giovedì 28 maggio 2020

La Madonnina invisibile di Via T. Patini


Lungo via della Trinità, a Scurcola Marsicana, sul lato destro della strada che sale oltre la Chiesa parrocchiale, si trova un vicolo senza uscita intitolato a Teofilo Patini.  Per chi non lo sapesse, Patini è stato un famoso pittore abruzzese nato a Castel di Sangro nel 1840: nei suoi quadri ritrasse soprattutto la civiltà contadina abruzzese di fine Ottocento e primi del Novecento. In questo post, però, non voglio dedicarmi al famoso artista abruzzese ma a un'opera d'arte diversa e, temo, completamente ignorata. Mi riferisco all'affresco che doveva raffigurare una Madonna, oggi non più visibile perché rovinato dalle intemperie, dall'incuria e da interventi umani davvero poco rispettosi della superficie su cui questa piccola figura sacra si trovava. 

Ciò che resta dell'affresco
Mi sono addentrata in via Patini quasi per caso, durante una delle mie innumerevoli passeggiate tra le strade del borgo di Scurcola. Giunta alla fine del breve vicolo cieco, sul lato destro, ho notato la presenza di alcuni antichi edifici, ormai parzialmente diruti e inutilizzati. Accanto a un vecchio portone di legno, su un muro scrostato e sbiadito, ho individuato un'iscrizione in latino e le tracce di quello che doveva essere un affresco. Il dettaglio che mi ha fatto immediatamente capire che potrebbe trattarsi di una Madonnina è rappresentato dal noto e diffuso simbolo mariano, colorato di rosso, posto in cima al perduto ritratto, e costituito dall'intreccio della lettera M e della lettera V (Maria Vergine), un simbolo che ritroviamo inciso anche su diversi portali di Scurcola

Simbolo mariano in cima all'affresco
Nella parte bassa dell'opera si trova un'iscrizione che ormai si legge solo in parte. Le uniche parole visibili sono: COLVMBA MEA / VLA ORIGINALIS NOME / IN TE. Probabilmente si tratta di titoli associati tradizionalmente al nome di Maria. Inoltre, in una sorta di cornice che circonda il perduto ritratto della Madonna, si leggono le parole finali (VIARVM SVARUM) di una frase che doveva essere più lunga. Facendo una piccola ricerca tra i testi sacri, ho rinvenuto quella che potrebbe essere stata l'iscrizione completa, ossia "Dominus possedit me in initio VIARUM SUARUM". La frase è tratta dalla Bibbia, per la precisione dal Libro dei Proverbi. Sta a significare che Dio volle la Vergine Maria fin dall'inizio di tutte le cose, quell'inizio in cui fu voluto anche Cristo, prima e indipendentemente di tutti

Iscrizione con alcune parole ancora leggibili
Rinvenire per caso i frammenti di un affresco ormai quasi invisibile è stato per me molto emozionante e ha confermato, una volta di più, che il borgo di Scurcola conserva piccoli grandi tesori che hanno bisogno di essere riportati alla luce, raccontati e difesi. Non sapevo dell'esistenza di questa Madonnina, nessuno me ne ha mai parlato e ho la sensazione che la stragrande maggioranza degli scurcolani non l'abbiano mai vista. Mi spiace solo che questa opera d'arte, seppur rudimentale e minima, sia ridotta ormai in pessimo stato, mi spiace che nessuno l'abbia salvata o protetta in qualche modo. Ora che la sua esistenza è evidente, spero non solo che essa venga vista e apprezzata da più persone ma che possa essere restaurata e, per quanto possibile, recuperata.



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lunedì 25 maggio 2020

Il vecchio municipio di Scurcola tra due antichi stemmi e un leone mutilato


Via delle Scuole si trova a poca distanza da Porta Cantalupo, salendo, sul lato destro. Probabilmente il suo nome deriva dal fatto che, percorrendola, si giunge proprio di fronte all'Arco Ansini, lì dove un tempo si trovavano le scuole di Scurcola, gestite dalle Maestre Pie Filippini che arrivarono a Scurcola nell'anno 1796. In Via delle Scuole numero 18 si trova uno degli edifici più interessanti del centro storico del nostro paese, ossia la "vecchia casa comunale" di Scurcola. L'edificio che ospitava la sede del Comune, prima che venisse trasferita nella parte bassa del paese, è caratterizzato da alcuni elementi architettonici su cui vale la pena soffermarsi. 

