martedì 30 marzo 2021

La Deposizione di Cristo riscoperta nella Chiesa della SS. Trinità


La tradizione cristiana trasmessa dai Vangeli vuole che Gesù Cristo muoia in croce alle ore tre del pomeriggio del venerdì. La deposizione dalla croce, XIII stazione della Via Crucis, rappresenta il penultimo momento della Passione (dopo la morte e prima della sepoltura). I Vangeli narrano che Giuseppe di Arimatea e Nicodemo accorsero per recuperare il corpo di Cristo dalla croce, dopo la sua morte. La Deposizione di Gesù viene tradizionalmente e artisticamente rappresentata con la presenza di San Giovanni evangelista, che sostiene la madre Maria, e Maria Maddalena: figure che, in verità, i Vangeli non associano alla deposizione. Giuseppe di Arimatea, secondo la tradizione, è anche colui che acquista il lenzuolo di lino nel quale viene avvolto il corpo di Cristo.

Cappella di San Filippo Neri
Deposizione di Cristo (a sinistra)

L'affresco rappresentante la Deposizione di Cristo che si trova nella Chiesa della SS. Trinità di Scurcola Marsicana include molti degli elementi artistici della composizione classica di questo episodio della Passione. L'opera si trova nella quarta cappella di sinistra della Chiesa (Cappella di San Filippo Neri), sulla parete di sinistra. È possibile ammirare questo affresco solo da alcuni anni ossia dal momento in cui i restauratori della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici dell'Abruzzo lo hanno riportato alla luce. Per diverso tempo, infatti, questa preziosa opera, insieme a molte altre presenti nell'edificio parrocchiale, era stata imbrattata e nascosta da una tintura grigia aggiunta alle pareti negli anni '50, col rifacimento operato dal pittore aquilano Giuseppe Scarlattei.

Prima e dopo il restauro

Come si evince dall'immagine che ritrae la nostra Deposizione, essa è parzialmente "celata" dalla presenza di una pesante cornice, sovrapposta, verosimilmente, nel corso del Settecento quando quasi tutte le cappelle della Chiesa della SS. Trinità subirono lavori di rifacimento a cura delle famiglie proprietarie. La cappella in cui si trova la Deposizione è appartenuta alla famiglia D'Amore la cui presenza è attestata a Scurcola proprio tra il XVIII e XIX secolo. L'antico affresco dedicato alla Deposizione venne coperto quando, probabilmente proprio per volontà dei D'Amore, la cappella fu intitolata a San Filippo Neri e rimaneggiata in maniera importante con l'aggiunta di marmi, cornici e quadri molto più vicini al gusto barocco.

Tela con San Filippo al cospetto del papa

Nonostante la presenza della cornice di stucco, all'interno della quale era stata collocata una tela dipinta a olio che raffigura San Filippo Neri nell'atto di ricevere un libro dal Papa (Gregorio XIII o Pio V), è comunque affascinante osservare i dettagli della Deposizione ancora visibile la quale, con buona probabilità, è stata affrescata nella primissima parte del Seicento, più o meno in concomitanza con l'esecuzione delle opere accolte nella Cappella dell'Angelo Custode, realizzate da Angelo Guerra di Anagni. La Deposizione, purtroppo, non è firmata ma mantiene stile e caratteristiche esecutive molto vicine a quelle dell'artista che qui operò nel 1604. Nella parte superiore sono visibili i dettagli della grande croce scura che sovrasta la scena. Poco più in basso, a replicare con la sua postura la figura della Croce, la madre, Maria, che a braccia aperte accoglie il corpo del figlio morto. Sul lato sinistro si notano due figure: la prima, in piedi, il cui volto è purtroppo coperto dalla cornice settecentesca, dovrebbe essere San Giovanni  che, col dito indice della mano destra, indica il corpo di Cristo; la seconda, invece, è probabilmente quella di Maria Maddalena che si inchina a baciare la mano destra di Gesù morto.

