domenica 30 maggio 2021

Quando andò distrutta l'Abbazia di S. Maria della Vittoria?


Le Muraccia: è così che chiamiamo i ruderi dell'antica Abbazia cistercense di S. Maria della Vittoria. La sua edificazione, come abbiamo imparato leggendo diversi documenti storici, ebbe inizio nel 1274, qualche anno più tardi rispetto alla Battaglia del 23 agosto 1268. Come riporta Pietro Egidi nel suo saggio [1]: "nel 1273 già era stato stabilito che i due cenobi, di Scurcola e di Scafati, sorgessero, e la volontà regia era già stata comunicata ai padri dell'ordine cistercense". E poche pagine dopo: "La commissione (meraviglie di tempi lontani!) assolse il suo compito con grande sollecitudine. Le era stato affidato il primo di gennaio del 1274; un mese dopo aveva compiuto il viaggio, scelto il luogo, fatto i preventivi, e mandati al re, che era in Puglia…".

Ritratto di Leandro Alberti (1479-1552)

Delle fasi edificatorie dell'Abbazia voluta da Carlo I d'Angiò mi occuperò in futuro, in questo post vorrei soffermarmi, invece, sulla sua distruzione e, quindi, sulla sua inesorabile perdita. Lo stesso Egidi all'inizio del saggio citato fa riferimento al fatto che ormai, ai primi del Novecento, del maestoso edificio resti poco o nulla: "pochi muri smozzicati sporgono fuori dal cumulo delle macerie. Sono i miseri avanzi della sontuosa abbazia, innalzata dalla superbia del vincitore a segnare il luogo". Recuperando la testimonianza di Leandro Alberti [2], storico, filosofo e inquisitore bolognese morto nel 1552, si ha la sicurezza che già prima del 1550 (anno di pubblicazione della sua opera) della nostra Abbazia non rimanesse in piedi granché. L'Alberti, attraversando i nostri territori e osservando i luoghi, scrive:
Nel mezzo di questi termini evvi una valle molto bassa larga 10000 passi e molto più lunga. Et talmente da ogni lato è serrata l'entrata dei campi Palentini, et quella Valle, nella quale combatterono ambedue gli esserciti insieme. Fu adunque superato nel mezo di questa pianura Corradino da Carlo antidetto. Onde il prefato Carlo vi fece edificare una sontuosa Chiesa, con un superbo monastero chiamandolo Santa Maria della Vittoria, per la vittoria ottenuta in detto luogo. Et consegnò buoni redditi à i Monachi, quali servivano alla detta Chiesa. Vero è, che per li continui terremoti è rovinata la Chiesa col monasterio, come si vede. Veramente la fu opera di grande spesa, come si può conoscer dalle rouine di quella, conciosia, che tutti questi edifici erano fatti di pietre quadrate molto misuratamente lavorate, e con gran magisterio, e parimente l'antidetto Monasterio, che in vero à veder detti rovinati edifici, ne risulta gran compassione a i risguardanti.
Si tratta, come detto, di un testo scritto a metà del Cinquecento con tutte le caratteristiche della lingua del tempo. Leandro Alberti lascia ben intendere che l'Abbazia, la cui edificazione venne ultimata probabilmente nel 1282, a distanza di poco più di duecento anni era già ridotta alla rovina. Tornando all'Egidi, egli ipotizza che "l'abbazia dovrebbe esser rovinata proprio gli ultimi anni del XV o i primi del XVI: forse nei terremoti del 6 marzo 1498 o in quelli del gennaio 1502, o del marzo 1506". In realtà, leggendo una lista dei terremoti più potenti di quei secoli, si rileva che dalla fine del Duecento, nei nostri territori, vi furono numerosi e gravi terremoti: nel 1349, ad esempio, vi fu una scossa nel centro Italia che distrusse numerose città abruzzesi e provocò molte vittime; un altro, piuttosto importante, vi fu il 26 novembre 1461, poi quello del 1506 citato dall'Egidi.

