martedì 27 ottobre 2020

Borgo Pio di Perla, Ancizia e Lillida


Ve la ricordate Perla? Non serve specificare chi sia Perla perché, a Scurcola, ce ne era una sola: Perla di Borgo Pio. Me la ricordo anche io Perla. Me la ricordo perché ho vissuto la mia infanzia proprio a Borgo Pio, piccolo angolo di paese sorto nei pressi della Chiesa di Sant'Egidio, una tra le più antiche di Scurcola e, ai tempi del suo massimo splendore, molto più grande e composita di quella che vediamo oggi. Ma di questo parlerò a tempo debito, ora torno a Perla. Una donna piccola, con gli occhi svegli e i capelli ben tirati dietro la testa a formare uno chignon. Ricordo di Perla i suoi passi svelti, la sua voce sottile, il suo arrivare di corsa nella bottega di Lodovico per ordinare ciò che le sarebbe servito per cucinare. La fama dei suoi piatti, soprattutto delle sue "Fettuccine alla Perla", la cui ricetta rimane ancora un mezzo mistero, era arrivata lontano e aveva reso Scurcola famosa anche oltre i confini regionali. Da Perla arrivavano personaggi importanti: politici, attori, prelati. Un posto semplice, la trattoria Borgo Pio, ma pieno di storia e di ricordi per molti scurcolani e non solo.

Il fondatore dell'osteria Nazzareno Damia con un nipotino

Il primo a pensare di aprire un posto in cui potersi sedere a bere un bicchiere di vino fu Nazzareno Damia. Svolgendo qualche ricerca su di lui ho scoperto che era nato il 24 dicembre del 1853 (Cosimo Bontempi sindaco), figlio di Andrea Damia (nato nel 1810) e Pasqua Corazza (nata nel 1811). Sembra che Nazzareno abbia tentato la fortuna in Argentina: un documento rintraccia il suo sbarco nel Paese sudamericano il 23 settembre 1889. Al tempo Nazzareno era già sposato. Evidentemente qualcosa, in quel tentativo di fare fortuna nelle Americhe, non deve essere andato come si aspettava, per cui Nazzareno è tornato a casa, a Scurcola. Alla fine dell'800 apre la sua osteria in una piccola porzione di quello che era il palazzo della famiglia Tuzi. Era anche un carrettiere Nazzareno, aveva un calesse e un cavallo e trasportava le persone a destinazione, in un tempo in cui non c'erano ancora le automobili o i bus. 

Palazzo Tuzi ai primi del '900

A lui gli scurcolani avevano attribuito il soprannome di "Viola" per via di certe storie che, col tempo, hanno assunto il colore della leggenda. Si narra, infatti, che nella sua osteria, che all'occorrenza si tramutava in locanda, Nazzareno avesse più volte accolto il famoso brigante Berardino Viola (1838-1906) dandogli da mangiare e da dormire. Nazzareno non fu mai implicato né accusato di nulla, ma la presenza del brigante Viola, evidentemente, non era sfuggita ai suoi compaesani del tempo. Nazzareno, ormai anziano, lasciò l'osteria a suo figlio Tullio Damia che, in realtà, svolgeva l'arte del maniscalco: colui che forgia i ferri e li applica agli zoccoli di vacche, cavalli, somari e muli. Sarà anche per questo che, dopo un po' di tempo, Tullio decise di lasciare l'attività a suo fratello Italo Damia

Il brigante Viola

Italo, come suo padre, aveva provato l'avventura oltreoceano andando negli Stati Uniti ma, esattamente come suo padre, aveva deciso di tornare a casa. A lui il compito di portare avanti l'osteria di Borgo Pio insieme a sua moglie Cisalpina Corazza. I due misero al mondo tre figlie: Ancizia, nata nel 1920; Perla, nata nel 1924 e Lillida, nata nel 1927. Tre figlie e tre nomi sicuramente originali. Ancizia avrebbe dovuto chiamarsi Angizia, in onore della dea tanto cara all'antico popolo marso, il cui tempio si trovava lungo le sponde del Lago Fucino, ma qualcuno sbagliò a pronunciare o a scrivere il suo nome e da Angizia, sui documenti, si ritrova Ancizia. I nomi di Perla e Lillida, invece, sembrano derivare da quelli di due bellissime attrici americane che, probabilmente, Italo aveva visto e sentito nominare durante la sua breve permanenza negli States. 

