati minori che vivevano nel convento annesso alla Chiesa, si può rilevare che anche la sorella di Camilla, ossia Donna Cleria Maccafani, moglie di Fabrizio de Amicis di Tagliacozzo, il "28 febbraio 1613 assegnò alla cappella dello Spasimo, esistente nella chiesa di Sant'Antonio in Scurcola, 5 ducati annui" [5]. Evidentemente il legame tra le due sorelle Maccafani rimase saldo per tutta la vita tanto che Cleria scelse di compiere delle donazioni a favore della cappella legata alla famiglia di Stefano Bontempi, marito di Camilla. Mi sembra interessante sottolineare come, al tempo, due donne nobili ed evidentemente anche benestanti, potessero decidere della gestione del loro denaro, atto che era del tutto precluso alle donne comuni.


Note:
[1] Massimo Basilici, "Cleria e Camilla Maccafani", Roma, 2010.
[2] Pietro Antonio Corsignani, "Reggia marsicana", Vol. II, Parrino, Napoli, 1738, p. 485.
[3] Archivio della Diocesi dei Marsi, B/25/74, foglio 5.
[4] Basilici, op. cit., p. 9.
[5] Basilici, op. cit., p. 3.



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giovedì 25 novembre 2021

La chiesa di Sant'Egidio di Scurcola in una fotografia di fine Ottocento di Camille Enlart


La splendida e, a quanto mi risulta, finora sconosciuta fotografia della chiesa di Sant'Egidio di Scurcola Marsicana di cui sto scrivendo dovrebbe risalire agli anni 1890/1893. È questo il periodo in cui il suo autore, l'archeologo, storico dell'arte e fotografo francese Camille Enlart si trovava in Italia per realizzare gli scatti che poco più tardi (nel 1894) lo aiuteranno nella redazione del libro "Origines françaises de l'architecture gothique en Italie". Enlart, dunque, è stato a Scurcola e ha osservato e immortalato gli elementi riferibili all'architettura gotica utili alla sua ricerca. Elementi che, come ormai tutti abbiamo imparato, provenivano dalla diruta Abbazia di Maria SS della Vittoria fatta edificare da Carlo I d'Angiò dopo la vittoria su Corradino di Svevia.

Camille Enlart

La struttura originaria della chiesa di Sant'Egidio venne realizzata dai benedettini e risale ai primi dell'XI secolo. Con il trascorrere dei secoli, l'edificio sacro più antico che possediamo a Scurcola, ha subito importanti rifacimenti. La fotografia di Enlart ci mostra una chiesa abbastanza diversa da come la conosciamo. Alla fine dell'Ottocento essa manteneva una struttura probabilmente più vicina all'originale anche se, a ben guardare, i fori presenti sulla parete laterale fanno intendere che lì erano ancorati elementi di un tetto andato perduto: la chiesa possedeva due navate laterali. Una di esse si nota, con un po' di attenzione, sul lato sinistro della chiesa.

Traccia della navata laterale (oggi perduta)

Un altro dettaglio interessante rilevabile da questa splendida immagine è costituito dal portale. Quello che oggi vediamo sulla facciata della chiesa, vale a dire l'attuale ingresso, si trovava al tempo sulla parete laterale dell'edificio sacro. Sono molti a ritenere che il raffinato portale, decorato da colonne tortili e preziosi capitelli, provenga dall'Abbazia angioina e penso di poter affermare con discreta sicurezza che anche Camille Enlart avesse rilevato tale dettaglio.

Il portale dov'era e dov'è

Il terremoto del 1904 ha procurato delle lesioni importanti alla chiesa ma i danni più ingenti sono quelli causati dal terremoto del 1915. La chiesa di Sant'Egidio è rimasta per alcuni decenni in uno stato di fatiscenza e di abbandono. Sarà rimessa in piedi solo a partire dal 1967 e verrà riaperta al culto nel 1971. Osservando l'edificio sacro prima dei due violenti terremoti si comprende che, a un certo punto, durante le fasi di ricostruzione, la struttura posta sul retro, che al tempo di Enlart aveva dimensioni piuttosto ridotte, è stata estesa e ampliata fino a coprire una buona parte della parete, tanto che delle quattro antiche monofore presenti, oggi ne resta solo una.

La chiesa di Sant'Egidio oggi

Nella fotografia storica della chiesa di Sant'Egidio si possono notare altri piccoli ma significativi dettagli: il tetto appare in pessimo stato; il vecchio portale d'ingresso deve essere andato distrutto durante i terremoti perché oggi non se ne conserva alcuna traccia; di fronte alla chiesa dovevano trovarsi degli alberi che il fotografo non ha potuto evitare di fotografare; accanto alla chiesa sono "parcheggiati" due carretti e, ovviamente, dall'altro lato si vedono solo dei campi, non esistevano edifici né strade.