Dettaglio: chiodi e corona di Gesù Cristo

Il corpo di Cristo, come da iconografia, è deposto su un bianco lenzuolo, quello che tradizionalmente sarà indicato come la Sindone. A terra, quasi al centro dell'affresco, accanto ai chiodi che sostenevano il corpo di Cristo sulla croce, la corona di spine caduta dal suo capo, quasi a simboleggiare la fine del martirio e della sofferenza fisica. A circondare l'intero affresco una cornice multiforme dipinta, praticamente identica a quella degli affreschi sulle pareti laterali della Cappella dell'Angelo Custode. L'importante opera di recupero e restauro, eseguita tra il 2003 e il 2006, ha "conseguito il ripristino di tutto il repertorio decorativo originario, frutto evidente non di un’organica regia, ma di vari modi espressivi variamente qualificati, a motivo soprattutto della diversa capacità economica della committenza; ed ecco allora lo stucco sostituirsi in alcune cappelle alla pietra ed al marmo a creare effetti scenografici tramite dorature e decisi contrasti cromatici che conferiscono all’insieme, proprio grazie alla varietà del partito decorativo ed alle sovrapposizioni che ora coesistono, una singolare ricchezza ed eleganza" [1].


Note:

[1] Caterina Dalia, "Gli apparati decorativi della chiesa della SS. Trinità in Scurcola Marsicana" in "Restauro: sinergie tra pubblico e privato", XVII Salone dell’Arte del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali - Ferrara 24-27 Marzo 2010.

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Ringrazio Martina Falcone, futura dottoressa in Storia dell'Arte, con la quale mi sono piacevolmente e costruttivamente confrontata prima di procedere alla redazione di questo post.



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giovedì 25 marzo 2021

Il maestro che tagliò i capelli ai suoi alunni scurcolani


La foto che apre questo post si trova da anni nella casa dei miei genitori, a Scurcola. Fa bella mostra di sé sulla parete del salone e ogni volta che qualche ospite si avvicina a questa copia di quella che è una vecchia foto di classe, mio padre (che è uno dei bambini fotografati) inizia a raccontare episodi della sua infanzia. Secondo quanto mi è stato possibile ricostruire, l'immagine dovrebbe risalire all'anno scolastico 1954/1955 e le bambine e i bambini immortalati sono una parte della classe III di Scurcola. Meglio: sono una parte di una classe III perché, al tempo, di classi III ce ne erano ben due per via di un numero consistente di alunni che non potevano essere accolti in un'unica aula. 

Chi sono le ragazzine e i ragazzini della foto? Da sinistra in alto: Alberto Petitta, Teresa Morzilli, Menetria Corazza, Bruno Morzilli, Giulio Marini, Omeo Curini, Antonio Trombetta, Fernando Morzilli, Lorenzo Petitta, Enzo De Michele. Da sinistra in basso: Flavio Morzilli, Francesco Morzilli, Roberto Tortora, Giuseppe Falcone, Enzo Tortora, Agostino Lucrezi (da Gualdo Tadino), Francesco Gabrieli. Tendenzialmente sono tutti nati nel 1946 ma non mancano (perché non mancavano mai) i ripetenti di uno, due o tre anni più grandi. La classe non è al completo, secondo mio padre mancano almeno: Emilia Falcone, Franca Rossi e Franca Silvestri. Ma sono sicura che altri ricorderanno dettagli ulteriori. 

La storia che voglio raccontare venne a compiersi proprio nella classe frequentata in quegli anni dai bambini presenti in fotografia. Si tratta della strana iniziativa che, un giorno, venne messa in atto da un insegnante di cui, purtroppo, non sono riuscita a recuperare il nome, quasi come se, dopo il misfatto, la memoria dei protagonisti avesse preferito cancellarlo per sempre. Il maestro elementare di cui si parla veniva da Avezzano a Scurcola ogni mattina. Un giorno, secondo quanto mi è stato raccontato da mio padre Enzo e da Lorenzo Petitta, costui uscì dalla scuola per recarsi nella bottega di Omero Giovannini, il barbiere di Scurcola, per farsi prestare delle forbici per capelli