Una fiera a Scurcola a metà degli anni '50

Italo, Cisalpina, Ancizia, Perla e Lillida. Furono loro a portare avanti l'osteria per tanti anni. Fondamentalmente ai tavoli di Borgo Pio si giocava a carte e si dispensava il celebre "mezzo litro e una gassosa". Tutto però cambiava quando a Scurcola c'erano le fiere. Durante la Fiera di S. Matteo, il 21 settembre, Borgo Pio si animava come non mai. L'osteria diventava una vera trattoria preparando piatti semplici della cucina povera locale: trippa, zuppa di ceci e baccalà. Quando possibile si friggevano anche piccoli pesci, quelli che arrivavano a Scurcola grazie a Giovannina di Capistrello (la mamma di Bruno "glio pesciarolo": un'altra storia!). Durante la fiera tutta la piazza di Sant'Egidio si riempiva di persone arrivate anche da lontano e la famiglia Damia si metteva in azione fin dai giorni precedenti. 

Italo Damia con la moglie Cisalpina e la figlia Lillida

Cisalpina, donna dallo spiccato spirito imprenditoriale, nei primi anni Sessanta pensò di ampliare l'offerta dell'osteria e cominciò con l'offrire agli avventori i supplì caldi. L'idea ebbe successo e, col fatto che a Scurcola erano già attivi Monna Laura e Renzo, i Damia pensarono di chiedere la licenza di osteria con cucina. In questo modo Borgo Pio cominciò a diventare un locale in cui si poteva mangiare e bere bene. Italo e Cisalpina lasciarono tutto nelle mani delle loro figlie anche se Lillida si era trasferita con la sua famiglia a Roma. Durante la bella stagione, in ogni caso, le tre sorelle tornavano insieme a cucinare coadiuvate da mariti, cognati, figli e figlie.

Borgo Pio nei primi anni '80

Ho scelto di fermarmi alla gestione di Borgo Pio di Perla, Ancizia e Lillida perché queste tre donne hanno rappresentato una parte della storia dell'accoglienza scurcolana. L'osteria Borgo Pio è stata l'osteria storica di Scurcola, la prima o tra le prime a essere aperte in paese. Nazzareno, Italo, Perla: tre generazioni di persone che hanno portato avanti ininterrottamente la loro attività con passione, genuinità e gentilezza almeno per un secolo. Per ragioni anagrafiche posso ricordare personalmente solo le ultime fasi di questa storia, ma i miei ricordi di Borgo Pio sono pieni di affetto

Borgo Pio (chiuso) e Palazzo Tuzi oggi

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Questo post non sarebbe mai stato scritto se non avessi avuto la preziosa, paziente e cortese collaborazione di Italo Camilli, Nevio Frezzini e Maria Agostina Talone, discendenti e rappresentanti della famiglia Damia. Ringrazio con tutto il cuore Italo, Nevio e Maria Agostina per avermi raccontato delle loro zie, dei loro nonni e delle loro infanzie. Li ringrazio per avermi concesso il loro tempo e la loro attenzione. Lo hanno fatto con disponibilità e gentilezza, permettendomi di recuperare la memoria di persone, luoghi e vicende che spero vengano ricordate e apprezzate anche da molti altri scurcolani.



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venerdì 23 ottobre 2020

Santa Anatolia, dipinto scurcolano firmato da Luigi Giannantonj (1855)


Nella Chiesa della Madonna della Vittoria, nella seconda cappella laterale a sinistra rispetto all'ingresso, c'è un altare dedicato a Santa Anatolia. Il quadro che rappresenta la giovane Santa è opera di Luigi Giannantonj, valente artista di Tagliacozzo, che lo dipinse nel 1855, come si può chiaramente leggere nell'angolo della tela in cui, oltre alla datazione, si riconosce anche la firma dell'artista: "Luigi Giannantonj de Tagliacozzo fecit 1855". Il Giannantonj, il cui nome spesso viene scritto anche semplicemente Giannantoni, era nato nel 1810 e, secondo quanto afferma il Gattinara, sarebbe morto il 23 gennaio del 1872. Di lui lo storico Paoluzzi scrisse che fu "valente ritrattista e miniaturista sull'avorio, buono affreschista e bravo pittore ad olio". 

