sabato 30 luglio 2022

Veduta tra Scurcola e Alba Fucens in una litografia tedesca del 1824


Sono davvero innumerevoli i testi di storia tedesca che descrivono o, almeno, citano la storica Battaglia dei Piani Palentini o, più semplicemente, la Battaglia di Scurcola del 23 agosto 1268. Dopo aver parlato della splendida litografia del 1860, contenuta nel testo bilingue dell'autore militare spagnolo Mariano Pérez de Castro, in cui vengono ricostruiti nel dettaglio gli schieramenti angioini e svevi presenti sul campo, ho individuato un'altra suggestiva litografia dedicata agli stessi luoghi, quelli tra Scurcola, Alba Fucens e Cappelle, in cui si consumò l'epico scontro tra Carlo I d'Angiò e Corradino di Svevia.

Geschichte der Hohenstaufen und ihrer Zeit
(Frontespizio)

Il testo [1] all'interno del quale è contenuto il disegno a stampa è opera dello scrittore, storico e politico tedesco Friedrich Ludwig Georg von Raumer (1781-1873). Si tratta di un corposo lavoro in sei volumi intitolato (in italiano) "Storia degli Hohenstaufen e della loro epoca". Hohenstaufen, per chi non lo sapesse, è il nome col quale viene indicata la stirpe della casata Sveva, le cui origini risalgono attorno all'anno mille, alla quale apparteneva il giovane Corradino. La didascalia posta sotto alla litografia dedicata a Scurcola recita: "Ansicht der Gegend um Scurcola und Alba" ossia "Veduta del territorio intorno a Scurcola e Alba".

Friedrich Ludwig Georg von Raumer

Ovviamente uno studioso che si dedica alla storia degli Hohenstaufen non poteva non descrivere, anche visivamente, la tragica battaglia del 23 agosto 1268 che sancì la sconfitta degli Svevi e, di conseguenza, consegnò l'Italia nelle mani dei francesi e del Papa. Come accade sempre, sotto alla litografia, è tracciato il nome dell'artista che l'ha realizzata, si tratta del disegnatore e incisore (anche lui tedesco) Philipp Veith (1768-1837) autore, soprattutto, di vedute e paesaggi, illustrazioni per libri di viaggi oltre che di disegni per le porcellane di Meissen. Come si può rilevare, all'interno del disegno a stampa di Veith, in un paesaggio agreste e verdeggiante, sono rappresentate le rovine dell'Abbazia cistercense di Santa Maria della Vittoria, la cui edificazione venne fortemente voluta da Carlo I d'Angiò per celebrare la vittoria su Corradino. Sul lato sinistro, in alto, il borgo di Alba Fucens. I vari elementi del paesaggio, a ben guardare, non sono esattamente collocati dove dovrebbero, ma credo di poter affermare con discreta sicurezza che Philipp Veith non sia mai passato dalle nostre parti.

Ritratti di Carlo I d'Angiò e Corradino di Svevia

All'interno dello stesso volume, altri litografi i cui nomi, purtroppo, faccio fatica a decifrare, hanno realizzato disegni a stampa dei volti dei due protagonisti della celebre battaglia, Carlo I d'Angiò e Corradino di Svevia. Carlo è raffigurato di profilo e, ovviamente, è presentato come un uomo maturo, con i primi evidenti segni dell'età che scavano il suo volto. Non bisogna dimenticare, infatti, che nel 1268 il re francese aveva 42 anni mentre Corradino era  solo un ragazzino di 16 anni. Il ritratto dell'erede degli Hohenstaufen, nipote dell'imperatore del Sacro Romano Impero Federico II, infatti, ci restituisce il volto di un giovane dall'aria innocente e seria.



Note:
[1] Friedrich Ludwig Georg von Raumer, "Geschichte der Hohenstaufen und ihrer Zeit. 4", Leipzig, Brockhaus, 1824.



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lunedì 25 luglio 2022

Suor Anna Spalla


Una delle figure femminili più significative della storia scurcolana della prima metà del Novecento è, senza alcun dubbio, quella di suor Anna Spalla. Come spesso capita, alcune persone che, come suor Anna, hanno dato molto al nostro paese, non sono ricordate come meritano e come sarebbe giusto fare. Ho spesso incontrato il nome di suor Anna Spalla durante le mie ricerche e sono andata più volte a trovarla presso la cappella delle Maestre Pie Filippini, nel cimitero di Scurcola, dove riposano i suoi resti. Solo di recente, però, sono venuta in possesso di ulteriore e preziosa documentazione che la riguarda, contenuta in un fascicolo che mi è stato consegnato da Aulo Colucci.