Tornato in classe il maestro chiamò a sé i bambini e cominciò a rasare loro i capelli. Con le forbici realizzava delle linee di rasatura lungo il capo: dalla fronte verso la nuca. A casaccio. Tagliò i capelli a tutti i maschietti della classe senza una ragione. Gli unici a cui non toccò la strana "sevizia" furono Giuseppe Falcone, che aveva già i capelli molto corti, e Lorenzo Petitta, che si ribellò in maniera quasi violenta al maestro e non si fece toccare. Ogni bambino, alla fine, si ritrovò con la testa "a strisce" e, soprattutto, mortificato da un atto tanto incomprensibile

Flavio Morzilli mi ha raccontato che, quando fu il momento di tornare a casa (abitava alla Portella), decise di mettersi in testa il proprio fazzoletto, annodato come facevano i mietitori. Lui, come gli altri compagni, provava vergogna nell'andare in giro con i capelli ridotti in quelle condizioni. Una volta tornati a casa, coi capelli "tosati" malamente dal maestro, i bambini cercarono di spiegare l'accaduto ai propri genitori i quali, come immaginabile, la mattina successiva si fecero trovare davanti all'ingresso della scuola. Erano furiosi e, soprattutto, erano intenzionati a far valere le loro ragioni nei confronti dell'insegnante autore dello scempio. Per evitare atti inconsulti, un certo Manfredonia (Silvestro Valente) e il Sindaco del tempo (che doveva essere Emilio Ferrari) decisero di intervenire. Con la sua moto, Manfredonia uscì da Scurcola per andare incontro all'insegnante consigliandogli di tornarsene ad Avezzano. Da quel momento in poi, a Scurcola, più nessuno vide arrivare quel maestro che, evidentemente, intimorito, chiese di insegnare altrove.



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sabato 20 marzo 2021

Ecco come era Scurcola nel 1796


"Dizionario geografico istorico fisico del Regno di Napoli composto dall'abate d. Francesco Sacco dedicato all'altezza reale di Francesco Borbone principe ereditario delle Sicilie. Tomo III". Questo il titolo dell'antico dizionario in cui ho rinvenuto una descrizione settecentesca di Scurcola. Il libro, come da frontespizio, è stato stampato a Napoli, capitale del Regno, presso Vincenzo Flauto nel MDCCXCVI ossia 1796. Come ho spiegato qualche tempo fa, scrivendo dell'opera dell'astronomo De Magistris di Scurcola, una volta era d'uso dedicare la propria opera a una figura eminente: un alto prelato, un regnante, un aristocratico. L'abate Sacco, in questo caso, ha dedicato il terzo volume del suo "Dizionario geografico istorico fisico del Regno di Napoli" a Francesco Borbone (1777-1830), allora diciannovenne principe delle Due Sicilie. I tomi precedenti, il primo e il secondo, erano stati dedicati, rispettivamente, al re Ferdinando I Borbone e a sua moglie Maria Carolina d'Austria, regina delle Due Sicilie, genitori del principe Francesco. 

Ritratto del principe Francesco Borbone da giovane

Il Dizionario, come ogni opera di questo genere, è organizzato alfabeticamente per voci e racchiude l'elenco di tutte le località, paesi, città e quartieri che rientravano nell'amministrazione del Regno di Napoli. Nel tomo III, sotto la lettera "S", alle pagine 402 e 403 del volume, l'abate Francesco Sacco descrive Scurcola. Il nostro paese però, in questa circostanza, è denominato "SCURCULA", una delle tante varianti che, nei secoli, è stata utilizzata. Trascrivo, per intero, la descrizione che veniva data di Scurcola alla fine del Settecento