Firma di Luigi Giannantonj de Tagliacozzo - 1855

Il Giannantoni è noto, nelle nostre zone, anche per aver realizzato degli ex-voto: alcuni di essi sono tuttora visibili presso il Santuario della Madonna dell'Oriente, situata a Santa Maria d'Oriente, tra Tagliacozzo e la località Sfratati. Non conosciamo il committente dell'opera di cui parliamo ma, rilevando l'anno della sua esecuzione, il 1855, non ho potuto non pensare all'epidemia di colera che colpì il nostro paese proprio tra il 1854 e il 1855, un'epidemia che causò la morte di moltissime persone. Non è escluso che la realizzazione del ritratto di Santa Anatolia sia connessa alla devozione di chi la invocava affinché sconfiggesse il colera

Anatolia e Vittoria (S. Apollinare Nuovo di Ravenna)

Si tratta di una semplice supposizione personale, ovviamente, ma vale la pena sottolineare che Santa Anatolia è inclusa tra i taumaturghi, ossia quelle figure sacre in grado di guarire dalle malattie. Anatolia viene spesso ricordata a menzionata assieme a Santa Vittoria. Entrambe vissute nel III secolo d.C., entrambe di nobili origini romane, erano state destinate a convolare a nozze con due giovani patrizi. Sia Anatolia che Vittoria rifiutarono perché avevano già scelto di consacrarsi a Dio. Secondo la tradizione cattolica, Anatolia venne rinchiusa in una stanza con un serpente da un soldato chiamato Audace. Il serpente non sfiorò nemmeno la giovane ma morse Audace quando rientrò nella stanza. Audace venne salvato dalla ragazza e divenne cristiano, tanto bastò a condannarlo a morte: sia Anatolia che Audace vennero uccisi trafitti da una spada. 

Tomba di Anatolia e Audace nel Monastero di S. Scolastica a Subiaco

Il martirio delle due giovani avvenne nella Sabina ed è per questo che il culto di Santa Anatolia e di Santa Vittoria è particolarmente diffuso in questi territori. Dopo alcune peripezie, oggi i corpi dei Santi Anatolia e Audace riposano a Subiaco, nella Chiesa di Santa Scolastica. Nel paese di Santa Anatolia di Borgorose, poco distante dalla Marsica, all'interno del Santuario, viene tuttora conservato un piccolo frammento osseo della Santa, mentre parte di un braccio si trova a Esanatoglia, in provincia di Macerata. 

Dettagli del martirio: serpente e spada sorretta dall'angelo

Il dipinto scurcolano di Santa Anatolia, opera di Luigi Giannantoni, raccoglie gli elementi iconografici legati tradizionalmente alla morte della giovane Santa: sulla sinistra il serpente che, secondo le intenzioni dei suoi carnefici, avrebbe dovuto morderla; sulla destra un piccolo angelo che sorregge la spada con la quale Anatolia è stata poi uccisa. Nella mano destra la Santa regge la palma del martirio mentre sul suo capo un altro angelo porta la corona di alloro, antichissimo simbolo di santità.



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martedì 20 ottobre 2020

Fernando Nuccitelli, il "sovversivo" di origini scurcolane morto a Mauthausen nel 1944


Fernando Nuccitelli (foto sopra) era nato a Roma il 19 gennaio 1903, figlio dello scurcolano Rocco Nuccetelli (nato a Scurcola il 21 marzo del 1864 da Settimio Nuccetelli e Agnese Valente) e di Annunziata Ruberti. Rocco era emigrato nella capitale sul finire dell'800. Annunziata, anche lei nata a Scurcola, si era trasferita a Roma da bambina insieme alla sua famiglia. L'oscillazione del cognome Nuccetelli/Nuccitelli era comune al tempo e gli errori nelle trascrizioni anagrafiche rimangono costanti. Ho conosciuto la triste vicenda di Fernando Nuccitelli grazie a Maurizio Moretti che ha messo a mia disposizione le immagini, i documenti, le lettere e i ricordi e so che, oltre alle notizie a lui già note, altri elementi utili a ricostruire la triste vicenda di Fernando Nuccetelli, sono stati forniti dalle sue nipoti. 

Rocco e Annunziata: i genitori di Fernando Nuccitelli

Fernando Nuccitelli lavora come pittore decoratore. È ancora giovane quando il Fascismo prende piede nel nostro Paese ma lui si distingue da subito per il suo spirito antifascista. Nel 1923 si iscrive alla Federazione Giovanile Comunista d'Italia e nei due anni successivi ne diventa Segretario per la città di Roma. Nel novembre del 1926 le leggi volute dal regime fascista sopprimono il Partito Comunista che viene comunque tenuto vivo in maniera clandestina, anche dagli esiliati all'estero. Fernando è tra coloro che continuano a lavorare nell'ombra e, anche per questo, è sorvegliato dall'OVRA (polizia segreta dell'Italia fascista). Il 7 maggio del 1928 Fernando Nuccitelli viene arrestato e condannato a quattro anni e sei mesi, più altri tre anni di vigilanza speciale, per cospirazione contro i poteri dello Stato