Leone mutilato e cornice marcapiano
Secondo quanto scrive il prof. Giuseppe Grossi nel volume "Scurcola Marsicana Monumenta", la vecchia sede comunale risalirebbe alla seconda metà del XV secolo. Ad attestarlo la presenza di preziose cornici marcapiano, un bel portale trilitico (vale a dire costituito da tre pietre), il corpo decapitato di quello che poteva essere un leone e una tabella, collocata proprio sopra al portale, in cui si trovano due stemmi. Grossi descrive la cornice marcapiano, ancora ben visibile, come "decorata da nastro continuo a tortiglione con dentelli inferiori". In merito a quella sorta di "sperone" di pietra che sporge dalla facciata del palazzetto rinascimentale, lo storico marsicano spiega che potrebbe trattarsi della figura mutilata di un leone, "forse in origine parte del portale duecentesco della vicina Chiesa di S. Angelo". 

Stemma Abbazia Maria della Vittoria - Stemma famiglia Orsini
Come detto, al di sopra del portale, è possibile rilevare la presenza di due stemmi. Quello sulla sinistra è lo stemma dell'Abbazia di Santa Maria della Vittoria, quello sulla destra è lo stemma della famiglia Orsini. Per Abbazia di Santa Maria della Vittoria dobbiamo intendere, ovviamente, la perduta Abbazia cistercense di cui oggi ci restano purtroppo solo le "Muraccia". Lo stemma associato all'Abbazia, nel tempo, è stato tramutato nello stemma ufficiale del Comune di Scurcola. Esso è rappresentato da "un ponte a due arcate e due semiarcate con merli guelfi, sormontato da due pastorali e cinque gigli di Francia". Il richiamo allo stemma della famiglia De Pontibus è scontato poiché i simboli dell'antica famiglia (confluita a fine '400 nel lignaggio dei Conti Vetoli) sono costituiti da un fiume su cui ci sono tre ponti e due arcate. Così come chiaro è il legame con i cinque gigli di Francia, evidente richiamo al simbolo della stirpe dei Re di Francia (Carlo d'Angiò).

Stemma araldico della famiglia Orsini
Lo stemma degli Orsini, invece, è rappresentato dal simbolo araldico della famosa famiglia proprietaria del feudo di Scurcola nel periodo in cui, evidentemente, il palazzetto venne edificato e decorato. Esso è costituito da uno scudo con bande trasversali e una piccola rosa posta in alto. La presenza di una rosa, nello stemma degli Orsini, è collegata al castello di Rosemberg, in Austria. Rosemberg può essere inteso come "monte delle rose" o "castello delle rose", da cui la presenza di una rosa nel simbolo di famiglia. Senza dimenticare che Rosini è l'anagramma di Orsini e la rosa, nella simbologia araldica, rappresenta la bellezza ma anche la nobiltà, l'onore e i meriti riconosciuti.



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venerdì 22 maggio 2020

Due bambine in cartolina


Siamo nei primi anni Cinquanta. Un fotografo arriva a Scurcola con l'incarico di scattare delle fotografie per realizzare delle cartoline (probabilmente su incarico di Alceste Colucci). Intenzione legittima e del tutto fattibile per un professionista. L'ignaro fotografo, però, non aveva tenuto conto dell'imprevisto che si celava dietro la sua venuta nel nostro paese. Egli infatti non avrebbe mai potuto immaginare che ci sarebbero state due bambine che gli avrebbero reso la giornata di lavoro particolarmente difficile

Mariella Trombetta e una sua piccola amica vengono immediatamente attratte dalla presenza del fotografo e dalla sua attrezzatura. Decidono di seguirlo passo passo per capire e per sbirciare dal vivo un fotografo all'opera, esperienza che non sarebbe ricapitata facilmente. Sono bambine di sette o otto anni, siamo nella bella stagione e, al tempo, si poteva girare praticamente indisturbati per le vie di Scurcola anche se si era piuttosto piccoli.