SCURCULA Terra nella Provincia dell'Aquila, ed in Diocesi de' Marsi, situata alle falde di un monte, e poco lungi dal Lago Fucino, d'aria umida, e nella distanza di ventiquattro miglia in circa dalla Città dell'Aquila, e di cento e due dalla Città di Napoli, che si appartiene con titolo di Ducato alla Famiglia Contestabile Colonna di Roma. Sono da notarsi in questa Terra, appellata un tempo Excubia, per essere stata destinata dall'antica Città di Albe per luogo di sentinelle, una Parrocchia Collegiale di vago disegno, ed ornata di marmi sotto il titolo della Santissima Trinità, la quale vien servita da un Abate Curato, da cinque Canonici, e da varj Sacerdoti; quattro Chiese pubbliche e dentro, e fuori l'abitato sotto l'invocazione di San Sebastiano, di San Vincenzo Ferreri, di Sant'Egidio e di Santo Steffano; tre Confraternite Laicali sotto i titoli della Santissima Trinità, del Sagramento e di San Bernardino da Siena; una Badia di padronato Regio sotto il titolo delle Madonna della Vittoria; due Conventi Regolari, l'uno de' Padri Conventuali del Terzo Ordine di San Francesco nella distanza di un miglio in circa dall'abitato, e l'altro de' Cappuccini in distanza di mezzo miglio da Scurcula: ed un Monte Frumentario, il quale somministra de' grandi, e de' legumi per la semina ai coloni poveri. Le produzioni del suo territorio sono grani, granidindia, legumi, vini, ed erbaggi per pascolo di greggi. La sua popolazione ascende a mille duecento sessantaquattro sotto la cura spirituale di un Abate Curato. Questa stessa Terra è rinomata nella Storia per la sconfitta, ch'ebbe ne' suoi contorni Corradino, figliuolo di Corrado I. Re di Sicilia dal Re Carlo I d'Angiò, il quale per questa gloriosa vittoria lo stesso Carlo I d'Angiò fece edificare in distanza di un miglio da Scurcola un gran Monistero de' Padri Cistercensi con vaga Chiesa sotto il titolo della Madonna della Vittoria. Questo Monistero essendo stato abolito fu eretto in Commenda di libera collazione, il cui Regio Abate Commendario oggi è Monsignor Rossi Arcivescovo di Nicosia, e Confessore di Sua Maestà Siciliana. 

Pagina 402 del Dizionario

Ho riportato esattamente ciò che l'abate Sacco ha scritto su Scurcola: una descrizione breve e sostanziale di ciò che esisteva al tempo. Riferimenti alla geografia, alle origini del nome, alle chiese presenti dentro e fuori dall'abitato. Queste ultime nominate una per una: San Sebastiano, San Vincenzo Ferreri, Sant'Egidio e Santo Stefano. Le Confraternite, come si può leggere, erano tre. La quarta, quella del SS. Suffragio, evidentemente, al tempo, non era stata fondata o forse Sacco non ne conosceva l'esistenza. Vengono nominati i conventi francescani, quello di Sant'Antonio e quello dei Cappuccini, e si fa riferimento anche al tipo di colture agro-pastorali praticate. Due dettagli: il monte frumentario è un'istituzione, presente fin dal Quattrocento, che aveva lo scopo di distribuire ai contadini più poveri cereali e legumi che potessero essere seminati ma che andavano obbligatoriamente restituiti al "monte" dopo il raccolto. Inoltre: il "granodindia" altro non è che il mais, da cui deriva la cosiddetta "farina gialla" usata per la polenta e non solo. 

Cartina del Regno di Napoli

Alla fine del Settecento, dunque, la popolazione era composta da 1264 persone. Ovviamente non poteva mancare, come non manca mai in testi di questo genere, il riferimento alla famosa Battaglia del 1268 tra Carlo I d'Angiò e Corradino di Svevia. Per quanto riguarda il "Regio Abate Commendario" dell'antica Abazia della Madonna della Vittoria, si tratta di Monsignor Giuseppe Rossi vescovo titolare di Nicosia, confessore del re, e precettore delle reali principesse, insigne letterato e teologo.