Suor Anna Spalla era nata a Gallicano nel Lazio il 22 dicembre del 1882, figlia di Domenico e Angela Costanzi, ed è stata una delle storiche insegnanti elementari della scuola di Scurcola Marsicana negli anni in cui questa si trovava ancora presso l'arco Ansini. Ho parlato con il caro amico Erminio Di Gasbarro (classe 1930) che è stato allievo di suor Anna nella seconda parte degli anni Trenta. Erminio la ricorda come un'insegnante molto severa ma bravissima, una donna tutta d'un pezzo che pretendeva molto dai suoi allievi e sapeva mantenere in classe un ordine impeccabile. Un ricordo simile viene conservato anche da Ilde Nuccetelli (classe 1928) che, pur non essendo stata allieva di suon Anna, la ricorda bene e la descrive come una persona autorevole e molto seria, dagli atteggiamenti intransigenti, capace di incutere sempre un certo timore.

Suor Anna Spalla con i suoi alunni (1929)

Leggendo i documenti che mi ha trasmesso Aulo, ho potuto ricostruire, più o meno dettagliatamente, la storia di suor Anna. È entrata nell'ordine delle Maestre Pie Filippini nel 1900, a soli 18 anni. Ho dedotto tale informazione considerando che il 29 settembre del 1950 suor Anna Spalla ha celebrato i suoi 50 anni di vita religiosa, 41 dei quali trascorsi ininterrottamente a Scurcola dove era arrivata nel 1907, a 25 anni. Negli anni Quaranta suor Anna Spalla era Superiora dell'Istituto delle Maestre Pie Filippini di Scurcola. E fu in questi anni, anche grazie al lavoro e all'impegno di suor Anna Spalla, oltre al fondamentale sostegno ricevuto da Monsignor Giuseppe Migone (1875-1951), elemosiniere segreto del papa, che fu possibile fondare il nuovo asilo "San Giuseppe" di Scurcola Marsicana, divenuto "Scuola dell'infanzia Cavalier Ansini", tuttora presente lungo la SS 5 Tiburtina Valeria. Il nuovo asilo fu benedetto da don Carlo Grassi il 10 luglio del 1944 e venne aperto il 1° agosto accogliendo, fin da subito, 32 bambini.

Il Capitolo generale, che si tenne a Roma il 19 luglio 1948, dispose la nomina di suor Anna Spalla come Superiora Provinciale delle case d'Italia. Il 12 ottobre dello stesso anno, suor Anna fu destinata ad altri percorsi di vita: "Con mio grande dispiacere" scrive la Spalla "lascio oggi Scurcola Marsicana dove, con l'aiuto del Signore, ho lavorato per 41 anni consecutivi in mezzo alla gioventù che mi ha dato sempre grande soddisfazione morale. Il buon Dio mi aiuti ora a ben disimpegnare i miei nuovi doveri e benedica questa casa". Nel settembre del 1950, a Scurcola, fu preparata una grande festa per il 50° anniversario di vestizione religiosa della Reverenda Madre Provinciale suor Anna Spalla: nell'occasione giunsero in paese decine di suore delle Maestre Pie Filippini, molte delle quali erano originarie di Scurcola.

La tomba di suor Anna Spalla nel cimitero di Scurcola

Suor Anna Spalla, dopo 12 anni di lontananza dalla sua "casa" scurcolana, nel settembre del 1960, all'età di 78 anni, è rientrata a Scurcola per tornare a rivestire, ancora una volta, il ruolo di Superiora. Troverà, in quel frangente, altre compagne di vita: suor Michelina, suor Ida, suor Maria Grazia, suor Lucia. Nell'anno scolastico 1966/67 suor Anna Spalla risulta pensionata, mentre il ruolo di Superiora è stato assunto da suor Michelina. Suor Anna Spalla morirà il 9 ottobre del 1968 all'età di 86 anni. Come detto, le sue spoglie riposano da sempre presso il cimitero di Scurcola, il paese a cui ha dedicato circa 50 anni della sua vita come insegnante elementare, come guida morale, come figura femminile di riferimento. Mi è sembrato giusto ricordarla e dedicarle questo breve scritto biografico.



