domenica 30 maggio 2021

Quando andò distrutta l'Abbazia di S. Maria della Vittoria?


Le Muraccia: è così che chiamiamo i ruderi dell'antica Abbazia cistercense di S. Maria della Vittoria. La sua edificazione, come abbiamo imparato leggendo diversi documenti storici, ebbe inizio nel 1274, qualche anno più tardi rispetto alla Battaglia del 23 agosto 1268. Come riporta Pietro Egidi nel suo saggio [1]: "nel 1273 già era stato stabilito che i due cenobi, di Scurcola e di Scafati, sorgessero, e la volontà regia era già stata comunicata ai padri dell'ordine cistercense". E poche pagine dopo: "La commissione (meraviglie di tempi lontani!) assolse il suo compito con grande sollecitudine. Le era stato affidato il primo di gennaio del 1274; un mese dopo aveva compiuto il viaggio, scelto il luogo, fatto i preventivi, e mandati al re, che era in Puglia…".

Ritratto di Leandro Alberti (1479-1552)

Delle fasi edificatorie dell'Abbazia voluta da Carlo I d'Angiò mi occuperò in futuro, in questo post vorrei soffermarmi, invece, sulla sua distruzione e, quindi, sulla sua inesorabile perdita. Lo stesso Egidi all'inizio del saggio citato fa riferimento al fatto che ormai, ai primi del Novecento, del maestoso edificio resti poco o nulla: "pochi muri smozzicati sporgono fuori dal cumulo delle macerie. Sono i miseri avanzi della sontuosa abbazia, innalzata dalla superbia del vincitore a segnare il luogo". Recuperando la testimonianza di Leandro Alberti [2], storico, filosofo e inquisitore bolognese morto nel 1552, si ha la sicurezza che già prima del 1550 (anno di pubblicazione della sua opera) della nostra Abbazia non rimanesse in piedi granché. L'Alberti, attraversando i nostri territori e osservando i luoghi, scrive:
Nel mezzo di questi termini evvi una valle molto bassa larga 10000 passi e molto più lunga. Et talmente da ogni lato è serrata l'entrata dei campi Palentini, et quella Valle, nella quale combatterono ambedue gli esserciti insieme. Fu adunque superato nel mezo di questa pianura Corradino da Carlo antidetto. Onde il prefato Carlo vi fece edificare una sontuosa Chiesa, con un superbo monastero chiamandolo Santa Maria della Vittoria, per la vittoria ottenuta in detto luogo. Et consegnò buoni redditi à i Monachi, quali servivano alla detta Chiesa. Vero è, che per li continui terremoti è rovinata la Chiesa col monasterio, come si vede. Veramente la fu opera di grande spesa, come si può conoscer dalle rouine di quella, conciosia, che tutti questi edifici erano fatti di pietre quadrate molto misuratamente lavorate, e con gran magisterio, e parimente l'antidetto Monasterio, che in vero à veder detti rovinati edifici, ne risulta gran compassione a i risguardanti.
Si tratta, come detto, di un testo scritto a metà del Cinquecento con tutte le caratteristiche della lingua del tempo. Leandro Alberti lascia ben intendere che l'Abbazia, la cui edificazione venne ultimata probabilmente nel 1282, a distanza di poco più di duecento anni era già ridotta alla rovina. Tornando all'Egidi, egli ipotizza che "l'abbazia dovrebbe esser rovinata proprio gli ultimi anni del XV o i primi del XVI: forse nei terremoti del 6 marzo 1498 o in quelli del gennaio 1502, o del marzo 1506". In realtà, leggendo una lista dei terremoti più potenti di quei secoli, si rileva che dalla fine del Duecento, nei nostri territori, vi furono numerosi e gravi terremoti: nel 1349, ad esempio, vi fu una scossa nel centro Italia che distrusse numerose città abruzzesi e provocò molte vittime; un altro, piuttosto importante, vi fu il 26 novembre 1461, poi quello del 1506 citato dall'Egidi.

Le rovine dell'Abbazia di S. Maria della Vittoria ai primi del '900

Di certo gli eventi sismici procurarono danni ingenti alla Chiesa e al Monastero che sembra essere stato definitivamente abbandonato dai monaci già dal 1550. I Colonna, signori di queste terre ai tempi, non fecero nulla per salvare il salvabile, anzi probabilmente favorirono, per tutelare i propri interessi terrieri, l'ulteriore spoliazione di ciò che restava. Quindi, nonostante l'imponenza e la ricercata grandiosità, la nostra Abbazia ebbe, tutto sommato, una vita molto breve. Carlo I d'Angiò avrebbe voluto lasciare ai posteri il segno tangibile della sua potenza e della sua vittoria sul giovane Corradino ma il tempo, gli eventi e gli uomini hanno tramutato il suo desiderio di "eterna memoria" in una cava a cui attinsero gli abitanti di Scurcola e quelli dei paesi vicini per recuperare pietre e altri materiali per costruire chiese, case, stalle, mura e altri manufatti.


Note:
[1] Pietro Egidi, "Carlo I d'Angiò e l'Abbazia di S. Maria della Vittoria presso Scurcola", in "Archivio storico per le province napoletane" vol. 34 (1909) p. 252-291.
[2] Leandro Alberti, "Descrittione di tutta Italia, nella quale si contiene il sito di essa, l'origine et le Signorie delle Città et delle Castella", Bologna, 1550.



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