Copia del fonogramma del 1937 con condanna di Fernando

Nel 1932, con l'amnistia concessa da Mussolini, Fernando cessa la vigilanza speciale e torna a lavorare nella Federazione romana del PC portandola avanti per alcuni anni fino a quando, il 25 marzo 1937, viene nuovamente arrestato. È accusato di ricostruzione del Partito Comunista e, stavolta, il Tribunale Speciale lo condanna a ben 10 anni di prigione (vedi copia fonogramma). La pena viene scontata prima nel carcere di Fossano (provincia di Cuneo), poi in quello di Civitavecchia e a seguire in quello di Castelfranco Emilia. Dalla sua cella di Fossano, Fernando scrive una bellissima lettera ai suoi genitori datata 2 agosto (1937). Nella sua missiva ricorda e celebra il paese di Scurcola: "L'aria è salubre ed il paesaggio bellissimo" scrive Fernando "è quel che ci vuole per la ricreazione dello spirito e per la salute del corpo". E continua poco dopo "E ci sono i monti, all'intorno, e c'è il Velino maestoso che al mattino colora le sue cime di riflessi d'oro. E c'è la popolazione semplice e buona che non vive la nostra vita complicata, gente un po' rude come i suoi monti ma accogliente e sincera". 

Stralcio della lettera ai genitori (sottolineato mio)

Fernando viene liberato nell'estate del 1943, dopo la caduta del regime fascista. A seguito dell'occupazione di Roma da parte dei soldati tedeschi, decide di lasciare la città e di trovare riparo a Scurcola. Ed è in questo periodo scurcolano che conosce Gertie Stern, una giovane ebrea esule a Scurcola insieme ad altri ebrei (tra cui il pittore Sigfrido Pfau). Gertie era nata a Vienna il 22 ottobre del 1925 da Ermanno Stern [nato a Nagymagyar (Ungheria) l'11 novembre 1892] e Maria Pinkas [nata a Kabold l'8 gennaio 1893]. La famiglia Stern, formata anche dalle sorelle di Gertie, Edit ed Elfi, venne internata e trasferita a Scurcola. Negli anni precedenti, Fernando era stato sposato ed era divenuto anche padre di una bambina di nome Marisa. Purtroppo perse sia la figlia, che era nata con una grave malformazione, che la moglie, deceduta a causa della TBC. Il suo legame con Gertie lo induce a portarla con sé al Pigneto dove entrambi si nascondono. Nel dicembre del 1943 viene nuovamente arrestato nella sua abitazione dalla Pubblica Sicurezza del Commissariato Porta Maggiore e condotto nel carcere di Regina Coeli. 

Documento di arresto del 1943

La sua deportazione avviene poco più tardi. Fernando Nuccitelli arriva nel campo di concentramento di Mauthausen il 13 gennaio 1944. È immatricolato con il numero 42154, incluso nella categoria "Pol" (prigioniero politico) e assegnato al blocco della quarantena. Successivamente viene destinato al sottocampo di Ebensee dove i prigionieri venivano impiegati per scavare gallerie nelle montagne circostanti. Ed è proprio qui, ad Ebensee, che Fernando morirà di malattia e di stenti il 23 marzo 1944. A Fernando Nuccitelli e a Ferdinando Persiani (anche lui morto in campo di sterminio), nel 2006, sono stati intitolati un Centro sportivo e i nuovi giardini del quartiere romano del Pigneto. A Fernando è stata dedicata una pietra di inciampo che ricorda le vittime del nazismo, collocata in prossimità dell'abitazione dalla quale Fernando è stato prelevato per essere poi deportato a Mauthausen.

Targa e pietra d'inciampo dedicate a Fernando Nuccitelli

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Ringrazio Maurizio Moretti che, con gentilezza e pazienza, ha risposto a molte mie domande su Fernando Nuccitelli, che mi ha inviato foto, lettere e documenti che ho pubblicato qui per ricostruire e rendere nota la storia di un uomo morto in un campo di concentramento nazista a soli 41 anni. Ringrazio anche le nipoti di Fernando che hanno condiviso con Maurizio, e indirettamente anche con me, i loro ricordi dello zio.


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venerdì 16 ottobre 2020

Palazzo Bontempi in un documento del 1736


Di Palazzo Bontempi oggi resta poco. Buona parte dei piani abitabili, e quindi più preziosi dell'edificio, sono stati demoliti dopo il terremoto del 2009. Personalmente ho vissuto la distruzione del Palazzo come un trauma. In cuor mio, come altre persone, ho sempre sperato che un giorno quello splendido seppur fatiscente edificio storico di Scurcola, appartenuto per secoli a una delle famiglie più prestigiose del luogo, potesse essere recuperato, ristrutturato e restituito al suo splendore. Non è accaduto. Per incuria, per negligenza, per difficoltà, per sciatteria, per cattiva volontà, per superficialità, per incapacità? Non so, forse per la combinazione diabolica e devastante di tutti questi elementi messi assieme. 