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mercoledì 20 luglio 2022

Incendio della pineta di Scurcola Marsicana: anno V


Tutto accadde nel pomeriggio del 20 luglio del 2017: un violento incendio, generato dall'atto senza senso di un soggetto indegno, sfregiò Monte San Nicola, divorando, nell'arco di alcune ore, una grande quantità degli alberi che popolavano la nostra pineta. Le fiamme si avvicinarono in maniera pericolosissima all'abitato del paese e furono impiegati vari mezzi di soccorso per cercare di evitare danni a cose e persone. Sono certa che tutti gli scurcolani ricordano l'apprensione, la paura e l'angoscia di quelle ore. Nel 2020 avevo scritto un post dedicato alla pineta a tre anni dall'incendio. Sono trascorsi altri due anni e la pineta si trova, purtroppo, nelle stesse identiche condizioni in cui le fiamme l'hanno lasciata.

Alberi morti della pineta (2022)

Anzi, non esattamente: qualche tronco, ormai carbonizzato, è precipitato a terra e qualche altro, crollato a causa dell'incendio, è stato ormai rivestito da nuova vegetazione. Sicuramente la pineta rimane, a distanza di cinque anni dai drammatici eventi, un luogo non sicuro e non frequentabile. Un paio di settimane fa sono salita di nuovo a vedere quale fosse la situazione ma, con mio grande rammarico e come si evince dalle immagini che corredano questo post, nulla è mutato né rispetto al 2020 né rispetto al 2017. Gli alberi morti sono ancora dov'erano, i tronchi carbonizzati si stanno sgretolando e la natura (del tutto indifferente alle umane negligenze) fa quello che vuole. 

Alberi bruciati e crollati (2022)

Nel 2020 auspicavo un risanamento della pineta, almeno un suo parziale recupero ma, a distanza di altri due anni, nulla è stato fatto. La pineta, come ho già scritto in passato, rappresenta una valenza paesaggistica e ambientale essenziale e storica per Scurcola: venne impiantata negli anni Cinquanta grazie a un apposito programma di rimboschimento che ha mutato, a mio avviso migliorandolo, l'aspetto e la salubrità del nostro paese. Mi piacerebbe che a Scurcola venissero piantati regolarmente nuovi alberi e non solo su Monte San Nicola, ma anche presso terreni ormai incolti e abbandonati da tempo (e sono molti). Sarebbe un segnale di rispetto e di recupero ambientale fondamentale, soprattutto alla luce dei mutamenti climatici che tutti stiamo pagando a caro prezzo.



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venerdì 15 luglio 2022

Conchiglie fossili su un'antica finestra di Scurcola


La fotografia che apre questo post ritrae una piccola finestra che si trova presso la chiesa di Sant'Egidio, lungo la parete che affaccia verso la Strada Statale 5 Tiburtina Valeria. Credo si tratti dell'apertura di un ambiente che non pertiene agli spazi dell'edificio sacro, ma appartenga forse alla cantina dell'abitazione poggiata alle spalle della chiesa. Pur avendo vissuto fino ai miei 10 anni in una casa che si trova quasi di fronte alla chiesa e pur essendo passata accanto a quella finestra migliaia di volte, non avevo mai notato un dettaglio estetico di grande singolarità: la presenza di conchiglie fossili sul montante in pietra della finestra.

Una delle conchiglie fossili

Osservando con attenzione la struttura della finestra, si nota che essa sembra essere stata assemblata a posteriori, rimettendo insieme pezzi disomogenei di chissà quale altro manufatto. Si tratta di pietra bianca lavorata e squadrata. Il montante di destra, tra l'altro presenta una sorta di scanalatura che forma un piccolo "fregio" nella parte superiore. Il montante di sinistra presenta la stessa scanalatura (era forse un unico blocco che è stato diviso in due?) senza alcun fregio. Osservando da vicino la pietra di sinistra, ho notato la presenza dell'impronta di un paio di conchiglie molto ben conservata.