Mariella e la sua amica
Immaginiamo che il povero fotografo abbia fatto di tutto per scattare immagini adatte a diventare cartoline panoramiche. Probabilmente ha tentato in ogni modo di evitare che Mariella e compagna finissero dentro l'inquadratura ma, alla fine, deve essersi arreso. Le due "pesti", che non lo hanno mollato nemmeno un secondo, sono riuscite ad averla vinta: sono finite in cartolina

Nell'immagine che pubblico, infatti, è possibile notare, proprio al centro della campagna scurcolana, le figure di due bimbette che guardano verso l'obiettivo. Ecco, quelle sono Mariella Trombetta (a sinistra) e la sua compagna di giochi (a destra e col fiocco in testa), immortalate da un fotografo che, probabilmente, è capitolato e ha lasciato che potessero comunque far parte del panorama di Scurcola Marsicana. 

*** 

Ringrazio Domenico Iannucci, figlio di Mariella, che mi ha segnalato la cartolina, raccontato questo divertente episodio e permesso di condividerlo attraverso il blog. E, ovviamente, grazie anche a Mariella e alla sua spontanea e divertente tenacia di bambina scurcolana.


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martedì 19 maggio 2020

Del perduto affresco di Sant'Agostino (1604)


Tra le tante opere d'arte che Scurcola ha irrimediabilmente perduto potrebbe esserci anche un affresco di Sant'Agostino che un tempo doveva trovarsi in una delle cappelle della Chiesa della SS. Trinità. La sua esistenza, purtroppo, oggi è legata solo a qualche indizio sopravvissuto ai rimaneggiamenti subiti dall'edificio sacro più importante di Scurcola negli ultimi secoli. L'opera, di cui temo nessuno abbia conservato memoria né documenti, doveva essere su una parete della Cappella delle Anime Sante (un tempo dedicata al Nome di Gesù), la terza cappella sul lato destro, rispetto all'ingresso principale. Adesso, al posto dell'affresco che doveva raffigurare Sant'Agostino, c'è una nicchia ricavata nel muro all'interno della quale è conservata la statua di San Michele Arcangelo

Nicchia con S. Michele Arcangelo
L'ipotesi che sto avanzando, legata all'idea secondo cui in quello spazio, un tempo, doveva esserci un affresco dedicato al Santo di Ippona, deriva da un'iscrizione piuttosto eloquente, collocata proprio sotto l'attuale nicchia dell'Arcangelo, e ancora chiaramente leggibile: SANCTVS AVGVSTINVS. Poi, nella riga sottostante, purtroppo decifrabile solo parzialmente: EX DEVOTIONE (...) APVLE (...) CCHVS A.D. 1604. Seppure l'iscrizione sia rovinata e solo sommariamente leggibile, da essa si ricavano comunque un paio di dettagli fondamentali: l'opera fu realizzata "per devozione" nell'anno 1604. Si tratta dello stesso anno in cui Angelo Guerra di Anagni ha lavorato agli affreschi della vicina Cappella dell'Angelo Custode. Il "perduto affresco di Sant'Agostino" potrebbe essere opera dello stesso Angelo Guerra il quale, sempre nel 1604, ha firmato altri affreschi presenti nella nostra chiesa? Una suggestione affascinante ma rimane pur sempre un'ipotesi personale.

Le iscrizioni leggibili sotto la nicchia
Merita attenzione anche un'altra iscrizione tuttora presente sotto la nicchia, quella che recita "POSITVS IN MEDIO QUO ME VERTAM NESCIO". Anche in questo caso le parole richiamano direttamente Sant'Agostino. Si tratta, infatti, di una frase legata, per tradizione, a un brano contenuto nei "Soliloquia". La frase completa è: "Positus in medio quo me vertam nescio. Hinc pascor a vulnere, hinc lactor ab ubere" ossia "Non so da quale parte voltarmi. Esito fra il sangue di Cristo ed il latte di sua madre". Secondo l'iconografia, questo brano accompagna generalmente una raffigurazione che vede Sant'Agostino che prega tra Gesù Cristo e la Madonna. Le rappresentazioni pittoriche legate a questa scena e a questa frase sono innumerevoli, tra le più suggestive c'è sicuramente quella di Peter Paul Rubens (1577-1640) intitolata "Agostino tra il sangue di Cristo e il latte della Vergine", opera realizzata attorno al 1615 e oggi conservata a Madrid. 