Palazzo Bontempi ancora intatto e abitato ai primi del '900 

Esiste una splendida e antica mappa realizzata a mano su pergamena nel 1736, firmata da Giacomo Di Giacomo della terra di Bisegna, che ci mostra come era strutturato e organizzato Palazzo Bontempi all'epoca. In cima al prezioso documento, di proprietà di Aulo Colucci, si legge: "Prospetto dell'alzate del Palazzo del Signor Dottor Don Odorisio Bontempi nella terra della Scurcola sua patria colla delineazione annessa anche d'alcune stalle contigue col giardino dentro di esso et orti intorno come dimostra la figura colla spiegazione richiamante le lettere apposte fatta da me Giacomo della terra di Bisegna Regio Geometrico". Si tratta di un documento molto particolare e sicuramente molto importante sia per la sua valenza storica, sia per la sua bellezza esecutiva

Il portone d'ingresso oggi (lettera A della pergamena)

Oltre al bel disegno che mostra, nel dettaglio, ogni singolo spazio edificato di Palazzo Bontempi, è possibile consultare la "legenda" che si trova in fondo alla pergamena in cui si indica, attraverso una serie di lettere, la destinazione di ogni elemento architettonico. Ad esempio, la lettera A indica il "Portone maestro per il quale dalla pubblica strada s'entra nel cortile ove sta la cisterna". E, in effetti, sulla riproduzione dell'agrimensore Di Giacomo con la lettera A si indica esattamente il portone principale del vecchio palazzo, uno dei pochi elementi sopravvissuti alla demolizione. 

Processione all'interno del cortile di Palazzo Bontempi (primi '900)

Anche la porta indicata con la lettera C oggi è ancora visibile. Nella legenda è indicata come il "Portone per il quale si va all'entrone al quale hanno la comunicazione la cocina e altre stanze". Lo splendido documento che Aulo Colucci ha messo gentilmente a mia disposizione spiega in maniera chiara e visivamente incisiva quanto fosse grande e ben organizzato Palazzo Bontempi. Esso conteneva orti, giardini ma anche il pagliaio, la stalla, la piccola Chiesa di Santo Stefano, le cantine, degli spazi sotterranei, una stanza per i calderoni, il "gallinaro" e, ovviamente, le stanze abitate dai Bontempi. Ciò che resta, purtroppo, è quasi niente. L'assenza di Palazzo Bontempi ha deformato e trasformato anche l'immagine generale del paese di Scurcola

Cortile di Palazzo Bontempi oggi - Portone C

Lo spazio vuoto che un tempo era occupato dall'imponente edificio signorile risulta ancora oggi agli occhi di molti scurcolani qualcosa di innaturale. Per secoli il panorama di Scurcola è stato caratterizzato dalla presenza di Palazzo Bontempi: tutte le vecchie fotografie del borgo mostrano il grande edificio che, con il trascorrere degli anni, è stato gradualmente lasciato decadere in maniera inesorabile fino al pressoché totale abbattimento post-terremoto. Ci restano le foto, ci resta il ricordo e nient'altro.

Palazzo Bontempi in rovina e Palazzo Bontempi distrutto


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martedì 13 ottobre 2020

La scritta sull'aureola di Sant'Antonio (e non solo)


Navigo costantemente su Internet alla ricerca di ciò che può interessarmi e di ciò che può descrivere qualche nuovo dettaglio legato alla storia di Scurcola. Tra gli archivi digitali che mi è capitato di scoprire online c'è il BeWeB, ossia il Portale dei Beni Culturali Ecclesiastici, all'interno del quale, con un po' di pazienza, sono riuscita a trovare materiali interessanti che ritengo siano degni di essere descritti affinché tutti possano conoscerli e, si spera, apprezzarli. Nello specifico, sono rimasta colpita dalla descrizione dell'aureola della statua del nostro Sant'Antonio, patrono di Scurcola assieme a San Vincenzo Ferreri.