Crediti per la fotografia di Camille Enlart: © Ministère de la Culture (France), Médiathèque de l'architecture et du patrimoine, diffusion RMN-GP.



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sabato 20 novembre 2021

La piazza di Scurcola Marsicana: com'era, com'è


La piazza di Scurcola Marsicana, nel tempo, ha subito numerosi mutamenti, soprattutto di natura "estetica". Lo slargo che oggi, dotato di pavimentazione e circondato da tigli e panchine, chiamiamo "piazza" è stato molto diverso da come lo vediamo attualmente. Una delle variazioni più rilevanti è stato il mutamento di nome: da piazza Vetoli è divenuta, ed è ancora, piazza Risorgimento. Piazza Vetoli, come intuibile, derivava il suo nome dalla nobile famiglia il cui bel palazzo affaccia sulla piazza.

La piazza oggi

Per molti anni quest'area di Scurcola non ha avuto alcuna pavimentazione, come si vede chiaramente da varie fotografie risalenti all'inizio del Novecento. In un angolo della piazza, come ho già scritto qualche tempo fa, nel 1888, venne installata la Fontana della Venere che per alcuni decenni servì acqua potabile a molti scurcolani. Oggi la statua in ghisa, realizzata dalla prestigiosa fonderia francese Val d'Osne, ha praticamente perso l'originario uso di fontana e, nel 1974, è stata spostata nel piazzale "della Venere", dietro al vecchio edificio scolastico.

La piazza com'era (coi giardini)

Per tanto tempo la piazza ha rappresentato una sorta di "confine" estremo del paese che non aveva ancora trovato la sua estensione nella parte più bassa e pianeggiante. Piazza Vetoli, divenuta poi Piazza Risorgimento, potrebbe essere considerata la piazza più recente di Scurcola visto che altri spazi con funzione di "piazza" esistevano già: piazzetta Orlandi, piazza Zenobia Bontempi, piazza dell'Oca (poi denominata piazza Umberto I), piazza del Mercato, piazza S. Egidio (Garibaldi) ma si trovavano, e si trovano, nella parte più interna e antica del paese. Uno dei lati della nostra piazza è delimitato, come sappiamo, dal percorso della Strada Statale n. 5 Tiburtina Valeria, quella che ancora molti, oggi, continuano a chiamare la "via gnova" (la via nuova) proprio perché considerata una novità rispetto alla strada carraia percorsa abitualmente per tanto tempo.

Pannello ideato da Enzo Colucci

Qualche tempo fa l'amico Enzo Colucci ebbe l'idea di realizzare un pannello da installare (e mai installato) più o meno di fronte alla nostra piazza, quindi poco oltre il Monumento ai Caduti, con alcune vecchie fotografie della piazza di Scurcola scattate verosimilmente da Vittorio Bontempi agli inizi del XX secolo e messe a sua disposizione dal discendente Stefano Bontempi. L'intento di Enzo era quello di porre gli scurcolani (e i non scurcolani di passaggio) di fronte a una storia visiva/fotografica degli spazi della piazza, accompagnata da brevi didascalie. Osservare la piazza oggi e, nel contempo, vederla com'era più di un secolo fa con la Venere al suo posto, gli spazi ancora indefiniti, gli edifici con il loro aspetto originario e persino un custode di porci con i suoi animali al seguito.




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lunedì 15 novembre 2021

L'Angelo custode, il bel dipinto del 1641 custodito a Scurcola


La figura dell'Angelo custode, a Scurcola, riconduce quasi sempre all'intitolazione della splendida e antica Cappella presente all'interno della Chiesa della SS. Trinità, affrescata da Angelo Guerra da Anagni nel lontano 1604. Ma oltre alla "Cappella dell'Angelo custode", nel nostro paese, esiste anche un'altra opera che richiama questa specifica figura della tradizione cristiana, un dipinto che pochissimi conoscono e di cui pochissimo si è parlato. La tela dell'Angelo custode riporta la data del 1641, purtroppo non si conosce il nome dell'artista che l'ha realizzata. Secondo quanto scrive la dott.ssa Maria Pia Fina nel suo saggio sui beni ecclesiastici della nostra parrocchia [1], l'opera si trovava nella sagrestia della piccola Chiesa dell'Immacolata Concezione. Ho fatto di recente visita alla sagrestia ma la tela non è più qui, forse è stata spostata altrove per proteggerla ed evitare che venisse danneggiata o rubata.