Le rovine dell'Abbazia di S. Maria della Vittoria ai primi del '900

Di certo gli eventi sismici procurarono danni ingenti alla Chiesa e al Monastero che sembra essere stato definitivamente abbandonato dai monaci già dal 1550. I Colonna, signori di queste terre ai tempi, non fecero nulla per salvare il salvabile, anzi probabilmente favorirono, per tutelare i propri interessi terrieri, l'ulteriore spoliazione di ciò che restava. Quindi, nonostante l'imponenza e la ricercata grandiosità, la nostra Abbazia ebbe, tutto sommato, una vita molto breve. Carlo I d'Angiò avrebbe voluto lasciare ai posteri il segno tangibile della sua potenza e della sua vittoria sul giovane Corradino ma il tempo, gli eventi e gli uomini hanno tramutato il suo desiderio di "eterna memoria" in una cava a cui attinsero gli abitanti di Scurcola e quelli dei paesi vicini per recuperare pietre e altri materiali per costruire chiese, case, stalle, mura e altri manufatti.


Note:
[1] Pietro Egidi, "Carlo I d'Angiò e l'Abbazia di S. Maria della Vittoria presso Scurcola", in "Archivio storico per le province napoletane" vol. 34 (1909) p. 252-291.
[2] Leandro Alberti, "Descrittione di tutta Italia, nella quale si contiene il sito di essa, l'origine et le Signorie delle Città et delle Castella", Bologna, 1550.



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martedì 25 maggio 2021

Anice: la coltura scurcolana dimenticata


L'uomo della fotografia che apre questo post si chiamava Angelo Fortuna, detto Angeluccitto. L'immagine è tratta dal libro "Scurcola Marsorum" di Dario Colucci. Angelo sta lavorando i semi d'anice. Nello specifico, sta lanciando in aria i semi affinché il movimento d'aria li separi dalla loro scorza, detta anche pula. Il lavoro di Angeluccitto è stato svolto per molto tempo dagli scurcolani ma ormai è praticamente perduto. Nessuno a Scurcola, infatti, coltiva più l'anice. Eppure stiamo parlando di una produzione che ha caratterizzato le nostre campagne per qualche secolo e che, forse, potrebbe essere recuperata da qualche agricoltore di buona volontà e con la passione per le antiche colture. La presenza delle coltivazioni di anice a Scurcola è attestata da diversi autori che, attraversando i nostri territori, rimanevano incantati nel vedere le enormi distese dei fiori bianchi della pianta di Pimpinella anisum, nome dell'anice comune che niente ha a che fare con il più scenografico anice stellato.

Campo di anice (foto dal web)

Uno dei primi testi in cui si racconta dell'anice scurcolano è quello di Giovanni Battista Brocchi [1] il qualche scrive: "Fra Tagliacozzo e le sponde del lago di Fucino stendesi una spaziosa pianura che offre una delle più belle e pittoresche scene che occhio possa mai vagheggiare in siti montani. Una serie di alpi, a cui fanno corona deliziose colline popolate da numerosi villaggi, cinge intorno quel piano, e le sottoposte campagne erano allora vestite di biondeggianti messi, e coperte in parte, per quanto si stendeva lo sguardo, da un tappeto di bianchi fiori di Pimpinella Anisum che si coltiva in gran copia nella campagne della Scurcola, e i cui semi aromatici costituiscono un lucroso rampo di commercio insieme col croco che si raccoglie in molti territori particolarmente in quello di Magliano".

Fiore d'anice (Pimpinella anisum)

Dunque, nei primi dell'800 i campi di Scurcola avevano colpito il Brocchi per la presenza di "un tappeto di bianchi fiori di Pimpinella Anisum". Qualche anno più tardi (1835) dell'anice scurcolano scrive anche il politico e letterato pugliese Giuseppe Del Re [2]: "Le sottoposte campagne sono vestite nelle debite stagioni di biondeggianti messi, e coperte in parte da tappeti di bianchi fiori di Pimpinella anisum, che si coltiva a dovizia in quelle di Scurcola, ed i cui semi aromatici costituiscono un lucroso ramo di commercio insieme col croco che si raccoglie in molti terreni, particolarmente in que' di Magliano".