Scritta sull'aureola di Sant'Antonio da Padova (1861)

All'interno del BeWeB, infatti, questo oggetto sacro è descritto minuziosamente in un'apposita scheda. Personalmente non lo avevo mai notato, pur avendo osservato in tante circostanze la figura che rappresenta il Santo di Padova, custodito presso l'omonima chiesa scurcolana: sull'aureola è incisa una scritta. Si tratta di una sorta di ricordo devozionale che recita: "Dalla devota popolazione di Scurcola a S. Antonio anno 1861". È evidente che l'aureola, realizzata in metallo argentato, è stata offerta in dono dagli scurcolani circa 160 anni fa. Le parole che compongono la scritta sono separate a metà dalla presenza di quattro piccole rose e tre foglioline

Processione con S. Antonio (anni '40)

Ma il nostro Sant'Antonio presenta anche altri elementi degni di nota e, forse, normalmente poco considerati. Prima di tutto vale la pena sottolineare che al centro della statua è presente un clipeo (disco di metallo o di marmo contenente immagini di divinità o di eroi) con cornice argentata nel quale sono conservate le reliquie del Santo. Non dobbiamo dimenticare che Scurcola Marsicana possiede, tra le altre, anche una reliquia di Sant'Antonio da Padova in onore della quale, infatti, nei primi anni del '500, venne edificata una chiesa a cui fu poi costruito accanto anche il noto Convento dei Terziari francescani

Stola di Sant'Antonio da Padova (1808-1809)

Oltre alla scritta sull'aureola e al clipeo per la reliquia, la statua di Sant'Antonio di Scurcola è solitamente abbellita anche da una stola. La più antica a lui donata (diversa da quella che indossa oggi) è di cotone bianco e decorata con filo dorato. Anche in questo caso è possibile leggere una breve scritta ricamata sulla fodera: "Residuo feste anny 1808-1809". Si tratta, come intuibile, di un oggetto acquistato dai fedeli con il "residuo" ossia quanto rimasto delle offerte per le feste negli anni 1808 e 1809. La stola, evidentemente, è ancora più antica dell'aureola: ha 211 anni. Per finire, vorrei soffermarmi sulla cosiddetta "macchina processionale" ossia il basamento in legno che serve a sostenere la statua e a permettere di condurla in processione. Sul supporto ligneo, infatti, sono presenti i nomi di chi deve averlo donato e di chi lo ha realizzato incisi su una targa vale a dire: "BUCCERI G. E. - ANSINI. A. - SALVATORE G. - FORTUNA A. - PALMA L. - PALUZZI. N. - CENSL. DOMENICO COSTRUI 1929". Oltre a una dicitura più recente: "RESTAURATO DAL COMITATO DEI FESTEGGIAMENTI 1978 SCURCOLA MARSICANA".

Basamento in legno (1929)


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venerdì 9 ottobre 2020

"Nosce te ipsum" inciso sull'architrave di una finestra in Via dello Statuto


Come molti ricorderanno, qualche tempo fa avevo scritto e pubblicato "Le date sparse nel borgo di Scurcola Marsicana". Dopo aver letto quel post, Franco Farina, sempre attentissimo, mi ha contattata e mi ha suggerito di fare una passeggiata dalle parti di Via dello Statuto nel borgo di Scurcola perché avrei trovato una sorpresa. Franco aveva ragione perché proprio in Via dello Statuto, a pochissima distanza dal bellissimo Arco di Scoccetta, si trova un edificio che forse andrebbe preso in considerazione più di quanto non si sia fatto finora

Nosce te ipsum sull'architrave della finestra

Basta avvicinarsi alla facciata rosa di questa casa e si può immediatamente notare, come ho già scritto in precedenza, che sulla porta di ingresso c'è il trigramma IHS (tradizionalmente legato alla figura di San Bernardino da Siena) scritto in maniera speculare: SHI. Sollevando ulteriormente lo sguardo, è possibile rilevare che, sull'architrave della finestra, ci sono delle lettere incise a formare la frase: "NOSCE TE IPSUM". Tradotto: "CONOSCI TE STESSO". Si tratta di una frase latina che ha antichissime origini greche ed è considerata uno degli apoftegmi (detto memorabile) attribuito ai Sette Sapienti. Si ritiene fosse inciso sul frontone del tempio di Apollo a Delfi. Una massima di Apollo con la quale si esortano gli uomini a riconoscere la propria condizione di limitatezza. Una sorta di invito, dunque, a stare al proprio posto, al non sentirsi superiori. Il "nosce te ipsum" latino ha quindi origini greche ed era la massima preferita dal filosofo Socrate

La finestra con la scritta di Scipione

L'abitazione di Via dello Statuto rivela anche un altro piccolo "segreto" inciso, ancora una volta, sull'architrave di una finestra. In questo caso si tratta della finestra laterale, meno visibile rispetto alla precedente. Il padrone di casa ha deciso di lasciare un segno della sua esistenza facendo incidere la seguente frase: "HEC EST DOMUS SCIOPIONIS LAT 1556". Spero di aver letto e decifrato correttamente l'iscrizione con la quale si specifica che "QUESTA È LA CASA DI SCIPIONE LAT 1556". Non ci sono dubbi sul fatto che l'edificio sia stato di Scipione, il problema è che oggi non possiamo sapere chi fosse Scipione. Ciò che possiamo comprendere, tutto considerato, è che Scipione fosse un personaggio capace di avere il cristogramma IHS scritto al contrario sulla sua porta e una massima socratica incisa sulla finestra. Vale forse la pena ricordare che Socrate venne condannato a morte per non aver riconosciuto gli dèi tradizionali e scelse di morire avvelenandosi con la cicuta.