Opera di Rubens
È facile immaginare che l'affresco presente a Scurcola dovesse avere uno stile molto diverso rispetto a quello di Rubens, ma forse, grazie alla presenza dell'iscrizione "POSITVS IN MEDIO QUO ME VERTAM NESCIO", ancora visibile, non è così assurdo ipotizzare che l'opera della Cappella delle Anime Sante, oggi di pertinenza della Confraternita del SS. Suffragio, rappresentasse Sant'Agostino in preghiera tra Gesù Cristo e Maria Vergine. Purtroppo non sapremo mai cosa ci fosse davvero sul muro demolito per far posto alla nicchia. Evidentemente, con il trascorrere del tempo, con il susseguirsi delle persone e, purtroppo, anche per la negligenza di chi ha fatto danni, forse persino in buona fede, l'opera di cui ipotizzo l'esistenza è andata persa. Un peccato, anche perché nella tradizione religiosa attuale scurcolana la figura di Sant'Agostino, filosofo, vescovo, teologo oltre che Padre e Dottore della Chiesa Cattolica, vissuto tra il IV e V secolo e autore delle celebri "Confessioni", non è celebrata né ricordata in alcun modo mentre, forse, in passato potrebbe aver avuto un suo ruolo.



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venerdì 15 maggio 2020

Il fulmine che colpì il campanile della Chiesa di S. Maria della Vittoria


Come spesso capita, da una vecchia foto-cartolina di Scurcola Marsicana si può prendere spunto per raccontare una storia o un episodio che non tutti gli scurcolani, oggi, possono conoscere. Faccio riferimento a ciò che avvenne durante un acquazzone estivo di tanti anni fa, quando un fulmine andò a colpire la sfera metallica che, da alcuni secoli, era collocata sulla cima del campanile della Chiesa della Madonna della Vittoria di Scurcola. Secondo quanto mi è stato riferito da Enzo Colucci, che ha consultato il suo amico Pietro Nuccetelli, l'incedente avvenne nel 1958, durante un violento temporale mattutino

Il tetto del campanile prima del crollo del 1958
Alcuni scurcolani ricordano l'episodio di cui parlo: ci fu un forte boato a cui fece seguito il crollo parziale del tetto del campanile che precipitò su un'abitazione che si trovava, e si trova ancora, accanto alla Chiesa. Un ricordo piuttosto nitido di quanto avvenne mi è stato raccontato da Concettina Monti che qui ringrazio. Al tempo Concettina era una solo una bambina e viveva con la sua famiglia proprio nell'abitazione danneggiata. Lei ricorda che tutto accadde all'alba, quando sua madre, Vittoria Morzilli, e suo padre, Vincenzo Monti, stavano ancora dormendo. Concettina quella notte era rimasta da sua nonna e, per fortuna, al momento del crollo non era in casa. Una grande pietra, che si era staccata dal campanile a causa del fulmine, sfondò il tetto di casa Monti e ruzzolò fino a fermarsi sotto al tavolo della cucina. Due sorelline di Concettina, che dormivano a poca distanza da quel tavolo, non vennero colpite per un pelo: miracolosamente nessuno si fece male. 

Il tetto della casa danneggiata
Nei tempi immediatamente successivi il tetto venne ricostruito e, soprattutto, venne dotato di un parafulmine. La fisionomia e la struttura del nuovo tetto del campanile sono piuttosto diverse rispetto a quelle originali. Il tetto che sovrastava la torre campanaria della Chiesa della Madonna della Vittoria, prima che venisse distrutto dal fulmine nell'estate del 1958, era più slanciato e alto di quello che è stato ricostruito dopo l'incidente e che possiamo vedere tuttora. Non sono riuscita a sapere chi si occupò del rifacimento né perché il tetto non sia stato ricostruito esattamente come il precedente. L'unico dettaglio certo è che, al tempo, il parroco di Scurcola era don Carlo Grassi.