Il bel volto dell'Angelo e le sue ali piumate

La raffigurazione pittorica dell'Angelo custode rientra nei classici canoni dell'iconografia cattolica: la grande figura alata, che qui è dotata di meravigliose ali piumate, sorregge e conduce un bambino indicando qualcosa di "superiore" (che a noi non è visibile) con l'indice della mano sinistra. L'angelo indossa abiti svolazzanti di colore rosso e blu e, dettaglio che mi ha colpito immediatamente, porta dei calzari di fattura elegantissima. La figura dell'Angelo custode e quella del bimbo sembrano quasi sollevarsi da terra, trasmettendo una sensazione di levità e di estrema delicatezza. Secondo i testi sacri, l'angelo custode è colui che Dio ha posto accanto a ogni essere umano: il bambino del dipinto incarna proprio l'individuo-uomo che, nella sua ingenuità, ha bisogno della guida di un essere celeste che sa custodirlo, quindi salvaguardarlo e vigilarlo, per amore divino.

I raffinati calzari dell'Angelo

Grazie all'archivio digitale BeWeb (Portale dei beni culturali ecclesiastici), ho potuto conoscere un altro elemento di estremo interesse dell'opera in questione. Si tratta di un'iscrizione posizionata nella parte in basso a sinistra, sotto la mano del bambino che, purtroppo, si legge solo in parte: "ANGELO DE DIO CUSTODE ANIMA IN VITA ETERNA [...] ET VIRGINIA VISARDI SUA MOGLIE HANNO FATTO FARE QUESTA OPERA PER LORO DEVOTIONE ANNO 1641". Importante la datazione ma, a mio avviso, ancora più importante il nome della committente: Virginia Visardi. Il nome dei Visardi, come ho già scritto diverso tempo fa, non è particolarmente ricordato a Scurcola, eppure Marco Antonio Visardi e Giovanni Pietro Visardi hanno lasciato le loro "firme" ben visibili. Dove? Proprio nella Cappella dell'Angelo custode sopra menzionata. Un caso? A questo punto non credo.

Il nome di Marco Antonio Visardi
(Cappella dell'Angelo Custode di Scurcola)

Come ho ipotizzato in precedenza, propendo nel sostenere che la Cappella dell'Angelo custode di Scurcola, affrescata da Angelo Guerra di Anagni ai primi del Seicento, sia stata commissionata da Marco Antonio Visardi, come si evince dall'iscrizione "Marco Antonio Visardi fieri fecit", vale a dire "Marco Antonio Visardi fece fare", posta sulla parete destra della Cappella. La devozione dei Visardi nei riguardi dell'Angelo custode è confermata anche dal bellissimo dipinto che ho appena descritto, commissionato da Virginia Visardi e da suo marito di cui, purtroppo, al momento, non si riesce a decifrare il nome a causa delle cattive condizioni in cui versa la superficie, olio su tela, del quadro. Un'opera devozionale che, immagino, potrebbe essere stata collocata nella piccola Chiesa dell'Immacolata Concezione in periodi successivi alla sua esecuzione che, come più volte sottolineato, avvenne nel 1641 ossia dopo soli 37 anni rispetto alla creazione degli affreschi della Cappella dell'Angelo custode.


Note
[1] Maria Pia Fina, "I beni ecclesiastici della parrocchia di Scurcola Marsicana", in "Scurcola Marsicana Monumenta", Comune di Scurcola Marsicana, 2006, p. 162, 169.




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mercoledì 10 novembre 2021

La bottega di Lodovico (ricordo d'infanzia)


Questo non è un post, tanto vale confessarlo da subito. Questo è un racconto emozionale, e vagamente nostalgico, di una piccola parte della mia vita. Userò nomignoli e soprannomi, riferimenti a persone che ho vissuto e amato e che, in parte, non ci sono più, purtroppo. Ognuna di loro è entrata nella mia esistenza e ne conserverò memoria, inevitabilmente. La mia mente torna al tempo in cui, con la mia famiglia, abitavo in una casa all'ingresso di Scurcola, accanto all'ex caserma dei Carabinieri, proprio di fronte alla piazzetta di Sant'Egidio. Lì ho trascorso la mia infanzia e da lì, quando necessario, dopo aver attraversato la statale, con le raccomandazioni di mia madre Maria Teresa bene in mente, andavo a fare la spesa da Lodovico.