La casa di Via dello Statuto



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martedì 6 ottobre 2020

Alardo, Carlo d'Angiò, Corradino e Clemente IV. I protagonisti della Battaglia del 1268 nelle vie del borgo


La storica Battaglia del 1268, quella che molti preferiscono denominare Battaglia di Tagliacozzo, limitandosi alla sola citazione dantesca, potrebbe o dovrebbe essere definita, per onestà intellettuale e correttezza storico-geografica, Battaglia dei Piani Palentini. Come ormai tutti sappiamo, l'epico scontro tra i due eserciti, quello francese di Carlo I d'Angiò e quello svevo di Corradino, si verificò nello spazio che si trova tra Scurcola Marsicana, Cappelle dei Marsi, Magliano dei Marsi e Alba Fucens. Come scrive Enzo Colucci nel suo saggio "Note sulla Battaglia dei Piani Palentini", "il paesaggio (vegetazione, caseggiati, strade), a differenza dell'orografia, era molto diverso dall'attuale, non c'erano campi coltivati di oggi con le vaste aree sgombre di vegetazione". Infatti il luogo della battaglia era caratterizzato dalla presenza di boschi e selve che attualmente non esistono più

Veduta del borgo di Scurcola Marsicana

Fatta chiarezza, seppur in maniera piuttosto sommaria, in merito ai luoghi in cui lo scontro avvenne e specificata la logica della più coerente denominazione di Battaglia dei Piani Palentini, vorrei ora soffermarmi su un dettaglio diverso ma comunque connesso all'evento storico: la toponomastica di una piccola parte del borgo di Scurcola. Tra le strade più affascinanti e antiche del nostro paese, ce ne sono quattro che, non solo si trovano tutte nella stessa area ma, in alcuni casi, risultano anche interconnesse tra di loro. Nel centro storico di Scurcola abbiamo Via Alardo, Via Carlo I d'Angiò, Via Corradino e Via Clemente IV. Basterebbe una sorta di mini-tour lungo questa sorta di quadrilatero per raccontare, traendo spunto dalle apposite targhe, gli eventi della Battaglia attraverso i nomi di chi ne fu protagonista. 

Via Alardo che incrocia Via Carlo d'Angiò

Via Alardo è dedicata ad Alardo (Erard in francese) di Valéry. È lui "il vecchio Alardo", citato da Dante nel canto XXVIII dell'Inferno, che "senz'armi vinse" la Battaglia di cui parliamo. Alardo di Valéry era nato attorno al 1220, fu condottiero francese e consigliere di Carlo I d'Angiò. Dante ci racconta di un "vecchio" Alardo anche se nel 1268 costui doveva avere poco meno di 50 anni: età considerata al tempo già piuttosto avanzata. Alardo era un generale e militare esperto e scaltro. Se Carlo d'Angiò riuscì a sconfiggere Corradino, lo deve essenzialmente a questo suo prezioso consigliere che suggerì che il comandante Enrico di Cousence indossasse l'armatura e le insegne reali: Enrico doveva sembrare in tutto e per tutto identico a re Carlo. Lo stratagemma di Alardo funzionò: gli svevi uccisero Enrico convinti che fosse Carlo d'Angiò e, sicuri di aver sconfitto il nemico, iniziarono a esultare e festeggiare. Fu proprio in quel momento che Alardo, con una sua schiera di soldati, si avventò sugli Svevi e li travolse

Via Carlo d'Angiò

Carlo I d'Angiò è, probabilmente, il personaggio più celebre tra tutti. Figlio del re di Francia Luigi VIII e di Bianca di Castiglia. Carlo era noto per la sua ambizione e per le sue abilità politiche e strategiche. Era nato il 21 marzo del 1226 e divenne re di Francia il 6 gennaio del 1266 a 40 anni. È lui il vincitore della Battaglia dei Piani Palentini, una battaglia che, storicamente parlando, rappresenta un punto di svolta cruciale per ciò che, da quel momento in poi, sarà la storia d'Italia e, per estensione, anche d'Europa. Accanto a Carlo, è giusto collocare immediatamente Corradino, discendente di casa Sveva. Era nato il 25 marzo del 1252 quindi, all'epoca della Battaglia, aveva solo 16 anni, ben 26 anni in meno rispetto al più esperto re di Francia. Corradino aveva ricevuto un'ottima istruzione, era un nobile colto, dettaglio piuttosto raro per l'epoca, degno erede di suo nonno, l'imperatore Federico II, colui che rifondò l'attività legislativa e innovò il panorama culturale del suo tempo con l'intento di unificare terre e popoli e che, proprio per questo, entrò in contrasto con la Chiesa di cui metteva in discussione il potere temporale. Tornando a Corradino: la Battaglia lo vide inesorabilmente sconfitto. Il giovane venne processato e condannato a morte: fu decapitato a Campo Moricino (attuale piazza del Mercato di Napoli), il 29 ottobre 1268. I suoi resti non ebbero sepoltura.