Semi di anice

Sempre Del Re, nello stesso testo, specifica anche le tecniche di coltivazione e di raccolta oltre che gli impieghi dell'anice: "La coltivazione dell'anaci (pimpinella anisum) occupa nella contrada di Scurcola una parte di terre leggiere, sostanziose, esposte a mezzogiorno, preparate con lavori di aratro e di vanga, livellate con erpici. I suoi semi si gittano di volo in primavera. Allorché spuntano i getti, si sarchiano e si concimano con letami le piante. In tempo di fioritura si strappano i germogli deboli, affinché i granelli acquistino grossezza. Se ne fanno i ricolti verso la fine della state; e l'epoca ne viene indicata dalla caduta de' granelli dell'ombrella centrale. I coltivatori ne ritraggono gran profitto dalle vendite del prodotto, che fanno dentro e fuori del Regno, ove la medicina se ne giova come cordiale, carminativo e digestivo: i profumieri se ne servono per estrarre un olio crasso e odoroso: i confetturieri se ne avvalgono per comporre liquori, e piccoli confetti detti anicini".

Anasetti preparati da Angela Di Massimo

I semi di anice, che molti scurcolani continuano a chiamare "anasi", sono stati prodotti, probabilmente, fino agli anni Sessanta ma, da quanto ho potuto capire, prevalentemente per uso familiare. In generale, l'anice veniva utilizzato dalle donne scurcolane per la preparazione di dolci tradizionali che, proprio grazie alla presenza dei piccoli semi profumati, assumono un'aromaticità molto particolare. I dolci che contemplano l'uso di semi di anice, a Scurcola, sono rappresentati dalle 'ntisichelle (o tisichelle) e gli "anasetti" ossia delle ciambelle preparate solo con farina, acqua, zucchero e semi di anice che ho avuto modo di assaggiare di recente grazie ad Angela Di Massimo la quale mi ha spiegato che, un tempo, questi dolci semplici e durissimi venivano dati come "ciuccio" ai bambini molto piccoli che potevano suggerli senza il rischio di frantumarli. Inoltre i semi di anice sono usati per arricchire e aromatizzare il cosiddetto "tórtaro" un pane a forma di ciambella donato a ogni scurcolano che, durante la cerimonia della sera del giovedì santo, partecipa alla lavanda dei piedi in veste di apostolo.



Note:
[1] Giovanni Battista Brocchi "Osservazioni naturali fatte in alcune parti degli Appennini nell'Abruzzo ulteriore. Memoria (inedita)" in "Biblioteca italiana; ossia Giornale di letteratura, scienze ed arti compilato da una varj letterati", Tomo XIV, Milano, 1819, pp. 363-377.
[2] Giuseppe del Re, "Descrizione topografica fisica economica de reali domini al di qua del Faro nel Regno delle Due Sicilie con cenni storici fin da tempi avanti il dominio de romani. Tomo II", Tipografia dentro la Pietà de Turchini, Napoli, 1835, p. 223, 250-251.

***

Ringrazio Angela Di Massimo per avermi raccontato alcuni dettagli sulla tradizione dei dolci scurcolani all'anice e per avermi fatto assaggiare i suoi buonissimi "anasetti".