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lunedì 15 marzo 2021

La Croce

La Croce (foto di Massimo Tortora)

La Croce, per gli scurcolani, può indicare una cosa sola. Non ci saranno mai dubbi: la Croce è e sarà sempre quella che si trova sulla cima di Monte San Nicola, il colle che sovrasta il borgo di Scurcola. Andare alla Croce è una sorta di tradizione non scritta che molti scurcolani, e non solo, continuano a mantenere viva nel tempo. Andare alla Croce significa inerpicarsi sul dorso sassoso del monte e raggiungere la cima: gli scurcolani lo fanno da generazioni. La Croce è lì da molto tempo ma non da sempre. Prima della Croce che vediamo oggi, rappresentata da un robusto traliccio e adatta a resistere agli agenti atmosferici, su Monte San Nicola esisteva un'altra Croce formata da un semplice telaio di ferro rivestito di lamiere.

Cartolina dei primi del Novecento: Monte San Nicola senza Croce

La prima Croce venne inaugurata, come precisa Erminio Di Gasbarro [1], il 13 aprile del 1924, Domenica delle Palme. L'idea di installare una croce su Monte San Nicola fu proposta dall'Abate che al tempo curava la Chiesa di Santa Maria della Vittoria, lo scurcolano don Ernesto Ansini. All'epoca, per la lavorazione e il trasporto dei materiali necessari a erigere la prima Croce, parteciparono molti scurcolani, ognuno coi mezzi, con l'aiuto e con le esperienze che possedeva. Fu un'opera collettiva che tutto il paese visse con spirito di condivisione perché tutti amavano l'idea che Scurcola fosse protetta dall'alto dalla presenza di una grande Croce.

Prima Croce. Anno 1943
Dario Colucci e suo zio Ennio Giuseppe Colucci

I decenni passarono e i materiali che costituivano la prima Croce di Scurcola cominciarono a logorarsi, la ruggine che ben presto ricoprì l'intera struttura, andò a erodere la base stessa della Croce. Erminio Di Gasbarro mi ha raccontato che un giorno, tornando da Napoli (al tempo sua sede di lavoro), avvicinandosi al paese in treno, non riuscì più a scorgere la Croce che, a causa delle intemperie e del cattivo stato in cui versava, era crollata a terra. Ciò avveniva, verosimilmente, negli anni Sessanta.

Targa ricordo ai piedi della Croce (foto Massimo Tortora)

Negli anni Settanta, un comitato di cittadini scurcolani si impegnò affinché l'emblema cristiano per eccellenza, la Croce, tornasse al suo posto. A ricordare questa volontà e il lavoro di chi, fisicamente, realizzò la nuova Croce oggi c'è una targa metallica posta da Camillo Assetta (che non conosco) nel 2018 che così recita: "Questa croce posta, nel 1974 in cima al Monte S. Nicola a protezione della comunità di Scurcola Marsicana, è stata realizzata nella bottega del fabbro Fabio Occhiuzzi con la collaborazione dei fabbri Alfredo Mastrocesare e Domenico Petitta".

La Croce illuminata (foto Simone Proietti)

Tornando al testo scritto da Erminio Di Gasbarro: "Epocale fu la cerimonia organizzata per l'inaugurazione e, a memoria d'uomo, fu l'unica circostanza che vide il totale esodo della popolazione. In una domenica primaverile cittadini, autorità civili e religiose, tutti si trasferirono sulla montagna. Alcuni già di buon mattino presero a salire". Un'altra grande "innovazione" che riguarda la nostra Croce è avvenuta nel 2015 quando un gruppo di volenterosi giovani scurcolani pensò di illuminarla. Ma questa è un'altra storia che vale la pena raccontare per bene tra qualche tempo.


Note:

[1] Erminio Di Gasbarro, "Divagazioni", LCL, Avezzano, 2017, p. 21-25.



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mercoledì 10 marzo 2021

Tumulazione di Santa Petronilla: un'altra opera perduta


Di recente ho avuto la conferma che a Scurcola Marsicana, nella Chiesa di Sant'Antonio da Padova, era conservato un dipinto che ritraeva Santa Petronilla. Rintracciare la presenza di un'opera dedicata a questa martire cristiana a Scurcola, onestamente, per me, è stata una sorpresa anche se, in realtà, un minimo accenno a Santa Petronilla era stato già fatto da Dario Colucci in una delle sue passate pubblicazioni [1]. Ultimamente, però, ho recuperato una testimonianza per me nuova, custodita all'interno di un'opera curata dal professor Gustavo Strafforello, pubblicata nel 1899 [2]. 