Altra conchiglia fossile

Non sapendo esattamente se potesse trattarsi di resti fossili o meno, ho pensato di chiedere anche il parere di Enzo Colucci il quale, dopo aver osservato le immagini, mi ha confermato che si tratta proprio di conchiglie fossili: "La terra che calpesti era mare", mi ha detto Enzo. Mi è capitato di trovare, anche sulla nostra montagna, dei sassi spezzati che contenevano i segni di strani gusci pietrificati, ma non avevo mai notato la presenza di conchiglie fossilizzate su un'antica finestra di una piccola chiesa di Scurcola. Non so se qualcuno, prima di me, abbia mai fatto caso a queste minuscole tracce preistoriche, ma spero che adesso, dopo averne letto, qualche scurcolano possa soffermarsi, come me, a osservare le conchiglie fossili della chiesa di Sant'Egidio.



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domenica 10 luglio 2022

In morte di Maddalena Gasperini, cronaca di fine Ottocento


L'immagine che apre questo post (tratta dal web), ritrae una sposa di fine Ottocento. Ed è più o meno così che immagino potesse essere Maddalena Gasperini, la giovane donna di cui desidero scrivere, nel giorno delle sue nozze. Le figure femminili, purtroppo, sono tra le più evanescenti: è sempre complicato recuperarne la memoria. Guardando al passato di Scurcola, è facile rintracciare uomini che parlano e scrivono per lo più di altri uomini, quasi impossibile, invece, rintracciare memorie femminili. 

Dobbiamo immaginare il nostro paese alla fine del XIX secolo e le donne che, qui come altrove, sono considerate solo per il loro ruolo di mogli e di madri. Non ci sono tracce di scurcolane che abbiano studiato o che abbiano rivestito ruoli amministrativi o di comando. Per le ragazze, anche se benestanti come Maddalena, oltre alla possibile vocazione religiosa, non vi è che un unico destino: nascere, crescere, sposarsi, fare figli, accudire la famiglia, morire. Dei loro nomi, delle loro passioni, delle loro sofferenze, delle loro esistenze nulla ci resta. Maddalena Vincenza Gasperini rappresenta una minuscola, impercettibile eccezione. A noi, infatti, è giunto l'elogio funebre che Gaetano Rosa compose per onorarne la morte.

Ho già fatto rilevare l'attitudine alla scrittura di Gaetano Rosa e ho già parlato del testo che redasse in morte del conte Vincenzo Vetoli. Tra le carte di Gaetano Rosa è stato possibile rintracciare altri elogi funebri, quello dedicato a Maddalena è l'unico destinato a una donna. Analizzando l'elogio funebre è possibile trarre qualche notizia biografia della giovane: era nata il 2 febbraio del 1870, figlia unica di Pietro Gasperini e Agata Colarossi, entrambi proprietari terrieri. Maddalena apparteneva quindi a una famiglia agiata. Al momento della morte, Maddalena Vincenza Gasperini, seppur molto giovane, è già sposata. Suo marito è Tommaso Di Clemente, nato a Scurcola il 21 dicembre 1847. Consultando l'area "Antenati" dell'Archivio di Stato della Provincia dell'Aquila, ho rintracciato l'atto di nascita di Tommaso e, a margine del documento, vi è una breve postilla in cui si legge che sposò Maddalena Vincenza Gasperini il 12 luglio 1890: 20 anni lei, 43 lui.

I matrimoni tra ragazze molto giovani e uomini più in là con gli anni, al tempo, non sono inusuali soprattutto in famiglie facoltose. L'elogio funebre di Gaetano Rosa non solo ci aiuta a recuperare, finalmente, un ricordo, seppur drammatico, di una donna di Scurcola vissuta alla fine dell'Ottocento di cui, oggettivamente, senza questo scritto, non avremmo mai saputo nulla, ma ci consente anche di comprendere quale fosse la considerazione della donna all'epoca. Non stupiscano, quindi, i toni maschilisti e sessisti utilizzati dall'autore dello scritto: tale era lo spirito del tempo. Purtroppo Rosa non ci dà quasi mai riferimenti temporali esatti e, quindi, non è possibile conoscere la data precisa della morte di Maddalena Vincenza Gasperini Di Clemente, da quanto si legge, potrebbe essere avvenuta nel 1891, ossia circa un anno dopo il matrimonio con Tommaso, per colpa di un non meglio identificato "morbo". Di seguito la trascrizione dell'elogio funebre di Gaetano Rosa per Maddalena Gasperini:

