martedì 25 maggio 2021

Anice: la coltura scurcolana dimenticata


L'uomo della fotografia che apre questo post si chiamava Angelo Fortuna, detto Angeluccitto. L'immagine è tratta dal libro "Scurcola Marsorum" di Dario Colucci. Angelo sta lavorando i semi d'anice. Nello specifico, sta lanciando in aria i semi affinché il movimento d'aria li separi dalla loro scorza, detta anche pula. Il lavoro di Angeluccitto è stato svolto per molto tempo dagli scurcolani ma ormai è praticamente perduto. Nessuno a Scurcola, infatti, coltiva più l'anice. Eppure stiamo parlando di una produzione che ha caratterizzato le nostre campagne per qualche secolo e che, forse, potrebbe essere recuperata da qualche agricoltore di buona volontà e con la passione per le antiche colture. La presenza delle coltivazioni di anice a Scurcola è attestata da diversi autori che, attraversando i nostri territori, rimanevano incantati nel vedere le enormi distese dei fiori bianchi della pianta di Pimpinella anisum, nome dell'anice comune che niente ha a che fare con il più scenografico anice stellato.

Campo di anice (foto dal web)

Uno dei primi testi in cui si racconta dell'anice scurcolano è quello di Giovanni Battista Brocchi [1] il qualche scrive: "Fra Tagliacozzo e le sponde del lago di Fucino stendesi una spaziosa pianura che offre una delle più belle e pittoresche scene che occhio possa mai vagheggiare in siti montani. Una serie di alpi, a cui fanno corona deliziose colline popolate da numerosi villaggi, cinge intorno quel piano, e le sottoposte campagne erano allora vestite di biondeggianti messi, e coperte in parte, per quanto si stendeva lo sguardo, da un tappeto di bianchi fiori di Pimpinella Anisum che si coltiva in gran copia nella campagne della Scurcola, e i cui semi aromatici costituiscono un lucroso rampo di commercio insieme col croco che si raccoglie in molti territori particolarmente in quello di Magliano".

Fiore d'anice (Pimpinella anisum)

Dunque, nei primi dell'800 i campi di Scurcola avevano colpito il Brocchi per la presenza di "un tappeto di bianchi fiori di Pimpinella Anisum". Qualche anno più tardi (1835) dell'anice scurcolano scrive anche il politico e letterato pugliese Giuseppe Del Re [2]: "Le sottoposte campagne sono vestite nelle debite stagioni di biondeggianti messi, e coperte in parte da tappeti di bianchi fiori di Pimpinella anisum, che si coltiva a dovizia in quelle di Scurcola, ed i cui semi aromatici costituiscono un lucroso ramo di commercio insieme col croco che si raccoglie in molti terreni, particolarmente in que' di Magliano".

Semi di anice

Sempre Del Re, nello stesso testo, specifica anche le tecniche di coltivazione e di raccolta oltre che gli impieghi dell'anice: "La coltivazione dell'anaci (pimpinella anisum) occupa nella contrada di Scurcola una parte di terre leggiere, sostanziose, esposte a mezzogiorno, preparate con lavori di aratro e di vanga, livellate con erpici. I suoi semi si gittano di volo in primavera. Allorché spuntano i getti, si sarchiano e si concimano con letami le piante. In tempo di fioritura si strappano i germogli deboli, affinché i granelli acquistino grossezza. Se ne fanno i ricolti verso la fine della state; e l'epoca ne viene indicata dalla caduta de' granelli dell'ombrella centrale. I coltivatori ne ritraggono gran profitto dalle vendite del prodotto, che fanno dentro e fuori del Regno, ove la medicina se ne giova come cordiale, carminativo e digestivo: i profumieri se ne servono per estrarre un olio crasso e odoroso: i confetturieri se ne avvalgono per comporre liquori, e piccoli confetti detti anicini".

Anasetti preparati da Angela Di Massimo

I semi di anice, che molti scurcolani continuano a chiamare "anasi", sono stati prodotti, probabilmente, fino agli anni Sessanta ma, da quanto ho potuto capire, prevalentemente per uso familiare. In generale, l'anice veniva utilizzato dalle donne scurcolane per la preparazione di dolci tradizionali che, proprio grazie alla presenza dei piccoli semi profumati, assumono un'aromaticità molto particolare. I dolci che contemplano l'uso di semi di anice, a Scurcola, sono rappresentati dalle 'ntisichelle (o tisichelle) e gli "anasetti" ossia delle ciambelle preparate solo con farina, acqua, zucchero e semi di anice che ho avuto modo di assaggiare di recente grazie ad Angela Di Massimo la quale mi ha spiegato che, un tempo, questi dolci semplici e durissimi venivano dati come "ciuccio" ai bambini molto piccoli che potevano suggerli senza il rischio di frantumarli. Inoltre i semi di anice sono usati per arricchire e aromatizzare il cosiddetto "tórtaro" un pane a forma di ciambella donato a ogni scurcolano che, durante la cerimonia della sera del giovedì santo, partecipa alla lavanda dei piedi in veste di apostolo.



Note:
[1] Giovanni Battista Brocchi "Osservazioni naturali fatte in alcune parti degli Appennini nell'Abruzzo ulteriore. Memoria (inedita)" in "Biblioteca italiana; ossia Giornale di letteratura, scienze ed arti compilato da una varj letterati", Tomo XIV, Milano, 1819, pp. 363-377.
[2] Giuseppe del Re, "Descrizione topografica fisica economica de reali domini al di qua del Faro nel Regno delle Due Sicilie con cenni storici fin da tempi avanti il dominio de romani. Tomo II", Tipografia dentro la Pietà de Turchini, Napoli, 1835, p. 223, 250-251.

***

Ringrazio Angela Di Massimo per avermi raccontato alcuni dettagli sulla tradizione dei dolci scurcolani all'anice e per avermi fatto assaggiare i suoi buonissimi "anasetti".



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1 commento:

  1. Bellissimo, non ne sapevo niente delle antiche coltivazioni di anice. Adoro l anice. Però ricordo benissimo le mitiche ciambelline all anice. Ricordi che fanno parte della mia vita. Grazie carissima

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