Nel volume relativo alle Province di Aquila, Chieti, Teramo e Campobasso, nel capitolo dedicato ai "Mandamenti e Comuni del circondario di Avezzano", in riferimento a Scurcola, si può leggere: "Nella chiesa di Sant'Antonio da Padova, fuori del paese, sono poco noti, ma degni di studio, due quadri su legno: una Tumulazione di Santa Petronilla, che è certamente buona copia dell'originale che si conserva nella Pinacoteca Vaticana, e una Deposizione dalla Croce, copia o bozzetto (?) del Quercino. Su tutte queste opere d'arte è stata richiamata, dal prof. De Nino, l'attenzione del Governo".
 
Frontespizio del libro di Gustavo Strafforello

L'accenno, come si può rilevare, è minimo, eppure, nel 1899, qualcuno attesta che, nella chiesa scurcolana di Sant'Antonio, vi fossero due tavole dipinte, una con la rappresentazione della "Tumulazione di Santa Petronilla" e un'altra con la "Deposizione dalla Croce" la quale poteva addirittura essere un bozzetto realizzato dal celebre artista Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino. Da quanto ho potuto ricostruire, anche la "Tumulazione di Santa Petronilla" presente a Scurcola doveva essere copia di un'opera del Guercino che, tra l'altro, dipinse una sola volta tale soggetto.

Il dipinto originale, olio su tela, in realtà, oggi si trova presso i Musei Capitolini, a Roma. Il titolo preciso della grande e bellissima pala è "Sepoltura e gloria di santa Petronilla". È un'opera realizzata dal Guercino tra il 1621 e il 1623 per essere collocata all'interno della Basilica di San Pietro. Successivamente venne trasferita al Palazzo del Quirinale, a lungo residenza stabile dei papi. La tela venne in seguito requisita dalle truppe napoleoniche e portata a Parigi, al Museo del Louvre. Fu poi riportata in Italia da Antonio Canova e collocata nei Musei Capitolini nel 1818. Probabilmente il compilatore di "La patria; geografia dell'Italia" ha confuso i Musei Vaticani con i Musei Capitolini ma, a ogni buon conto, se il dipinto su tavola raffigurante la "Tumulazione di Santa Petronilla" custodito a Scurcola poteva essere considerato "buona copia dell'originale" può voler dire che, per l'appunto, l'opera presente nella chiesa di Sant'Antonio doveva avere un aspetto molto vicino alla pala dipinta dal Guercino