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lunedì 11 maggio 2020

Enea Pierbattista, vita e opere dell'artista scurcolano

Tra Otto e Novecento, a Scurcola, è nato e vissuto un artista. Il suo nome era Enea Pierbattista. La scoperta dell'esistenza di Enea è stata per me quasi casuale: il suo nome è saltato fuori durante una delle tante chiacchierate telefoniche con Erminio Di Gasbarro. Con un po' di tempo e qualche ricerca mirata, sono riuscita a entrare in contatto con Anna Maria Rossi, moglie di uno dei discendenti di Enea. Anna Maria, pur non essendo scurcolana, nutre un certo interesse per la storia del nostro paese e, con grande gentilezza, ha messo a mia disposizione alcuni documenti (tra cui l'autoritratto visibile sopra) e diverse informazioni relative a Enea Pierbattista. Per me è un piacere poter dedicare questo post a una figura a cui, purtroppo, quasi nessuno ha riservato la giusta attenzione. Una figura d'artista eccezionale per Scurcola che però Scurcola pare aver dimenticato nell'arco di un due o tre generazioni

Notizie intorno alle Scuole d'Arte e di Disegno Italiane 1898
L'atto di nascita di Enea Pierbattista recita che era nato a Scurcola il 4 giugno del 1871, figlio di Francesco Pierbattista, contadino, e di Berardina Silvestri, contadina, entrambi domiciliati, al tempo, in un'abitazione sita in Via Corradino, nel centro storico del paese. Nel 1887, quando Enea aveva solo 16 anni, sua madre Berardina morì. Non sappiamo quando e come Enea abbia mostrato interesse per la pittura e per l'arte, in generale. Ciò che è certo, alla luce dei documenti originali conservati da Anna Maria, è che a 19 anni (nel 1890) Enea iniziò a frequentare la Scuola Preparatoria alle arti Ornamentali di Roma. Ad attestarlo un certificato, datato 20 dicembre 1893, col quale l'allora direttore della Scuola, Oreste Palazzi, dichiara che Enea Pierbattista "frequenta da tre anni la Scuola Preparatoria alle arti Ornamentali, ed ora è iscritto al 3° corso pittorico. È giovane di ottima condotta, assiduo alle lezioni e diligente nell'adempimento del proprio dovere". 

Dipinto di Santa Lucia - Enea Pierbattista 1893
Procedendo con le ricerche, ho individuato un testo intitolato "Notizie intorno alle Scuole d'Arte e di Disegno Italiane" del 1898. Al suo interno, alle pagine 223-224, si legge qualche interessante informazione circa la Scuola Preparatoria alle arti Ornamentali di Roma che Enea, più o meno in quegli anni, stava frequentando. Essa venne istituita nel 1884 dal Comune di Roma per "completare l'insegnamento dell'arte decorativa applicata alle varie industrie". La Scuola era gratuita, le lezioni avevano luogo tutti i giorni, di sera, e avevano la durata di tre ore ciascuna. Il corso della scuola si completava in tre anni e per frequentare le lezioni era necessario "aver compiuto il corso delle scuole degli artieri e di presentare l'attestato di licenza o dare saggio estemporaneo di conoscere la geometri solida, non che di sapere condurre a contorno un disegno da una stampa a seconda della professione del richiedente". 

Statua SS. Trinità di Enea Pierbattista
Quando era ancora uno studente, nel 1893, Enea Pierbattista dipinse a tempera una tela dedicata a Santa Lucia, ora conservata presso la Chiesa della SS. Trinità di Scurcola. Si tratta di un'opera autografa: la firma del pittore e l'anno in cui la realizzò sono leggibili nell'angolo in basso a destra della tela. Un'altra importante opera di Enea è rappresentata dalla statua della SS. Trinità realizzata, con estrema abilità e maestria, utilizzando la cartapesta. Dopo aver donato la statua alla Collegiata di Scurcola Marsicana, Enea chiese che, nel corso della processione annuale dedicata proprio alla celebrazione della SS. Trinità, la statua si fermasse dinanzi alla porta della sua abitazione: una richiesta che ancora oggi viene onorata e rispettata.