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giovedì 20 maggio 2021

Un testamento del 1584 e il Convento dei Cappuccini


Vagando, come sempre faccio, tra i meandri degli archivi online, mi è capitato di rintracciare, all'interno di un vecchio numero (1914) della "Rivista Abruzzese di scienze, lettere ed arti" [1], un riferimento al Convento dei Cappuccini di Scurcola. Tra le "Note e corrispondenze" accolte nella Rivista, ho individuato un breve testo a firma di Beniamino Costantini intitolato "Pel convento dei cappuccini della Scurcola". Ovviamente mi sono precipitata a leggerlo e, come spesso capita, ho rinvenuto dettagli piuttosto interessanti. Queste le parole di Costantini: 
Pel convento dei cappuccini della Scurcola 

Ecco una notizia desunta nello scorso ottobre da un documento esistente nell'Archivio Notarile di Chieti, che potrebbe essere utile a chi si occupa della storia Marsicana.
Facendo, come si dice, lo spoglio della scheda del notaro Domenico Di Rico, di Orsogna, ho rinvenuto un istrumento in data 2 luglio 1763, nel quale, ad istanza del magnifico D. Filippo Bontempi di detto comune, feudo dei principi Colonna, è trascritta una pergamena del 1584, dodicesima indizione, mese di Agosto, regnando D. Filippo d'Austria d'Aragona.
Da detta pergamena si apprende fra l'altro, che tal Cesar Bontempus o de Bonistemporibus, di Scurcola, esimio dottore in legge, con testamento raccolto dal giudice a contratti Stefano de Magistri pure di Scurcola, fa diversi legati, e prescrive la costruzione di un convento dei padri cappuccini in Scurcola, da cominciarsi entro quattro mesi, assegnando a tal uopo la somma di ducati duecento. Prega che i padri cappuccini tengano memoria di lui, e avverte, ove la costruzione del convento non abbia luogo entro quattro mesi, si destina la somma suddetta, che potrà portarsi fino a ducati 250, in dote di una cappella della chiesa di Sant'Agostino in Roma

Beniamino Costantini 
Prima di tutto bisogna spiegare che Beniamino Costantini era nato il 18 marzo 1871 a Orsogna, in provincia di Chieti. È noto come storico oltre che come autore di diversi studi, saggi e biografie di notevole interesse. Ebbene, secondo quanto Costantini scrive nella nota sopra riportata, mentre si trovava presso l'Archivio Notarile di Chieti, consultando una scheda riferibile agli atti del notaro Domenico Di Rico di Orsogna, ha rinvenuto un "istrumento" (atto notarile o rogito) datato 2 luglio 1763. Don Filippo Bontempi che, da altre fonti, risulta essere stato un domenicano di Scurcola, all'epoca fece trascrivere una pergamena dell'agosto 1584

L'articolo di Beniamino Costantini sulla "Rivista Abruzzese" (1914)

Dalla pergamena, come riporta Costantini, si rileva che un certo "Cesar Bontempus o de Bonistemporibus", dottore in legge, "prescrive la costruzione di un convento dei padri cappuccini in Scurcola, da cominciarsi entro quattro mesi, assegnando a tal uopo la somma di ducati duecento". A questo punto bisogna fermarsi e compiere qualche riflessione. Nella seconda parte del XVI secolo, il primo rappresentante della famiglia Bontempi si stabilì a Scurcola su incarico della famiglia Colonna. In base a quanto è stato possibile ricostruire, il primo Bontempi giunto a Scurcola fu Giovan Cesare Bontempi

Ho già dedicato un post a Giovan Cesare Bontempi, pubblicato su questo blog il 13 aprile del 2020. Di lui si sa per certo che, come chiaramente indicato sulla lapide funebre tuttora conservata presso la Chiesa di S. Antonio di Scurcola, morì il 14 ottobre del 1584. Non è complicato accostare le informazioni pubblicate sulla "Rivista Abruzzese di scienze, lettere ed arti" a quelle già note. Ci sono buone probabilità che il "Cesar Bontempus o de Bonistemporibus" del cui testamento si parla nella pergamena dell'agosto 1584, sia proprio il "nostro" Giovan Cesare Bontempi. Il fatto che, in estate, Giovan Cesare Bontempi chiedesse al notaio scurcolano Stefano de Magistri di raccogliere le sue ultime volontà, potrebbe significare che era ben consapevole che non sarebbe vissuto a lungo