La bottega di Lodovico nel 2008 (già rinnovata)

Parlare di Lodovico agli scurcolani vuol dire sfiorare un'autentica "istituzione". Lodovico ha visto passare, nella sua bottega, diverse generazioni, compresa la mia. D'estate si entrava dopo aver scansato i fili di una tenda, magari trovando decine di persone (i "romani") in attesa, d'inverno si entrava e basta. Se si voleva il prosciutto tagliato a mano, era meglio passare di pomeriggio. Se si voleva il baccalà ammorbidito, era meglio ordinarlo prima. Se si voleva il tonno fresco, era meglio portarsi un contenitore. Se si voleva assistere a uno spettacolo straordinario, era meglio passare quando Lodovico doveva tagliare la grande forma di Grana (e io ho assistito più di una volta!).

Giovannina e Lodovico al bancone (2010)

Negli ultimi anni la bottega aveva assunto un aspetto più moderno (imposto per legge) ma sono nata in tempo per ricordarla com'era: senza frigo (ma con la dispensa nella roccia), con l'affettatrice a mano, la bilancia con i piatti, i conti fatti su foglietti volanti, gli scaffali consumati e l'odore che era un misto di stoccafisso, detersivo, pane fresco e mortadella appena affettata. Ricordo benissimo il pane e la pizza di Toto e ricordo altrettanto bene le sfuriate che, nemmeno troppo di rado, avvenivano (spesso per inezie) tra Lodovico e la cognata Giovannina (moglie di Antonio - Toto Ansini). Tre persone a cui voglio ancora molto bene e alle quali rimarrò affezionata per sempre, come tutti.

Lodovico e il prosciutto (2003)

Andare da Lodovico, spesso, voleva dire passarci un'ora: tanta gente, calma serafica, coltelli consumati e una precisione difficile da emulare. Da piccola ci trovavo le donne del circondario, e non solo. Seduta sulla cassetta di legno, a destra dell'ingresso, spesso c'era Rosina (deglio Furbitto). Perla passava a tutta velocità, s'infilava a lato del bancone e lasciava la sua lista. Maria (de Cettona), con la sua borsa di paglia, arrivava di fretta per prendere ogni mattina una pagnotta, mezza pizza e mortadella. Poi c'erano: zia Elide, Elsa, Lorenza, Mina, Palmira, Silvana Fortuna, Mariuccia (de Catorcio), Ninetta e Fernanda (da via del Tratturo), Agnesina, zia Berardina, Marina, Bettina, Italia, Secondina, Santarella, Arnalda, Norma, Teresa (della Gobbetta), Titina ed Edelia, Rita, Annina, Silvia, AngelinaMarietta (de Capoccio), Lucietta, Nannina, Carmela, Annona, Lilletta, Crocetta, Maria Villa, Rosina (de Marietta 'e Rita), Emilia, Nazzarena, Fiorenza, Marcella, Nazzarena (de Cipollitto), Antonina, Concetta (de Mamma Santa), Tonina, Elvira, Regina, Vincenza, Bianca, Annina (de Sarchione), Giulietta (deglio Moghetto) e tante altre. Casalinghe e madri, per lo più. Un viavai di persone che lì, da Lodovico, oltre ai prodotti buoni trovavano un po' di tempo per chiacchierare e incontrarsi.

Lodovico e il cartoccio del parmigiano (2003)

Lodovico ha lavorato fin da bambino, iniziando con suo padre Lorenzino. Ho ascoltato decine di volte i suoi racconti sulla povertà di tempi lontani e su come non buttare via niente: l'osso del prosciutto per i fagioli, la buccia del parmigiano per la minestra, il pane secco per il latte. Ricordo che, una volta, gli chiesi se avesse le sottilette. Mi guardò inorridito e anche un po' schifato dicendomi che avrei fatto meglio a mangiare altro. Dopo qualche anno, però, sui suoi scaffali le sottilette ci erano finite lo stesso, insieme a wurstel, maionese e corn flakes. Ancora oggi ripenso con gusto alle "rosette" di Toto col tonno fresco, quello che Lodovico tirava fuori (solo il venerdì) da una grande scatola tonda col solito cucchiaio. Ricordo la bagnarola in cui metteva a mollo lo stoccafisso, ricordo il suo baschetto, i suoi giri in bicicletta, le sue partite a carte, il suo cappotto lungo e le sue mani nodose che, con rara maestria, creavano cartocci e affettavano prosciutti.

Lodovico in bicicletta (2005)

Sono sicura che ogni scurcolano conserva i suoi ricordi e i suoi aneddoti personali legati a Lodovico, alla sua bottega, ai suoi prodotti e alle sue piccole abitudini o manie quotidiane. Non potrebbe essere altrimenti. Questo accade quando una persona, con la sua presenza e col suo mestiere, riesce a distinguersi dagli altri, a divenire punto di riferimento per un paese intero e a farlo per decenni. La perdita di Lodovico, avvenuta ormai da diversi anni, ha generato un vuoto importante. Ogni volta che passo di fronte alla porta chiusa della sua bottega (perché di bottega si tratta) avverto sempre un po' di malinconia. Magari un giorno quel piccolo spazio potrebbe tornare a vivere e forse a Lodovico, Giovannina e Toto farebbe piacere. Chissà.