Casa di Enea Pierbattista in Via Valeria
Enea visse tutta la vita della propria arte, oltre che della rendita dei beni ricevuti in eredità dalla madre, dal padre e dalla zia Maria Domenica, sorella di sua madre Berardina. Sposò Maria Di Gasbarro, originaria di Sorbo di Tagliacozzo e, pur non avendo avuto figli propri, si prese cura con sua moglie Maria (o Mariuccia, come tutti la chiamavano) di Giuditta Anzini, figlia della sorella di Maria, morta poco dopo il parto. Sicuramente a Scurcola sono presenti altri lavori pittorici o scultorei di Enea Pierbattista anche se non è semplice individuarli e recuperarli. A lui qualcuno attribuisce anche il quadro che ritrae la Madonna della Vittoria che si trova all'interno della cappellina della "Madonnella"

Quadro della "Madonnella"
***

Rivolgo i miei ringraziamenti a Erminio Di Gasbarro, senza il quale non avrei mai saputo dell'esistenza di Enea Pierbattista. Ringrazio Angela Nicolai e sua figlia Franca Nuccitelli per avermi consentito di entrare in contatto con Anna Maria Rossi alla quale va tutta la mia riconoscenza per aver avermi permesso di scoprire e di conoscere in maniera più approfondita e organica l'artista Enea Pierbattista.


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giovedì 7 maggio 2020

Quando a Scurcola si allevavano bachi da seta


Filugello. È questa la parola che, di tanto in tanto, mi è capitato di leggere negli antichi testi scritti da cronisti e viaggiatori che raccontavano com'era Scurcola. Ad esempio, in un testo che ho rintracciato online, intitolato "Ferrovia Roma-Sulmona: per Tivoli-Avezzano-Molina - Considerazioni dell'Ingegnere Alfonso Audinot", pubblicato nel 1878, in riferimento a Scurcola, si legge: "Al di là d'Avezzano si trova Scurcola, altro borgo il di cui territorio è ubertoso e con intelligenza pari all'utilità coltivato. Vi prosperano le viti, l'olivo, i gelsi e vi si fanno copiosi raccolti di cereali e di legumi. Vi sono ben tenuti i boschi che danno legname al commercio e alle industrie; i buoni pascoli offrono modo ad un copioso allevamento del bestiame, e la quantità dei gelsi a quello del filugello, che produce una qualità di seta tenuta in qualche pregio, e della quale vien fatto un commercio bastantemente considerevole per quei luoghi". 

Bozzoli del baco da seta
Il "filugello" altro non è che il baco da seta. Gustavo Strafforello in "La Patria. Geografia dell'Italia. Province di Aquila, Chieti, Teramo, Campobasso", testo del 1899, in riferimento a Scurcola, spiega: "Il fertile territorio produce cereali, olio, vino, frutta, legumi. Allevamento dei bachi da seta e grande produzione di anice". Anche Enrico Abbate in "Guida dell'Abruzzo", pubblicata nel 1903 scrive: "In Scurcola è attivissimo l'allevamento del flugello". Alle testimonianze di questi autori si può aggiungere anche il solito scritto dell'avvocato Ennio Giuseppe Colucci che, nei suoi "Ricordi di paesani", rammenta che: "Da tempo nel paese si era diffusa la coltivazione del baco da seta e Barnaba aveva nella sua vigna dei bellissimi filari di gelsi". 

Insomma l'esistenza dell'allevamento di bachi da seta a Scurcola è attestata in maniera chiara e da più fonti diverse, soprattutto durante il XIX secolo. Un dettaglio che pochi conoscono e meno ancora possono ricordare. Di quella particolarissima attività, oggi del tutto scomparsa, rimangono, probabilmente, solo alcune piante di gelso sopravvissute a una massiccia opera di abbattimento. Diversi scurcolani, infatti, ricordano che lungo la Via di San Quirico, un tempo, era possibile trovare numerosi alberi di gelso che oggi, purtroppo, non esistono più.