L'affetto del marito de' genitori superstiti e la pietà vostra, egregi amici e concittadini, oggi qui rende i supremi onori a Maddalena Di Clemente nata Gasperini, con la solennità di questi riti esequiali. Benché non richiesto, io mi vi presento spontaneo per aggiungere con la mia voce, se tanto m'è dato, un tributo di meritata lode alla trapassata: essendo pur bello quel fiore che si depone misto ad una lacrima d'affetto sul gelido avello di persona che lascia di sé care rimembranze!
Intanto pigliando a lodare la Maddalena Di Clemente al vostro cospetto, o amici carissimi, io non saprei né potrei per fermo altro tema scegliere al mio parlare che di dolore e di sacrifizio non sentisse. Senza di che, se la sapienza secondo la carne non pregia altrimenti la donna che nella ebbrezza del piacere agli occhi della sapienza secondo lo spirito nulla di più gentile e sublime appare della donna che dolora in fortezza d'animo.
Nel dì 2 febbraio del 1870 la nostra rimpianta Maddalena nasceva da Pietro Gasperini e da Agata Colarossi ambedue onesti ed agiati cittadini. La bambina addivenuta fanciulla, in quello che le blandizie dell'età le folleggiavano d'intorno e le cure più tenere de' genitori, come unica prole, le erano prodigate, fu avviata con savio intendimento alla scuola della religione e de' civili costumi, essendo affidata alle Maestre Pie del nostro comune.
Quivi la estinta durò per diversi anni, in continue esercitazioni intellettive, non trascurando ogni più intricato lavoro domestico, tanto che non isdegnò mai di adoperare modestamente la mano in tutte le industrie dell'ago.
Lo so che non manca chi di questa lode fatta alla defunta beffardamente fa bocca da ridere; ma oltre alle gravi testimonianze bibliche che danno lode di saggia a donna che mostra perizia di cosiffatti lavori, a me pare che l'esercitarsi in essi valga potentemente a radicare e nutrire in petto a donna l'amore alla vita casalinga, tutta propria di lei; a contenerla in quella sfera serena, in quei modesti confini entro cui Iddio provvidentissimo ne restrinse il ministero di aiuto all'uomo; a farla esperta in provvedere ai domestici bisogni, a renderla in una parola buona massaia ed economa del che non le verrebbe mai data tanta lode che basti ad adeguarne il pregio e l'importanza!
Per non potere dir tutto della sua religione, ché troppo lontano m'andrebbe il finire, mi piace di assomenarla (???) in quella sincera e tenera divozione a Maria, che segnatamente sta bene in donne ed è bella costante! Sincera dissi e non per adoperare un ozioso aggettivo, sibbene per ritrarre al vero le cose. Tanto che la divozione di lei a Maria non consistette altrimenti, come nei più suole, in vuote pratiche ed in esterne onoranze, ma nello studio d'imitarne le virtù. Donde ella fu obbediente e sommessa ai maggiori, senza contrasto; umile e modesta in ogni atto, senza affettazione; soccorrevole e presta agli altrui bisogni senza ostentazioni.
Incontra per solito che la vigoria del corpo non risponda alla prestanza dello spirito; e così avvenne alla Maddalena Di Clemente, nella quale la debolezza della persona faceva contrasto con ciò che dentro chiudeva. Certo in lei il lampo degli occhi rivelava il desto ingegno; nel suo accento vibrava la nota dolcissima del cuore; nella sua parola sentivi stemperarsi, starei per dire, idee e pensieri dolcissimi; nei gesti e nelle movenze della persona scorgevi un non so che di eletto: tutto il lei dava argomentare la luce ed il calore di quella divina fiammella che dentro le ardea vivissima. Ma, ahi! A tutto ciò punto non rispondeva la esiguità del corpo, la debole struttura degli organi, la povertà del sangue.
Però la buona Maddalena ebbe continuamente a lottare nel corto sodalizio di vita con crudeli morbi, che non una fiata soltanto minacciarono spegnerla. Giunta così il 21 anno [forse 20?, ndr] circa di sua vita, chiesene la mano il nostro carissimo amico e compaesano Tommaso Di Clemente, giovane di sani ed onesti costumi e che seppe nel troppo breve spazio di vita coniugale dar prova d'infinito affetto a lei e del più grande e nobile disinteresse ai genitori.
Ma che? Si direbbe che a certe anime elette Iddio neghi ogni gioia in terra per accrescerne in Cielo! E tu, o Maddalena, in te il provasti! Perché nei primi albori coniugali, allorquando il tuo cuore ti additava una nuova vita cosparsa di rose e fiori e ricolma di felicità, allorquando tu presavi forse addivenire madre e prestare le più tenere cure ai tuoi pargoletti, un morbo crudele t'assalse per svellerti in men d'un anno dall'affetto di tuo marito, dall'amore dei genitori, dei parenti tutti.
Infatti, o Signori, Maddalena Gasperini, ieri nelle ore vespertine, assistita dai suoi più cari esalava l'ultimo respiro…
Deh! Si ferma in su la vita anche un altro momento, o Spirito fuggitivo: fermati e volgi un'ultima occhiata a quei che rimangono al suo partire nel dolor travolti. Deh! accetta pertanto le solenni espressioni di lutto e gli estremi uffizii che Tommaso suo e i suoi genitori si consacrano dolenti. Recagli pure i miei meschini ma sinceri omaggi alle tante sue virtù dovuti, e poscia ritorna frettoloso al suo centro, come quel raggio che dopo di aver con la sua luce diradate le tenebre, nel sole alfin si ritira.