Ritratto di Giovan Cesare Bontempi

Giovan Cesare venne sepolto nella Chiesa di S. Antonio perché morì a Scurcola. Nel 1584 aveva 64 anni e lasciava la moglie, Orazia Salamonia, e i figli Giovanni Battista, Federico e Marcello. Tra le sue ultime volontà, secondo quanto riportato nell'antica pergamena descritta da Costantini, vi era quella di far edificare "un convento dei padri cappuccini in Scurcola" entro quattro mesi dall'agosto 1584. Evidentemente Giovan Cesare conosceva le sue precarie condizioni di salute e voleva che i lavori per il Convento iniziassero in fretta. Non sapremo mai se le sue volontà vennero rispettate. Da diversi documenti risulta che i primi francescani cappuccini si stabilirono nel Convento di Scurcola a partire dal 1590, ossia sei anni dopo la morte di Giovan Cesare Bontempi. 

Basilica di Sant'Agostino in Campo Marzio

Non è da escludere che il suo desiderio non poté realizzarsi, non nei tempi da lui richiesti, quanto meno. Ciò, come si legge, avrebbe comportato una donazione di 250 ducati (una cifra molto importante al tempo) a favore di una cappella della chiesa di Sant'Agostino in Roma. Non sappiamo quale cappella, purtroppo, ma è evidente che i Bontempi dovevano essere collegati, anche solo come semplici devoti, alla Basilica di Sant'Agostino in Campo Marzio al cui interno sono conservate opere di Raffaello, Guercino, Sansovino oltre alla celebre "Madonna dei Pellegrini" di Caravaggio.


Note:
[1] "Rivista Abruzzese di scienze, lettere ed arti", Anno XXIX - Fascicolo XII - Dicembre 1914.



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sabato 15 maggio 2021

Anno 1894: furto e danneggiamento del tabernacolo della Madonna della Vittoria


Nella notte del 10 marzo 1894 uno sconsiderato tentò di rubare le sei splendide tele poste sulle ante interne del tabernacolo che custodiva la statua della Madonna della Vittoria di Scurcola Marsicana. Un atto increscioso e vandalico anche perché il ladro, evidentemente piuttosto maldestro oltre che particolarmente inesperto, non fece altro che danneggiare in maniera irreparabile le preziose opere, attribuite al noto pittore Saturnino Gatti (1463-1518), causando un'immane perdita per i devoti, per il paese di Scurcola e per il panorama storico e artistico locale. Il pessimo soggetto, autore di tanto scempio, neanche a dirlo, non fu mai individuato né punito per il suo misfatto.

Copertina della Rivista "L'Arte" 1904

Del tragico furto scrisse, a suo tempo, anche lo studioso Pietro Piccirilli [1]: "… ho trovato che buona parte delle belle tempere era scomparsa: un malvivente le aveva strappate dal legno in modo vandalico!". Lo storico riferisce che "un pregiudicato del luogo staccò sconciamente le tele e corse subito a venderle a Roma. L'abate D. Serafino De Giorgio [2], accortosi del sacrilego sfregio, ne dette avviso alle autorità". Secondo la testimonianza di Piccirilli, una parte insignificante di quelle tele fu rinvenuta presso l'antiquario Eliseo Borghi "il quale dichiarò di aver venduto ad un pittore tedesco gli altri pezzi, aggiungendo di non ricordare il nome del ladro, né quello del compratore".