Albero di gelso sopravvissuto - Via di S. Quirico
Da ciò che ho potuto leggere e capire, sembra che a Scurcola non ci sia mai stata un'azienda serica vera e propria. Probabilmente i bachi venivano allevati e nutriti col prezioso gelso e poi, al momento opportuno, i bozzoli venivano venduti e quindi trasportati altrove (forse in cittadine sulla costa abruzzese o a Napoli) per essere lavorati così da ricavare il preziosissimo filo. Un commercio che deve aver dato sostentamento e guadagni anche di qualche rilevanza durante i secoli passati. Ed è un peccato che l'allevamento dei bachi da seta sia tra quelle antiche attività artigianali che a Scurcola, ma anche nel resto della Marsica, nessuno sia più in grado di portare avanti.


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lunedì 4 maggio 2020

Diambra principessa di Scurcola e Gabriele D'Annunzio


Mi sono imbattuta in un libro molto particolare. Si intitola "Pagine Disperse. Cronache mondane - Letteratura - Arte di Gabriele D'Annunzio" coordinate e annotate da Alighiero Castelli. Un testo pubblicato a Roma nel 1913. L'intento di Castelli è quello di riunire la produzione "sparsa" o "minore" dell'artista abruzzese che, fino ad allora, non era mai stata raccolta in un unico compendio. "Essa è rimasta sperduta, sottratta alla critica, quasi dimenticata, sia perché il giornale ha vita molto breve, sia perché il d'Annunzio, fino a tutto il 1888, collaborando in periodici politici, non sottoscrisse quasi mai con il suo nome, ma preferì usare di svariati pseudonimi". Il coordinatore di queste "Pagine Disperse", dunque, sceglie di concentrarsi su una produzione meno nota di D'Annunzio: articoli, novelle, poesie giovanili. Insomma tutto quello che egli aveva pubblicato su giornali, quotidiani e riviste durante i primi anni di vita letteraria

Copertina del libro di Castelli (1913)
Una sezione di questo libro è denominata "Grotteschi e rabeschi" e viene così introdotta: "Segue, dal 18 ottobre al 1° novembre 1887, una serie di Grotteschi e rabeschi del Duca Minimo. Li riproduciamo nel loro ordine cronologico". Duca Minimo è lo pseudonimo col quale D'Annunzio firmava i suoi scritti per il giornale "La Tribuna" di Roma. Ebbene, in questa sezione, è possibile rintracciare, in data 27 ottobre 1887, una novella intitolata "Come la marchesa di Pietracamela donò le sue belle mani alla Principessa di Scùrcula". Si tratta di un racconto in cui un fantomatico pittore, che risponde al nome di Paolo Fiamignano, ha premura di terminare un ritratto: "aveva quasi condotto a termine il gran ritratto della principessa Diambra di Scùrcula, della sovrammirabile donna che sarà immortale nel marmo, nel bronzo, nelle tele, e nei canti dei poeti". Fiamignano deve concludere l'opera ma gli mancano un bel paio di mani da ritrarre affinché il dipinto possa dirsi concluso. 

Ritratto di D'Annunzio da giovane (1890)
Ovviamente non sappiamo se Gabriele D'Annunzio conoscesse Scurcola, non sappiamo se la "Scurcula" a cui fa riferimento sia effettivamente il nostro paese, ma è fuori di dubbio che fa un certo effetto leggere il nome di Scurcola in una novella di D'Annunzio. Diambra di Scurcola, neanche a dirlo, è una creatura letteraria per cui non è mai esistita. È una figura che lo scrittore pescarese ha inventato di sana pianta e ha usato in più occasioni. Anche Corrado Augias, nel suo libro "I tesori d'Italia" fa accenno a questo strano dettaglio: "In una cronaca estemporanea scritta nell'estate dell'87 (anno che precede la stesura del libro ["Il piacere", ndr]), l'autore torna più volte sul personaggio di Diambra "principessa di Scurcola" alla quale dedica vari episodi che sembrano studi per il successivo romanzo".


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Il filosofo Antonio Rocco tra “Le Glorie degli Incogniti” (1647)

Siamo nella Venezia del Seicento, la città più cosmopolita della penisola. Giovanni Francesco Loredan ha solo 27 anni quando, da giovane no...