sabato 30 ottobre 2021

La vacca rinvenuta


Lo ammetto, questo è un post-facezia. Un post breve e senza particolari risvolti culturali. Non parlerò d'arte né di prestigiosi personaggi scurcolani né di rinvenimenti clamorosi. Parlerò solo di una vacca rinvenuta. Tutto parte da una segnalazione che ho letto, quasi per caso, durante le mie solite ricerche online. Si tratta di documento risalente al 15 dicembre 1832 pubblicato sul "Giornale dell'Intendenza del 2° Abruzzo Ulteriore", precisamente nel n. 219. La nota che ho rintracciato è rivolta a "A' Signori Sottintendenti e Sindaci della provincia" dell'Aquila.


Il testo della segnalazione

Questo il fatto: "Ferdinando Liberati di Scurcola à rinvenuta una vacca. Se mai il proprietario appartenga a qualche comune di loro amministrazione lo facciano conoscere per fargliela ricuperare, dopo che ne avrà indicato le fattezze". Firmato: intendente Principe Capece Zurlo. Avevo avvisato: trattasi di facezia. In sostanza il nostro Ferdinando Liberati aveva ritrovato una vacca e, con grande onestà, lo ha segnalato a chi di dovere che, a sua volta, ha diramato un avviso ai Sottintendenti e Sindaci della provincia per rintracciare il proprietario della vacca.

Nel 1832 era arduo fare fotografie alle persone figuriamoci alle vacche, per cui l'eventuale restituzione dell'animale potrà avvenire solo dopo che saranno indicate le "fattezze" della vacca. Tutto ciò mi ha fatto sorridere e mi ha semplicemente spinto a raccontare questa breve, e forse anche un po' sciocca, storiella d'altri tempi. Ovviamente non sapremo mai se la vacca fu mai riconosciuta, e quindi ritrovata, dal suo proprietario.


Note:
Immagine di apertura: "Mucca al pascolo" dipinto di Lorenzo Delleani (1904), particolare.



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lunedì 25 ottobre 2021

Padre Riccardo Rossi, missionario scurcolano in Kenya


Padre Riccardo Rossi è uno scurcolano speciale che ha scelto una vita speciale: essere missionario cristiano in Africa. Padre Riccardo riposa ormai da molti anni (è scomparso il 7 dicembre del 2000) nel cimitero di Scurcola, il suo paese natale, e a Scurcola, nel corso della sua vita, è tornato regolarmente. Padre Riccardo, che personalmente credo di aver visto solo una volta o due, ha trascorso circa 60 anni della sua vita in Kenya. Era nato a Scurcola l'8 novembre del 1912, ultimo di dieci fratelli, figlio di Francesco e di Vittoria Nuccetelli. Frequentò le elementari a Scurcola, allievo del maestro Antonio Durante, e scelse di entrare nel Seminario di Avezzano ancora ragazzino.

Proseguì gli studi superiori presso il Seminario di Chieti e qui maturò la volontà di divenire missionario. Entrò nell'Istituto dei Missionari della Consolata, fondato a Torino dal Canonico Giuseppe Allamano ai primi del Novecento, il 20 ottobre del 1933. Seguì il suo noviziato a Uviglie, nel Monferrato, e fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1939, all'età di 26 anni e mezzo. Pochi mesi più tardi, nell'ottobre 1939, partì per il Kenya per raggiungere la sua prima missione, quella di Egogi in Meru. Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale la vita di padre Riccardo, come quella di molti missionari, fu stravolta.

Padre Riccardo Rossi nel 1939

Qualche tempo fa mi sono rivolta, via e-mail, l'Archivio dell'Istituto dei Missionari della Consolata di Roma, e sono entrata in contatto con la dottoressa Carmen Sceppacerca, persona estremamente preparata e molto cortese, la quale mi ha inviato del materiale relativo alla vita missionaria di padre Riccardo. Tra i vari documenti che ho potuto leggere, ci sono un paio di toccanti lettere che padre Riccardo scrisse ai suoi superiori il 7 settembre del 1941 e il 22 gennaio del 1942 dal campo di internamento di Koffiefontein, in Sud Africa, dove rimase rinchiuso per più di quattro anni insieme ad altri 2000 prigionieri di guerra italiani. In un passaggio della missiva del 1942, padre Riccardo scrive: "Noi qui si sta come si può. In questi tempi abbiamo un caldo di inferno [nell'emisfero australe le stagioni sono invertite, ndr]. Arriva fino a 40°-41°. Delle nostre Missioni Meruine sappiamo poco. Però in genere cerchiamo d'andare avanti. Da Torino poco o nulla sappiamo".