Presentazione al Tempio (dettaglio)

Come detto, era il 1894 e, da quel momento, nessuno ha più saputo che fine abbiano fatto le porzioni delle tele oltraggiate che ornavano la cassa lignea, decorata internamente con gigli dorati (simbolo degli Angioini, Re di Francia). Il prezioso tabernacolo è quello che, secondo la tradizione, custodiva la Madonna quando, nel 1525, fu rinvenuta presso le rovine della perduta Abbazia cistercense di Santa Maria della Vittoria, così come racconta il Corsignani [3]: "…dentro una Cassa di noce, che stava dentro un'altra cassa più grande, quali casse presentemente ancora lì si trovano, e stanno dentro la detta Chiesa".

Annunciazione (lato sinistro) Crocifissione (lato destro)

Oggi la preziosa custodia lignea è conservata presso il Museo d'Arte Sacra della Marsica, all'interno del Castello Piccolomini di Celano. Le tele dipinte dal Gatti, come si può rilevare, sono state tutte danneggiate, in maniera più o meno grave, dal tentativo di furto di fine Ottocento. Partendo dal lato sinistro, in alto, sono rappresentate tre scene: l'Annunciazione, l'Adorazione dei Magi e la Presentazione al Tempio. Sul lato destro, sempre partendo dall'alto, troviamo: la Crocifissione, la Flagellazione e la Cattura di Cristo. Quest'ultimo pannello, purtroppo, è stato completamente compromesso dal danneggiamento causato, come scritto, nel lontano 1894.


Note
[1] Pietro Piccirilli, "Notizie degli Abruzzi, furti di oggetti d'arte a Scurcola e a Paterno", in "L'Arte", 1904, pp. 504, 505.
[2] Piccirilli, probabilmente, ha confuso i nomi dei fratelli De Giorgio. In quel periodo l'abate di Scurcola era don Vincenzo De Giorgio. Serafino De Giorgio, suo fratello, non fu mai abate ma Sindaco di Scurcola dal 1882 al 1885 e, poco più tardi, dal 1892 al 1893.
[3] Pietro Antonio Corsignani, "Reggia marsicana", Parrino, Napoli, 1738.


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lunedì 10 maggio 2021

Lettera al Sindaco che verrà


Gentile Sindaco di Scurcola Marsicana,

le scrivo da un tempo in cui non è possibile conoscere il suo nome né le sue intenzioni. Indipendentemente da chi sarà, ritengo necessario soffermarmi su alcune considerazioni e urgenze che, da Sindaco, mi piacerebbe che lei vagliasse. Conosciamo tutti la situazione di stallo (economico, civile, demografico, ecologico, commerciale, turistico, sociale, culturale, intellettuale) che il nostro piccolo paese sta vivendo da tempo, per questo le chiedo di dedicare ogni sforzo possibile alla reale e concreta rinascita di Scurcola.

Come faccio da circa due anni, attraverso il mio blog e non solo, cerco di sottolineare in ogni modo le innumerevoli ricchezze che Scurcola possiede. Mi riferisco a tutti i beni artistici, storici, culturali e umani che il nostro paese custodisce e, troppo spesso, trascura o disconosce o mortifica. Nel tempo, studiando e ricercando, scrivendo e confrontandomi con altri scurcolani, ho capito che tante persone amano il paese in cui vivono e nel quale hanno scelto di far crescere i loro figli. Sono persone coraggiose, gentile Sindaco. Il loro coraggio sta nell'aver trovato un modo per restare a Scurcola, ciò che a molti non è stato possibile perché richiamati altrove, giustamente e legittimamente, per via di migliori condizioni di vita, di lavoro, di esistenza.


I cittadini che restano a Scurcola hanno diritto di poter contare su amministratori capaci e coraggiosi almeno quanto loro, anzi più di loro. Avere coraggio significa anche lavorare per migliorare, crescere e cambiare perché tutto ciò non è solo auspicabile ma necessario. L'inerzia, l'inettitudine, l'indifferenza, l'assenza di buona volontà, i personalismi, l'arroganza, la cattiva fede e l'opportunismo sono deleteri per ogni paese che vive. Fermarsi, accontentarsi, ingessarsi o arroccarsi su posizioni chiuse e ostili ci condurranno verso la rovina che, devo confessarle, molti intravedono all'orizzonte o, addirittura, già in atto da tempo. Purtroppo, signor Sindaco, i disillusi sono tanti. Si tratta di persone che non mi sento di biasimare, comprendo il loro disincanto e la loro sfiducia, ma è proprio da questi cittadini che bisogna ripartire.