Sepoltura e gloria di santa Petronilla - Guercino

A questo punto sorge spontanea la domanda: che fine ha fatto il dipinto della "Tumulazione di Santa Petronilla" di Scurcola? A tal proposito può essere interessante riportare una missiva risalente al 13 febbraio del 1934, tra il podestà di Scurcola, Vitantonio Liberati, e la Soprintendenza la quale chiedeva notizie in merito ad alcuni arredi sacri presenti nella Chiesa di Sant'Antonio. La risposta del podestà è la seguente:
[...] Probabilmente tale dipinto, sottratto alle rovine del terremoto del 13 Gennaio 1915, unitamente ad altro quadro, che si ritiene sia quello riflettente la Tumulazione di S. Petronilla, e trasportato in questa Sede Municipale, sia andato poi distrutto nell'incendio di detta sede, avvenuto il 11 Gennaio 1922. Anche il busto della Maddalena è rimasto distrutto nel detto incendio dopo di essere stato trasferito dalla chiesa di S. Antonio a seguito del terremoto.
Lo stesso Vitantonio Liberati, il 24 febbraio 1934, continua a fornire e a confermare alla Soprintendenza gli stessi dettagli:
Dissi già nella mia precedente lettera del 13 corrente che due quadri ed il busto della Maddalena salvati dalle rovine andarono poi distrutti nell'incendio di questa Casa Comunale. Probabilmente tali quadri sono quelli che rappresentavano la Deposizione della Croce e la Tumulazione di S. Petronilla; due quadri delle stesse dimensioni e probabilmente della stessa epoca e dello stesso autore.
In un vecchio numero di "Marsica Nuova", il giornale pubblicato negli Stati Uniti dai migranti marsicani nel primo Novecento, in un brevissimo articolo del 1-18 novembre 1921 si legge: "PREZIOSE OPERE D'ARTE SALVATE durante il Terremoto della Marsica - Nel terremoto della Marsica, il capitano dottor Stefano Molle, il dottor Eustachio Meli, direttore della Croce Rossa, ed il signor Vitantonio Liberati, penetrarono con grave pericolo della loro vita, nella chiesa storica di Sant'Antonio a Scurcola dei Marsi, in parte crollata, e riuscirono a mettere in salvo preziose opere d'arte, comprese rimarchevoli terre cotte di Dalla Robbia. Il Conte Vetoli, sindaco di Scurcola dei Marsi, ha portato adesso a conoscenza del sottosegretario delle belle arti, l'atto coraggioso, per il quale le preziose opere d'arte poterono essere conservate al nostro patrimonio artistico". 

Chiesa di Sant'Antonio (foto Tomas Paolucci)

È evidente che la Chiesa di Sant'Antonio da Padova, a causa del terremoto del 13 gennaio 1915, subì danni importanti. Come si evince anche dalla cronaca pubblicata solo nel 1921 da "Marsica Nuova", molte opere lì conservate vennero tratte in salvo e spostate, verosimilmente senza i permessi necessari della Soprintendenza, nella sede municipale. Tra di esse, a quanto pare, c'era anche il dipinto di Santa Petronilla che, come si evince dalle parole del podestà Liberati, era tra quelle portate nella casa comunale in attesa, forse, di essere ricollocate in Chiesa appena possibile. Anche se non sembra essere stato denunciato ufficialmente, pare assodato che l'incendio del 1922 distrusse le opere sacre conservate nel Comune di Scurcola e, tra di esse, anche la tavola con Santa Petronilla


Note: 

[1] Dario Colucci, "1a Appendice a De Scurcola Marsorum", 2011, p. 27.
[2] Gustavo Strafforello, "La patria; geografia dell'Italia. Provincie di Aquila, Chieti, Teramo, Campobasso", Unione Tipografica Editrice, Torino, 1899.



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venerdì 5 marzo 2021

Lo scurcolano che si sposò sul Monte Bianco in una cronaca di Andrea Camilleri


Sposarsi sul Monte Bianco non è una scelta che può permettersi chiunque. E, soprattutto, sposarsi sul Monte Bianco nel 1959 doveva apparire a molti, scurcolani compresi, un'assurdità. Eppure il nostro concittadino Fernando Di Pietro ha avuto la spettacolare idea di convolare a nozze con la donna da lui amata, Clotilde Martinetti, salendo a 4810 metri di altezza. Il racconto di questa meravigliosa avventura mi è stato riferito dalla figlia di Fernando e Clotilde, Fiorella Di Pietro (l'autrice della splendida icona della Madonna con Bambino che si trova nella Chiesa della SS. Trinità). Fiorella, con immancabile generosità e affetto, mi ha permesso di raccogliere la storia straordinaria del matrimonio dei suoi genitori, celebrato, in due momenti, il 19 e 20 agosto 1959 sul Monte Bianco.