Gruppo di Missionari della Misericordia nel campo di Koffiefontein
(padre Riccardo segnato col cerchio rosso)
Fonte: I Campi di Prigionia in Kenya

Il 28 agosto 1944 padre Riccardo, insieme ad altri prigionieri, viene rilasciato. Da lì a poco riesce a tornare in Kenya, nella missione di Gaiciangiro, presso il gruppo etnico dei Kikuyu, tra persone che, nei decenni, ha aiutato a crescere, sia spiritualmente che culturalmente. Un missionario attento, attivo e molto vicino al popolo africano. Riccardo non si è dedicato solo all'opera evangelica, ma ha cercato di migliorare costantemente la vita e il lavoro agricolo in quella piccola zona del Kenya. A lui si deve anche la fondazione di scuole e la diffusione dell'istruzione tra i più giovani.

In una lettera, datata 27 agosto 1946 padre Riccardo scrive: "Oggi stesso ho ricevuto l'annunzio della morte di mia mamma. Preghi per me e per essa". Probabilmente Vittoria Nuccetelli era deceduta tempo addietro, ma Riccardo seppe della morte della madre solo in quel momento e ne scrive ai superiori, in Italia. In un'altra missiva dell'ottobre 1946, invece, si legge: "si lavora tanto. Il lavoro si è moltiplicato grandemente e le braccia sono poche [...] Qui a Gaiciangiro siamo solo in due con fratello Vincenzo Quaglia. Ma c'è lavoro per cinque padri e due fratelli e sette suore [...] Mancano i soldi, manca il personale, manca l'appoggio. Per fortuna non manca il Signore".

Targa sulla vecchia scuola di Scurcola

A Scurcola la memoria di padre Riccardo Rossi è ancora viva perché sono ancora tante le persone che lo ricordano. A lui, alcuni anni fa, è stata intitolata la vecchia scuola del paese. Molti scurcolani lo descrivono come un uomo un po' schivo e discreto, abituato a parlare pochissimo di sé, dei suoi moti interiori, delle sue riflessioni più intime. Nonostante ciò, come ricorda padre Giuseppe Mina in una sua testimonianza sull'amico, "gli africani lo chiamano «il Muto», perché parlava sempre!". 

La tomba di padre Riccardo Rossi nel cimitero di Scurcola

Ed è sempre padre Giuseppe a ricordare gli ultimi periodi di vita del missionario scurcolano: "Era giunto alla nostra casa il 10 ottobre 1999. Reduce forzato del Kenya, per le gambe che si erano indebolite. Difatti non tardò di essere un dipendente della carrozzella […] Nella Casa Beato Allamano [di Alpignano, in provincia di Torino ndr], padre Riccardo rimase poco più di due anni, ma, come già ho detto penso che gli sia costato assai, quell'essere legato ad una carrozzella. Da quel seggio, poteva venire con la comunità alla Messa festiva, scendere per i pasti, poteva partecipare alle adunanze e alle conferenze, vedere la TV, leggere e pregare, questo si è tanto, ma mi sembrò sempre un leoncino imbrigliato. Ma al buon Dio era piaciuto così. E gli sembrò bastare, tanto che gli procurò una morte istantanea, che lo fece incontrare con il Signore Gesù, alla vigilia dell'Immacolata, di cui era un devoto ardente".

***

Ringrazio l'Archivio dell'Istituto dei Missionari della Consolata di Roma e, soprattutto, ringrazio la dottoressa Carmen Sceppacerca che ha condotto una ricerca documentale senza la quale non avrei potuto scrivere questo post.



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mercoledì 20 ottobre 2021

I versi di Dante presso le rovine dell'Abbazia di S. Maria della Vittoria


Visitare i ruderi dell'antica Abbazia cistercense duecentesca, dedicata da Carlo I d'Angiò a S. Maria della Vittoria, potrebbe essere una delle molteplici iniziative che sarebbe opportuno organizzare con una certa sistematicità. Possediamo ancora pochi resti visibili degli imponenti edifici sacri voluti dal re francese, questo è vero, ma essi continuano a rappresentare, per Scurcola e non solo, il monumento storico originale legato a un episodio storico di importanza fondamentale: la Battaglia del 23 agosto 1268. Personalmente ho visitato il sito in cui si erigevano l'Abbazia e il convento dei cistercensi una sola volta: correva l'anno 2000 (durante il Grande Giubileo) e, in occasione dei festeggiamenti riservati alla Madonna della Vittoria, con tanti altri scurcolani, sono andata a piedi fino alla Cardosa al seguito della Madonna.

