venerdì 10 dicembre 2021

Vivere con i soldati tedeschi in casa (1943-1944). Ricordi di Erminio Di Gasbarro


Conosco Erminio Di Gasbarro da tanti anni, ormai. Lo considero uno dei miei migliori amici, oltre che una delle poche persone di Scurcola con le quali vale sempre la pena confrontarsi. Stimo profondamente Erminio e sono legata a lui da un sincero legame di affetto. Anche per questo vado a trovarlo, di tanto in tanto. Durante i nostri incontri, trascorriamo parte del nostro tempo a parlare del passato, di ciò che lui, per ragioni anagrafiche (è nato nel 1930), ha potuto vedere, conoscere e provare nel corso della sua vita. Qualche tempo fa Erminio mi ha raccontato di un momento delicato e, allo stesso tempo, doloroso della sua adolescenza: quando, nel 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, i tedeschi requisirono parte della sua casa paterna e si stabilirono in alcune stanze. Ho ascoltato con attenzione le sue memorie e ho ritenuto necessario, col permesso di Erminio, riportarle per iscritto e condividerle attraverso il blog.

Dopo l'8 settembre 1943, come sappiamo, l'Italia visse uno dei periodi più complicati della sua storia: con la firma dell'armistizio il nostro Paese si era arreso in maniera incondizionata agli Alleati. L'impegno con la Germania nazista di Hitler non aveva più alcun valore. Erminio ricorda che i giorni successivi all'annuncio dell'armistizio, sulla via Tiburtina passarono lunghi convogli di mezzi militari tedeschi. Nell'arco di poco tempo, a Scurcola, si presentarono gruppi di soldati tedeschi e uno di essi, un maresciallo dai modi piuttosto rudi, un giorno arrivò dai Di Gasbarro. Entrò senza riguardi e in quel momento, in casa, c'erano solo Eminio, che aveva 13 anni, e sua madre Cecilia Silvestri (1892-1962). Altri due militari spintonarono con i fucili la povera Cecilia costringendola ad arretrare fino a bloccarla contro un muro. La madre di Erminio piangendo chiese di restare nella sua casa anche se, inizialmente, i tedeschi sembravano intenzionati a cacciare tutta la famiglia.

Dopo aver perlustrato l'abitazione, i militari lasciarono che le stanze requisite venissero occupate da alcuni soldati che tutti chiamavano semplicemente "slovacchi". Si trattava, mi ha spiegato Erminio, di truppe ausiliarie dell'esercito tedesco. Possedevano armi leggere e riuscivano a farsi capire parlando, come potevano, l'italiano. Gli "slovacchi" rimasero in casa Di Gasbarro per un paio di mesi, la convivenza non presentò particolari problemi perché si trattava di persone abbastanza tranquille. Erminio ricorda che erano capaci di fare la calza usando quattro ferri e che avevano instaurato un rapporto tutto sommato sereno con la famiglia tanto da chiamare "mamma" la stessa Cecilia.

Erminio Di Gasbarro (1940-41)

La situazione si complicò non poco quando, intorno alla metà di dicembre del 1943, in casa si ripresentarono i militari tedeschi che mandarono via gli "slovacchi" e si stanziarono al loro posto. I Di Gasbarro riuscirono a mantenere per loro un paio di vani. In una delle stanze dell'abitazione di Francesco Di Gasbarro (1887-1959), il padre di Erminio, si sistemò un furiere con la sua scrivania. Costui era sempre impegnato a scrivere, circondato da documenti e scartoffie varie. Una camera, invece, venne occupata dal maresciallo, il tedesco che si era presentato la prima volta, il quale, tra l'altro, aveva con sé una bellissima donna con la quale dormiva in una stanza più piccola.

Le due sorelle di Erminio, Annina e Angelina, che avevano, al tempo, rispettivamente 20 e 18 anni, furono costrette ad andare a dormire in cantina, dove erano conservate le patate. Il fratello di Erminio, Umberto, nato nel 1919, come tanti giovani abili, correva il rischio di essere preso dai tedeschi per questo, quando necessario, andava a rifugiarsi nel pagliaio. Erminio ricorda perfettamente che i tedeschi requisivano spesso animali nelle zone circostanti e li macellavano proprio nei pressi della sua casa. Cucinavano regolarmente con la loro cucina da campo e preparavano enormi contenitori pieni di cibo che di notte venivano spediti, verosimilmente, alle truppe stanziate lungo il fronte di Cassino. L'addetto alla cucina era un sergente dall'aspetto arcigno e dai modi aggressivi. Erminio ricorda benissimo che girava sempre con una pistola in bella vista infilata nella cintola dei pantaloni per incutere ancora più timore. In cucina si faceva aiutare da alcune donne con le quali aveva sempre atteggiamenti prepotenti.

I Di Gasbarro convissero con i tedeschi per diversi mesi cercando di mantenere il più possibile la calma, senza mai provocare dissidi, perfettamente consapevoli che sotto il loro tetto vivevano tre nemici: persone armate e potenzialmente pericolose. La situazione mutò, all'improvviso, tra il maggio e il giugno del 1944. Una mattina, secondo il racconto di Erminio, si sentirono strani rumori e movimenti concitati: i tedeschi stavano scappando. La casa di Francesco e Cecilia, dopo mesi, tornò finalmente a disposizione della famiglia. Il ricordo di quel terribile periodo, come mi spiega commosso Erminio, non si può cancellare. Ad addolcire, almeno un po', l'amarezza dei tempi vi è un episodio che vale la pena riportare: una decina di anni dopo, a guerra ormai finita, Joseph, uno degli "slovacchi" che era stato in casa Di Gasbarro, per qualche ragione, si trovò di nuovo a passare dalle nostre parti e non poté fare a meno di tornare a salutare "mamma Cecilia", la donna che, seppur formalmente "nemica", lo aveva accolto nella sua casa per diverse settimane.

***

Le due foto che corredano il post sono state concesse da Erminio Di Gasbarro. La prima è stata scattata nel 1953 da Luigi Frezzini e mostra la casa dei Di Gasbarro, lungo via della Vittoria, a Scurcola. Oltre ai genitori di Erminio, Francesco e Cecilia, è possibile notare la presenza di sua sorella Annina, insieme alle sue bambine, e di Giovanni (Susi) Nissirio, figlio di Clelia Pompa Nissirio, la "Signora di Rodi", seduto sul ciglio della strada.

Ringrazio di cuore Erminio che, con la signorilità che lo contraddistingue e con la disponibilità che ha sempre mostrato nei miei confronti, mi ha permesso di recuperare, ricostruire e raccontare un periodo fondamentale della storia di Scurcola. Nella sua toccante e concreta esperienza di vita, personale e familiare, è possibile rintracciare il clima di difficoltà e di paura che si doveva respirare in paese in quei lunghi mesi che hanno preceduto la Liberazione dal regime nazi-fascista. Una memoria essenziale per noi e per chi verrà dopo di noi.



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