***

Ringrazio con tutto il cuore Nazzareno (Zeno) Falcone che ha messo a mia disposizione una parte delle fotografie che ha dedicato, negli anni, a Lodovico Ansini. Senza il supporto di Zeno, alla sua attenzione e alla pazienza che ha avuto nel recuperare il materiale dal suo archivio di immagini, non avrei potuto raccontare questa storia alla quale, come forse si intuisce, tengo particolarmente.



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venerdì 5 novembre 2021

Liberaci da terremoto, peste, fame e guerra: l'invocazione incisa su una campana di Scurcola


Consultando le pagine di BeWeB, il Portale dei beni culturali ecclesiastici, sono incappata in una scheda relativa a una campana che, per deduzione, dovrebbe trovarsi sul campanile della chiesa di Maria SS della Vittoria, in cima al paese. A questo campanile, diverso tempo fa, ho dedicato un post in cui ho descritto quanto avvenne nell'estate del 1958: un fulmine colpì e danneggiò pesantemente il tetto che fu poi ricostruito in uno stile diverso rispetto all'originale. Purtroppo non sono mai salita lassù e non ho potuto verificare di persona, ma ritengo che le informazioni rintracciate sul sito dei beni culturali ecclesiastici siano serie e affidabili.

La campana è realizzata in bronzo fuso e riporta delle parole incise nel metallo. Le prime si trovano sulla parte alta e recitano: "Flagello terremotus libera nos Domine + a peste fame et bello..." ossia "Liberaci Signore dal flagello del terremoto, della peste, della fame e della guerra". Un'invocazione molto precisa e molto commovente, a mio avviso. La campana riporta anche una data: 1922. È del tutto comprensibile il bisogno degli scurcolani del tempo di essere liberati dal terremoto (quello del 1915 aveva devastato l'intera Marsica), dalla peste (Scurcola era stata colpita da un'epidemia di colera nel 1854/55), dalla fame (una dei motivi di sofferenza cronica soprattutto dei più poveri), dalla guerra (la Prima Guerra Mondiale si era conclusa solo da pochi anni).

Il campanile della chiesa di Maria SS della Vittoria

Nella parte inferiore della campana, che risulta decorata anche da fasce perlinate e meandri, è presente un'altra iscrizione: "O Maria Vittoria saluta con festosi tuoi rintocchi il bel cielo di Italia scuoti gli animi turbolenti ridona la pace perduta la cittadinanza scurcolese A cura del regio cappellano Ernesto canonico Ansini la fece rifondere dalla ditta CAV. MARI E NIPOTE IN TORRE DE PASSERI 1922". Parole che suonano come una preghiera ma anche come memoria. La campana, coi suoi rintocchi, può tramutarsi in un saluto al cielo e diviene una supplica alla Madonna affinché restituisca la "pace perduta" a tutti gli "scurcolesi". Il sacerdote che fece realizzare la campana, in un certo senso, firma anche l'opera: regio cappellano Ernesto Ansini.

Un altro elemento interessante è l'esplicito richiamo al nome della fonderia che realizzò la nostra campana: "Cavalier Mari e nipote di Torre de' Passari". Mari: stiamo parlando di una delle famiglie di fonditori di campane più antiche e prestigiose d'Abruzzo. Dovremmo essere molto orgogliosi di avere una campana Mari a Scurcola. I Mari sono originari della città dell'Aquila ma, nei secoli, si sono spostati in diverse altre località, tra cui Torre de' Passeri, in provincia di Pescara. Le loro campane sono presenti anche in Emilia-Romagna, Marche, Umbria e Lazio. In un testo [1] dedicato all'argomento si legge: "La nascita artistica della fonderia Mari viene fatta risalire al 1019 secondo un documento redatto dai Padri Cappuccini di Ortona e secondo una carta campanaria di pelle di pecora. Altre fonti citano il ritrovamento di una campana in Popoli (PE) fusa nel 1200 da Aloysius Mari".



Note:
[1] Giovanna Petrella, "La fusione delle campane in Abruzzo e Molise alla luce delle fonti storico-archivistiche e delle iscrizioni campanarie", in: "Dal fuoco all'aria. Tecniche, significati e prassi nell'uso delle campane", Ospedaletto, Pisa, 2007, p. 301-324.



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