Frontespizio della Relazione

Era esattamente il 28 agosto 1892 quando venne deciso di apporre una lapide coi celebri versi di Dante Alighieri, quelli inclusi nel XXVIII canto dell'Inferno (e, là da Tagliacozzo, Ove senz'armi vinse il vecchio Alardo), su uno dei muri appartenuti all'Abbazia. L'episodio è descritto all'interno della preziosa "Relazione dei lavori eseguiti dall'Ufficio nel quadriennio 1899-902" [1]. Il relatore scrive: "Alla consegna formale dei ruderi, secondo l'atto suddetto già approvato dal Ministero, fu proceduto il 28 agosto 1892, con l'intervento del Direttore dell'Ufficio, il quale diede le opportune disposizioni perché sopra uno dei ruderi più in vista fosse posta una lapide con su scolpiti i versi di Dante … a ricordo dell'avvenimento storico colà compiutosi nel 1268".

Ruderi dell'Abbazia durante gli scavi del 1900

La "consegna formale dei ruderi", come si può capire leggendo la Relazione, era avvenuta nello stesso frangente: "nell'agosto 1892, i predetti ruderi furono dati in consegna al sig. Pietro Di Clemente, proprietario della tenuta di cui prima facevano parte integrale. Venuto il consegnatario a morte nel 1892, il figlio di lui signor Vincenzo Di Clemente, fece reiterate istanze al Ministero per ottenere la rinnovazione della consegna di quei ruderi in surrogazione del defunto genitore" [2]. Quindi, nel momento in cui i resti dell'Abbazia di S. Maria della Vittoria vennero ufficialmente consegnati a Vincenzo Di Clemente, il 28 agosto 1892 (mi piace immaginare durante una cerimonia), si appose la lapide che riportava i versi di Dante.

Vecchia fotografia della Madonna della Vittoria

Non posso dire se la lapide ottocentesca sia ancora al suo posto. Sono trascorsi circa 130 anni dal momento in cui l'ente diretto dall'Ingegnere e Architetto Giulio Deangelis dispose la sua collocazione su uno dei ruderi sopravvissuti ai terremoti, alle intemperie e all'incuria di secoli. Come detto, ho visitato il luogo in cui sorgeva l'Abbazia una sola volta e, come tanti, sarei felice di poter accedere nuovamente all'antico sito che, a quanto mi risulta, è abbandonato a sé stesso ancora una volta e da diverso tempo: un destino impietoso e incontrovertibile, evidentemente.


Note:
[1] "Relazione dei lavori eseguiti dall'Ufficio nel quadriennio 1899-902" a cura dell'Ufficio Tecnico per la Conservazione di monumenti di Roma e provincia e delle Provincie di Aquila e Chieti. Direttore: Ingegnere Architetto Giulio Deangelis, Roma, Forzani e C. Tipografi del Senato, 1903, p. 289
[2] id. p. 286



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venerdì 15 ottobre 2021

La Venere


Ho scattato la foto che apre questo post solo pochi giorni fa: la nostra Venere oggi. È del tutto evidente che la splendida fontana storica di Scurcola ha urgentemente bisogno di essere curata, ripulita, restaurata. Per gli scurcolani la Venere è ormai da tanti anni un emblema, un punto di riferimento spaziale e affettivo. Come sappiamo ha perso completamente l'uso per il quale venne realizzata (l'essere una fontana) ma può e deve rimanere almeno uno dei simboli d'arte, di storia e di bellezza del nostro paese, qualcosa che Scurcola non può permettersi di lasciar deteriorare, come purtroppo è già accaduto in altre circostanze.

Fontana della Venere oggi

La posizione che la Venere occupa attualmente, al centro del piazzale che tradizionalmente prende il suo nome, dietro al vecchio edificio scolastico, non è, come molti sanno, quella originaria. Ci sono diverse foto d'epoca che ci mostrano la Fontana della Venere proprio al centro di quella che, ai tempi, era Piazza Vetoli, divenuta poi Piazza Risorgimento. Come ho scritto altre volte, e spiegato a chi me lo ha chiesto, personalmente mi piacerebbe veder tornare la Venere lì dove i nostri avi l'avevano collocata, in una posizione centrale, importante, visibile e ben riconoscibile.