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martedì 5 luglio 2022

Il dipinto ottocentesco di San Giuseppe e Gesù Bambino


Tra le innumerevoli opere d'arte presenti a Scurcola c'è anche un dipinto ottocentesco di San Giuseppe e Gesù Bambino, un'opera che credo pochi scurcolani conoscano o ricordino. È custodita nella chiesa di Sant'Antonio, all'interno di una cornice ovale di legno dorato che, purtroppo, non è in condizioni ottimali. Si tratta di un dipinto a olio alto 120 centimetri e largo 60 di cui, come spesso accade, non si conosce l'esecutore. Secondo la scheda accolta nel Catalogo generale dei Beni Culturali, il dipinto scurcolano di San Giuseppe e Gesù Bambino, risalente al XIX secolo, "è opera di un ignoto autore, che si è uniformato alla produzione devozionale dell'Italia meridionale del secolo XVIII".

San Giuseppe e Gesù Bambino

Il dipinto, va pur riconosciuto, non è di eccelsa fattura ma, a mio avviso, è comunque piuttosto interessante perché propone una scena sacra non proprio usuale, ossia san Giuseppe che abbraccia il piccolo Gesù. Siamo abituati ad ammirare con molta frequenza, anche nelle chiese di Scurcola, il ritratto della Madonna con il Bambino (a partire dalla statua della Madonna della Vittoria), ma è poco frequente trovare un'opera che ritragga il padre con il figlio, emblema di un legame emotivo che, forse, viene sempre un po' trascurato ma che racchiude il senso della paternità.

Il volto di San Giuseppe

"La dolcezza degli affetti nell'abbraccio di San Giuseppe ha origini antiche ma rare: possiamo rintracciare questo soggetto nella prima metà del XII secolo" spiega la studiosa Serena Simoni [1] che continua scrivendo "L'iconografia di Giuseppe - da solo, mentre tiene fra le braccia il Bambino - diventerà usuale fin dagli esordi del Seicento, assecondando la diffusione del culto sostenuta principalmente da carmelitani riformati e da gesuiti in un contesto artistico di rinnovata attenzione alla realtà degli ambienti e degli affetti".

Il volto di Gesù Bambino e la rosa rossa

La figura di San Giuseppe, nel dipinto custodito a Scurcola, così come in altre opere simili, è rappresentato da un uomo anziano, con barba e capelli grigi, lo sguardo rivolto al cielo, a Dio. Gesù bambino è tra le sue braccia, ha gli occhi impegnati a guardare qualcosa che noi non vediamo mentre tiene una rosa rossa nella manina. Probabilmente la scelta di far sorreggere al piccolissimo Gesù una rosa rossa potrebbe simboleggiare quello che sarà il destino del Bambino: il martirio e quindi il sangue versato sulla Croce per la redenzione degli uomini.



Note:
[1] Serena Simoni, San Giuseppe. Iconografie di un padre fra cura e affetto, in Babbo mio. Nuovi padri, nuove paternità, Ravenna 2009, pp. 22-32.

***

Ringrazio Filomena Mastrocesare ed Ernesto Andreoli che mi hanno permesso di visitare la chiesa di Sant'Antonio da Padova di Scurcola Marsicana.

Il filosofo Antonio Rocco tra “Le Glorie degli Incogniti” (1647)

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