Lavorare per Scurcola significa mettersi in gioco in maniera totale. E costerà un'immane fatica. Amministrare un paese, seppur piccolo come il nostro, richiede comunque grande preparazione tecnica, ma anche umana e culturale. Servirà capire come muoversi nei meandri della pubblica amministrazione, a livello regionale, nazionale ed europeo. Servirà essere all'altezza di un mondo che corre veloce e non fa sconti a nessuno. Servirà saper trovare i migliori e più efficienti canali comunicativi per raggiungere le istituzioni ma anche i semplici cittadini. Trovi il tempo, signor Sindaco, di comunicare con le persone e, soprattutto, provi ad ascoltarle, con pazienza, con disponibilità, con attenzione. Non faccia mai l'errore di parlare solo di sé e per sé: prima di essere chi è, lei è un Sindaco e la sua carica non le dà il diritto di sopraffare o svilire gli altri. Mai.


Il paese ha bisogno di atti concreti che lo rimettano in sesto dal punto di vista urbanistico, economico, umano, ambientale, commerciale e per farlo serve essere costruttivi e non disfattisti, determinati e non approssimativi, mentalmente elastici e persino visionari. Per chiudere, vorrei riservare un po' di spazio ai temi che mi stanno più a cuore e che, come saprà, legano Scurcola al suo patrimonio storico, artistico e culturale. È giunto il momento di studiare progetti ad hoc per la valorizzazione dei nostri preziosi beni: la Rocca, il borgo, le piazze, i palazzi storici, l'antica Abbazia, la necropoli, le Chiese, il luogo della Battaglia, le fontane, i personaggi, il paesaggio, i prodotti tipici. Sindaco, la prego, punti sulla bellezza. Diversi amministratori del territorio marsicano lo stanno già facendo da anni e, come vediamo, funziona perché genera cultura, turismo e attenzione. Scurcola possiede molto ma non ha ancora trovato il modo per far fruttare, in maniera intelligente, innovativa, efficace e lungimirante, tutto ciò che contiene. Idee nuove, Sindaco, idee che ci diano visibilità, forza e nuovi stimoli. Urge intelligenza, urge competenza, urge coraggio, urge rinascere. Non possiamo sprecare altro tempo né altre occasioni.


Maria Tortora



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mercoledì 5 maggio 2021

I ragazzi che fecero l'impresa… di illuminare la Croce


Alessio Morzilli, Simone Morzilli, Metteo Andreoli, Daniele Di Massimo, Gianluca Paolucci, Andrea Bigozzi, Andrea Fiori, Valerio Marocchi, Vincenzo Romano, Simone Proietti, Gabriele Nicolai, Alessio Marini, Livio Buschi. Sono loro i ragazzi che fecero l'impresa, quelli che, per il grande attaccamento che nutrono nei confronti di Scurcola, a dimostrazione di quanto possa essere costruttivo e positivo l'autentico spirito di amicizia e collaborazione, un bel giorno hanno deciso di illuminare la Croce. Delle origini e della storia della nostra Croce ho già scritto. Ora è il momento di dedicare spazio e memoria a coloro che, qualche anno fa, pensarono di renderla visibile e lucente, lasciando a chi la osserva di notte la sensazione che sia sospesa in cielo.