Fontana della Venere in piazza (primi '900)

La Venere fu commissionata dagli amministratori di Scurcola quando, nel 1888, giunse in paese la prima conduttura d'acqua potabile. Ai tempi (e ancora per molto tempo), nessuno in casa aveva i rubinetti con acqua corrente, nessuno aveva dei servizi igienici, nessuno poteva permettersi di curare la propria igiene personale quotidianamente, con tutte le conseguenze sanitarie che possiamo immaginare. Non sappiamo chi scelse il soggetto: una splendida divinità che prende il bagno, la Venere Anadiomene, copia dell'opera scultorea dell'artista francese Christophe-Gabriel Allegrain (1710-1795), allievo e assistente del più famoso scultore Jean-Baptiste Pigalle.

Fontana della Venere in piazza (primi '900)

Sulla struttura che sorregge la Venere, in diversi punti, è riportato il nome della fabbrica storica che l'ha realizzata: Val d'Osne. Si tratta di una fonderia d'arte, non più attiva, situata fuori dal comune di Osne-le-Val, nell'alta Marna, Francia nord orientale. Venne avviata nel 1836 da Jean-Pierre Victor Andre e da quel momento cominciò a produrre oggetti di arredo urbano e ghisa decorativa. Nell'arco di alcuni anni la Val d'Osne divenne la più grande azienda di produzione di ghisa artistica di Francia e le opere prodotte vennero esportate in tutto il mondo. Anche in Italia, anche a Scurcola, evidentemente.

Marchio "Val d'Osne" sul basamento della Venere

Secondo i racconti degli scurcolani, la presenza della Fontana della Venere o, meglio, le sue sensuali fattezze, avrebbero arrecato disturbo alla moglie del Sindaco del tempo la quale, dalle finestre della sua abitazione, posta proprio alle spalle della fontana, non tollerava la vista del fondoschiena della statua. Così, alla fine degli anni Quaranta, la statua fu rimossa. Non trovando una collocazione migliore, venne abbandonata nel cortile dell'edificio scolastico dove rimase più di un trentennio.

Nuova installazione della Venere (1974)
Prima edizione della Sagra della Ciammella

Fu solo nel 1974 che un comitato costituito da diversi cittadini scurcolani decise di rimetterla in sesto e restituirle la dignità che ha sempre meritato. La Fontana della Venere fu posizionata lì dove ancora oggi è possibile vederla anche se, a mio personale giudizio, averla trasformata in una sorta di "rotatoria" non le si addice per niente anzi, forse la penalizza più di quanto sia già stato fatto. La Venere è il fulcro della famosa "Sagra della Ciammella" che, fatta eccezione per gli ultimi due anni, caratterizzati dalle restrizioni Covid, è sempre stata celebrata, più o meno attorno al Ferragosto, nei pressi di questa storica fontana dalle cui cannelle, per l'occasione, sgorga vino. Spero vivamente che nel 2022 si possa tornare a una piena normalità così da riuscire a organizzare di nuovo la "Sagra della Ciammella". E chissà se la Venere, per la prossima estate, avrà recuperato il suo aspetto migliore.



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domenica 10 ottobre 2021

La Madonna della Rosa nella cappella Curti-Liberati


La terza cappella a sinistra della Chiesa della SS. Trinità, come tutte le altre, è stata eretta e decorata, in prima istanza, nel corso del Seicento; così come è accaduto per la Cappella dell'Angelo Custode, l'unica ad aver mantenuto il suo aspetto originario. La cappella di cui sto scrivendo potrebbe essere denominata della Madonna della Rosa, per via del bel dipinto che la contraddistingue, oppure cappella Curti-Liberati, riprendendo i nomi delle prestigiose famiglie scurcolane che l'hanno detenuta per lungo tempo.

Lo stile attuale della cappella denota, evidentemente, un rifacimento settecentesco, ben evidente dal gusto, dai materiali e della foggia. È molto probabile che furono i Liberati a rinnovare gli arredi della loro cappella di famiglia nel corso del XVIII secolo. E credo di poter affermare con discreta sicurezza che a quel periodo risale anche la bellissima pala con la rappresentazione della Madonna della Rosa con i santi Filippo e Giacomo. Non è da escludere che i committenti del dipinto, come di solito accadeva, fossero devoti proprio alle figure sacre rappresentate.