La partecipazione di nozze di Fernando e Clotilde

Perché una scelta così stravagante? La risposta, tutto sommato, è semplice: Fernando e Clotilde amavano profondamente la montagna. Chi ha conosciuto Fernando e sua moglie, probabilmente, sa che si erano conosciuti proprio durante un'escursione dei CAI (Club Alpino Italiano) e che, nel corso della loro vita, hanno continuato a salire e a vivere la montagna fino a quando è stato loro possibile. Per descrivere il viscerale legame che Fernando e Clotilde avevano con il mondo della montagna e con la natura, voglio riportare direttamente le parole della figlia Fiorella: "Per loro la montagna era un luogo magico, di evasione, dove fare una esperienza mistica della bellezza e purezza del creato. In montagna si è semplici, autentici, sinceri. Lontani dal mondo del consumismo, dalle lotte di potere, dalle ipocrisie del mondo... dalla ricerca delle apparenze e di tante cose inutili. E più vicini a Dio, loro dicevano. In montagna capisci la tua piccolezza davanti a Dio e impari l'umiltà. Impari che hai bisogno degli amici. Impari la responsabilità per la vita di chi è con te. Impari ciò che è essenziale e ciò che non lo è".

Fernando e Clotilde nel corso di un'ascensione

La montagna, per il nostro Fernando e per sua moglie Clotilde, era parte essenziale della loro stessa esistenza, quindi non potevano esimersi dall'accoglierla, quasi come una suggestiva e gigantesca invitata e testimone, nel corso della cerimonia nuziale di quel lontano 19/20 agosto del 1959. Fiorella mi ha spiegato che lo scambio delle fedi è avvenuto a 4810 metri poi gli sposi e gli amici alpinisti presenti, hanno celebrato la messa in una piccola chiesa che si trova ai piedi del Monte Bianco. Fu un evento eccezionale per i tempi, un evento talmente fuori dagli schemi che un giovane Andrea Camilleri, che al tempo aveva 34 anni, decise di scriverne la cronaca che fu pubblicata sulla Rivista del Club Alpino Italiano.

Andrea Camilleri tra i partecipanti alle nozze

L'articolo di Camilleri, intitolato "Matrimonio sul Monte Bianco", inizia con queste parole: "Erano le ore 7 del 19 agosto 1959, quando quindici alpinisti romani piantarono la loro piccozza sulla vetta del Monte Bianco. Immediatamente – dato che la temperatura di 35 gradi sottozero e un forte vento gelido non consentivano indugi – ebbe inizio il rito nuziale. Il Monte Bianco non aveva mai visto nulla di simile, sulla sua cima. Era un'esperienza nuova per lui". Camilleri racconta nel dettaglio la salita e le atmosfere respirate durante la faticosa ma affascinante scalata del Monte Bianco. Come detto, lo scambio degli anelli, compiuto il 19 agosto, è avvenuto in vetta: "Ci sono tutti. Anche quelli che hanno rinunciato" scrive Andrea Camilleri "Perché il loro cuore è quassù, ove, con tutta l'anima, avrebbero voluto essere. Sono ora il Val Veni o a Chamonix o chissà dove, e pregano per noi, perché tutto vada bene. Tilde e Nando si scambiano le fedi, benedette con il breve e commovente rito da don Norese; il matrimonio avverrà domani a Notre Dame de la Guérison… se tutto andrà bene durante la discesa".

Gli sposi e gli invitati a Notre Dame de la Guérison il 20 agosto 1959

La discesa, ovviamente, è andata bene e tutti si ritrovano, il giorno successivo, 20 agosto, nella piccola Chiesa di Notre Dame de la Guérison in cui avverrà il rito religioso. Continua Camilleri nella sua cronaca: "Il fratello della sposa, P. Giovanni Martinetti, della Compagnia di Gesù, dopo la celebrazione del rito sacro, prende lo spunto dell'ascensione al Bianco per ricordare agli sposi la nuova, ardua ascesi che li attente. Tutto, qui, è semplice e sincero…".

***

Ringrazio Fiorella Di Pietro per avermi raccontato la storia del matrimonio sul Monte Bianco dei suoi genitori e per aver messo a mia disposizione, e quindi a disposizione del blog, le immagini relative a quell'evento straordinario celebrato il 19 e 20 agosto 1959.


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Il filosofo Antonio Rocco tra “Le Glorie degli Incogniti” (1647)

Siamo nella Venezia del Seicento, la città più cosmopolita della penisola. Giovanni Francesco Loredan ha solo 27 anni quando, da giovane no...