I ragazzi di Scurcola che hanno illuminato la Croce

Alessio Morzilli è un po' l'iniziatore dell'impresa. L'idea iniziale dei giovani scurcolani è stata quella di celebrare il venerdì santo, momento da sempre molto sentito a Scurcola. L'intento era quello di sorprendere i fedeli che, la sera, all'uscita dalla Chiesa, dopo la cerimonia del Calvario, avrebbero ammirato la Croce luminosa. Alessio, un giorno, tornando a casa dal lavoro, ha deciso, quasi d'istinto, di fermarsi da Francesco Proietti, compianto e amato artigiano scurcolano da sempre dedito all'installazione di luminarie e di palchi per le feste. Francesco ha preparato, su richiesta di Alessio, un cavo di 33 metri composto da una miriade di lampadine. Era il 6 aprile 2012, venerdì santo. I giovani di Scurcola, dopo aver preso parte all'immancabile Cenacolo, sono saliti alla Croce portandosi dietro un generatore e il carburante necessario per accendere il filo di lampadine che avevano già provveduto a sistemare il giorno precedente, giovedì santo.

Allestimento impianto di illuminazione a LED (luglio 2015)

Quella stessa sera tutti gli scurcolani hanno potuto ammirare, per la prima volta nella storia, la Croce illuminata. Un'emozione che molti ricordano ancora, una suggestione che ha lasciato tutti senza parole. La Croce rimase accesa fino alla mezzanotte. Lo spettacolo della Croce illuminata, voluto dai ragazzi di Scurcola, colpì e sorprese tutti e da tutti fu apprezzato. Per questo gli artefici di tale originale e straordinaria iniziativa pensarono di replicarla anche nel 2013 e nel 2014. Già nel 2014, però, i ragazzi stavano considerando di rendere il loro progetto più stabile e concreto. Contattarono una ditta specializzata per realizzare un progetto tecnico ad hoc per la nostra Croce. Tutti loro si auto-tassarono per raccogliere i fondi necessari e, grazie a dei bussolotti sparsi presso la attività commerciali di Scurcola, raccolsero le offerte di chi voleva dare una mano. Chiesero e ottennero un sostegno da parte della BCC di Roma fino a raggiungere la somma complessiva che si aggirava attorno ai 3.000 euro, necessari a pagare il progetto e i materiali. 

La Croce illuminata con i LED (14 luglio 2015)

Ognuno di loro ha collaborato con efficacia e passione alla concretizzazione di un'idea che, come vediamo ogni sera, alzando lo sguardo verso la cima di Monte San Nicola, ha rappresentato per Scurcola un cambiamento visibile, apprezzato, innovativo. Il sistema che attualmente illumina la Croce è composto da pannelli fotovoltaici (a basso impatto ambientale) che caricano delle batterie capaci di fornire l'energia sufficiente a tenere accesi i led posti lungo il perimetro della struttura. Il timer, che va adeguato di tanto in tanto in base alle ore di luce e di buio, stabilisce accensione e spegnimento. Ovviamente l'impianto va monitorato costantemente e riparato se necessario. I ragazzi che fecero l'impresa, infatti, continuano a salire alla Croce e a controllare che tutto sia a posto. Nel luglio 2015, dopo un'attenta preparazione, dopo aver organizzato ogni dettaglio, dopo aver pensato, discusso e predisposto tutto a regola d'arte, la Croce di Scurcola si è illuminata in maniera permanente. E ai ragazzi che hanno reso possibile l'impresa di illuminare la Croce va tutta la mia stima e, immagino, quella di tutti gli scurcolani.

***

Le foto che corredano questo post sono di Simone Proietti. Ringrazio Gianluca Paolucci per avermi permesso di entrare in contatto con Alessio Morzilli il quale, durante una lunga chiacchierata in piazza (con mascherina anti Covid d'ordinanza), mi ha raccontato nel dettaglio l'idea, il progetto e la messa in opera dell'impianto che ha illuminato la Croce.



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Il filosofo Antonio Rocco tra “Le Glorie degli Incogniti” (1647)

Siamo nella Venezia del Seicento, la città più cosmopolita della penisola. Giovanni Francesco Loredan ha solo 27 anni quando, da giovane no...