Madonna della Rosa coi Santi Filippo e Giacomo

I santi Filippo e Giacomo (il minore), come si evince dall'opera pittorica, sono posti ai piedi della magnifica figura della Madonna, cinta dal suo mantello azzurro mentre con la mano sinistra abbraccia e sostiene un Gesù bambino (che regge, a sua volta, il globo terrestre) e con la mano destra tiene una rosa di colore rosa. San Filippo e san Giacomo, come sappiamo, sono due dei dodici apostoli e vengono solitamente avvicinati, anche iconograficamente, poiché le loro reliquie sono state deposte insieme presso la Basilica dei Santi Apostoli a Roma. San Filippo si trova a sinistra e regge un bastone uncinato mentre San Giacomo è a destra e sostiene un libro.

Come detto questa cappella un tempo era detenuta dalla famiglia Curti di cui a Scurcola, oggi, non restano discendenti. Secondo quanto si può evincere dal testo in latino contenuto in uno stemma posizionato a destra del quadro della Madonna della Rosa, la cappella fu eretta nel 1623. La fondazione della cappella si deve a Paola Curti. Nel 1739 l'ultimo dei Curti lasciò il giuspatronato della cappella a suo cugino, Francesco Liberati. Nello stemma si può leggere il nome del canonico don Benedetto Liberati a cui viene anche associato l'acronimo MC che potrebbe significare "minore conventuale". Don Benedetto Liberati, "fratribus atque patronibus", ossia fratello e protettore, potrebbe aver contribuito a rinnovare gli arredi sacri della cappella nell'anno 1766, come scritto.

Stemma con iscrizione - 1766

A sinistra della Madonna della Rosa è posizionato un altro stemma che racchiude una piccola campana sovrastata da due stelle a otto punte. Sono indotta a ritenere che l'emblema della campanella sia riconducibile alla famiglia Liberati. Non è un caso, infatti, che la stessa campanella, oltre che all'interno della cappella, sia presente anche su un antico portale, tuttora presente nel centro storico di Scurcola, lungo via Corradino. Secondo quanto mi è stato spiegato da diversi scurcolani, in quel palazzetto, un tempo, abitava proprio la famiglia Liberati, prima di trasferirsi nella parte bassa del paese, nei pressi di quella che oggi è chiamata Piazza Umberto I e che un tempo era denominata Piazza dell'Oca.

Stemmi con campanella presenti a Scurcola

Uno stemma con una campanella si trova, quindi, su un portale che conduce a un palazzetto (oggi sottoposto a sequestro giudiziario) nel quale, secondo quanto ho potuto rilevare, tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento, abitava il maestro e storico Fabiano Blasetti, originario di Petrella Liri (frazione di Cappadocia). Costui il 20 marzo 1874 aveva sposato una discendente della famiglia Liberati, Maria Aurora (nata il 6 agosto 1849, figlia di Giuseppe Liberati e Teresa Barnaba). È verosimile, infatti, che Maria Aurora Liberati abitasse con suo marito, il maestro elementare di Scurcola, Fabiano Blasetti, proprio in casa Liberati, su via Corradino, lì dove è ancora possibile vedere il simbolo della campanella, lo stesso che troviamo nella cappella che, nel 1739, divenne proprietà dei Liberati.



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martedì 5 ottobre 2021

Quel che resta di Fonte Arnici


Qualcuno è stato, di recente, a Fonte Arnici? Io l'ho fatto qualche giorno fa, insieme a mio padre. Volevo dedicare un post a una delle sorgenti d'acqua più note di Scurcola e, dopo aver percorso via Aranoria e oltrepassato il passaggio a livello, direzione Villa San Sebastiano, mi sono imbattuta in quel che resta di Fonte Arnici (o Fontarnici o Fontarnisi). Uno scenario pietoso, soprattutto perché ricordo benissimo ciò che era Fonte Arnici qualche anno fa: un luogo verdeggiante in cui "rifugiarsi" e riposare, una piccola oasi di tranquillità con panche, tavoli e silenzio. Ciò che ho visto adesso mi ha rattristata profondamente.