Via Corradino a Scurcola e miniatura con Corradino (Codex Manesse)

Infine vale la pena soffermarsi anche su Via Clemente IV, la strada dedicata al papa francese, nato a Saint-Gilles-du-Gard. Clemente IV, il cui vero nome era Gui Foucois, è forse uno dei protagonisti meno ricordati o meno citati quando si parla della Battaglia dei Piani Palentini, eppure il suo ruolo non fu affatto secondario. Gui Foucois era salito al soglio pontificio come Clemente IV il 15 febbraio del 1265 e vi restò fino alla morte, avvenuta il 29 novembre del 1268. Un breve ma significativo pontificato, evidentemente. Uno dei primi atti politici voluti da Clemente IV fu la scomunica di Manfredi di Svevia, figlio di Federico II e zio di Corradino. La politica condotta da Clemente IV mirava a favorire con ogni mezzo gli angioini, tanto che fu proprio grazie all'aiuto di Clemente IV che Carlo I d'Angiò riuscì a sconfiggere Manfredi nella famosa Battaglia di Benevento del 1266 durante la quale il re Svevo venne ucciso. Un paio di anni più tardi rispetto alla Battaglia di Benevento, poco dopo la Battaglia dei Piani Palentini, Clemente IV approvò senza troppi indugi la decapitazione di Corradino. In un saggio di Ornella Mariani viene riprodotto un biglietto inviato dal papa a Carlo I d'Angiò in cui si legge: "Mors Corradini, Vita Caroli. Vita Corradini, Mors Caroli".

Via Clemente IV e ritratto del papa a Tour Ferrande (Francia)


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giovedì 1 ottobre 2020

Don Domenico Nucci, il prete dei bambini e dei sorrisi


Molti a Scurcola conservano bei ricordi di don Domenico Nucci, un giovane sacerdote arrivato nel nostro paese nei primi anni Cinquanta. Era nato ad Aielli il 10 febbraio del 1927, figlio di Ettore e Giuseppina. È ordinato sacerdote il 20 gennaio 1952 da Monsignor Domenico Valerii, Vescovo dei Marsi dal 9 agosto 1945. Don Domenico giunge a Scurcola giovanissimo, poco dopo la sua ordinazione. È al suo primo incarico sacerdotale e quando arriva in paese trova già don Carlo Grassi. Immediatamente riesce a instaurare un bellissimo rapporto con i bambini di Scurcola e, in quegli anni, successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale, di bambini in paese ce ne erano davvero parecchi. 

Foto di gruppo: don Domenico Nucci coi ragazzi di Scurcola

Don Domenico è il prete dei bambini e dei sorrisi. Tutti quelli che lo hanno conosciuto e frequentato e che, oggi, sono ormai in là con gli anni, serbano di lui ricordi felici e scanzonati. Seguiva i doveri che il suo ruolo gli imponeva e faceva in modo di richiamare in Chiesa anche i più piccoli poi, nel tempo libero, era solito divertirsi giocando a pallone ma, soprattutto, portando schiere di ragazzini in giro per Scurcola: alla Croce, alla Stazione, su Monte San Nicola. 

Don Domenico Nucci a Scurcola con adulti e bambini

Nelle foto d'epoca che lo ritraggono a Scurcola, don Domenico Nucci è sempre in mezzo a gruppi di ragazzini scurcolani. È rimasto in paese per sette anni fino a quando, nell'anno 1959, gli è stata offerta l'occasione di gestire una parrocchia tutta sua. Si è trasferito ad Avezzano e lì ha fondato e dato vita alla parrocchia di S. Pio X dove è rimasto per più di quaranta anni, seguendo almeno due o tre generazioni di persone in un quartiere che, al tempo, era appena agli albori. Il suo legame con Scurcola, però, non si è mai interrotto: ha continuato a sentire e frequentare alcuni di quei bambini e di quelle famiglie a cui si era affezionato negli anni in cui era vissuto da noi. 



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