Tettoia danneggiata e tegole cadute

Fonte Arnici non solo è stata vandalizzata ma sta pagando il prezzo dell'abbandono. Eppure alcuni scurcolani, anni fa, hanno lavorato al suo recupero e al suo ripristino (Licinio Mazzei, Loreto Nuccetelli, Angelo Trombetta, solo per citarne alcuni), hanno impiegato soldi, energie ed esperienza per bonificare la sorgente e per costruirle attorno un minuscolo spazio di quiete e di ristoro. Oggi: la pensilina di ingresso è stata seriamente danneggiata da un ramo, la staccionata è a terra, tavoli e panche non esistono più, l'acqua è putrida, l'erba non è più curata, le cartacce sono immancabili e c'è anche chi ha piazzato una lastra di cemento con tanto di dedica d'eterno amore a pochi centimetri dalla fonte.

Il tronco bruciato e Fonte Arnici

Nel maggio del 2020 Tomas Paolucci mi segnalò che qualche "vandalo", oltre ad aver divelto i tavoli e le panche lasciandole in acqua, aveva tentato di incendiare uno degli alberi accanto alla Fonte. I pezzi di ciò che è stato distrutto, ovviamente, sono stati rimossi ma quel che resta di Fonte Arnici non è molto, ormai. Il lavoro e la passione di chi ha restituito vita e bellezza a questa antichissima fonte, che per secoli è stata utilizzata dai nostri contadini per irrigare i campi, sono stati annientati da altri che, evidentemente, non hanno mostrato alcun rispetto per ciò che è semplicemente bello ed è di tutti. Paradossalmente anche loro.

"Scene" dell'area di Fonte Arnici

Mi chiedo spesso perché tutto debba essere sempre sorvegliato, perché niente possa sottrarsi alla stupidità di chi agisce per noia o per banale idiozia, perché un luogo che è stato messo a disposizione di tutti debba diventare oggetto dello scempio di pochissimi. Loreto Nuccetelli, in un "avviso" ormai scolorito, conservato presso una bacheca sotto la tettoia, ha scritto: "Si esortano tutti i frequentatori dell'area di Fonte Arnici a rispettarla e lasciarla pulita dopo l'uso" e poco oltre "Ringrazio tutti quelli che vorranno in futuro rispettare queste attenzioni, anche a nome di tutti quelli che hanno lavorato volontariamente sia nel recupero che nel continuo lavoro manutentivo dell'area". Mi spiace Loreto, non è stato fatto.



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venerdì 1 ottobre 2021

Ciao Dario


Il mio caro amico Dario Colucci non c'è più. Si è spento questa mattina. A darmi la triste notizia la cugina Loredana Colucci e poi sua figlia, Valeria. Con Dario scompare un pezzo della storia di Scurcola e la rassicurante saggezza di chi ha tanto vissuto. Dario era nato nel 1930 e io ho avuto modo di conoscerlo tanti anni fa, quando mi chiese di aiutarlo a sistemare alcuni contenuti del suo libro "De Scurcola Marsorum".

Dario ha sempre amato immensamente Scurcola e l'ha dimostrato anche attraverso i suoi scritti. Con lui ho sempre avuto un buonissimo rapporto fatto di fiducia, rispetto e risate. Aspettava l'estate per tornare a Scurcola e riuscire a incontrare i paesani coi quali amava soffermarsi a parlare di tutto. Negli ultimi anni i suoi occhi non volevano più saperne di assisterlo fino a quando lo hanno abbandonato del tutto.

Lo incontravo, di solito, per le strade del paese col suo bastone, fino a quando ha potuto. Andavo a trascorrere qualche ora con lui nel giardino della sua casa, all'ingresso del paese. Era lì, seduto all'ombra e riconosceva la mia voce da lontano. Abbiamo parlato tanto e mi ha raccontato tanto, felice che, attraverso il blog, riuscissi a recuperare ricordi che erano anche suoi.

Brontolone, testardo, polemico e forse anche un po' dispotico ma era anche generoso, attento e sempre disponibile. Almeno con me. Fu felicissimo quando, nel 2019, gli dedicai un articolo attraverso il quale descrissi la sua esperienza come giudice olimpico durante le Olimpiadi di Roma del 1960. Credo che abbia stampato e conservato quel testo, fiero che qualcuno ricordasse una sua straordinaria esperienza di vita.

Voglio molto bene a Dario, gliene vorrò sempre. Mi spiace non essere riuscita a vederlo questa estate. Mi hanno detto che non stava bene e che è rimasto in casa. Non volevo dargli disturbo e, quindi, non sono andata a trovarlo come ho sempre fatto. Mi spiace non essere riuscita a vederlo e mi spiace non essere riuscita a salutarlo come avrei voluto. Lo saluto adesso e lo ricorderò per sempre: ciao Dario.

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