venerdì 3 aprile 2020

Funaro, bastaro, facocchio, caldararo e scardassiere: i mestieri degli scurcolani di una volta


Nel centro storico di Scurcola esiste una bella stradina fatta di scalini che parte da Corso Vittorio Emanuele, nella zona di Sant'Egidio, e porta fino a "Jo Pretone" (Via XI Febbraio). Si chiama "Via dei Funari" (foto sopra). Un nome che dovrebbe derivare da un mestiere antico, quello dei funari: il mestiere di chi realizzava le corde. Un lavoro che consisteva nell'intrecciare saldamente i fili della canapa attraverso tecniche particolari e precise così da consentire la realizzazione di solide e sicure funi da utilizzare per varie finalità. Evidentemente, in quella zona di Scurcola, dovevano esserci persone che svolgevano questo mestiere. Dagli elenchi degli scurcolani vissuti durante l'800 ho potuto rilevare che a Scurcola c'erano almeno due fabbricatori di funi, al tempo: Giovanloreto Censi e Giovanni Censi

Come si usava il basto o "masto"
Quello dell'imbastaro o bastaro era un mestiere che, spulciano negli elenchi redatti da Enzo Colucci, a Scurcola un tempo svolgevano Silverio Falcone, Basile Falcone e Franco Silvestri. L'imbastaro o bastaro è colui che produce i basti o, come diciamo in dialetto scurcolano i "masti", da cui anche il mestiere di "mastaro". Il basto è una rudimentale sella di legno, fornita di una rozza imbottitura, che veniva appoggiata sul dorso di animali da soma, soprattutto muli e somari, per trasportare carichi di varia natura, assicurati con delle funi che passavano attraverso anelli collocati al lato degli arcioni. Con il basto, spesso, si riusciva a cavalcare anche l'animale. 

Un carretto in Piazza Vetoli a Scurcola nel primo '900
Giovanbattista Falcone, invece, faceva il facocchio. Un termine che sta a indicare chi sapeva lavorare sia il legno che il metallo e si occupava di costruire o riparare i carretti. Il mestiere di facocchio è forse uno dei più antichi e affascinanti perché chi lo praticava doveva dimostrare di essere, allo stesso tempo, un bravo falegname ma anche un ottimo fabbro. C'era poi un certo Francesco Letizia che faceva il caldararo o lo stagnaro, questo vuol dire che era abile nella riparazione delle pentole o dei "cotturi" (paioli) che un tempo erano presenti in ogni cucina e in ogni casa del paese. 

Cotturo o Paiolo
C'era poi anche chi si occupava di cardare la lana e, dai documenti rinvenuti, questo mestiere era esercitato da Achille Garzia, nato nel 1825. Ma gli antichi mestieri svolti dagli scurcolani intorno a 150/200 anni fa erano vari. Oltre ai soliti contadini, braccianti e pastori di pecore, a Scurcola c'erano schiere di calzolai, c'erano diversi barbieri (Vincenzo Campili, Angelo Carusotti, Carlo Paluzzi, Giovanfrancesco Trombetta e Matteo Trombetta), c'erano dei "caffettieri" (Vincenzo Di Gasbarro e Luca Mastrocesare), abbiamo avuto dei cocchieri (Giuseppe Cerrone, Francesco D'Alessandro e Francesco Giusti), un paio di domestici (Emanuele D'Angelo e Giovanni Giuliocesare). Ci sono stati due farmacisti (Domenico Rosa e Pietro Fallocco), un ebanista (Domenico Borgonzoni), un orefice (Giuseppe Barnaba), un ricamatore (Angelantonio D'Amici) e persino un pitocchiante, ossia un mendicante (Berardo D'Imperio). C'erano ferrai, falegnami, macellai, sarti e alcuni medici. Abbiamo avuto importanti sequele di sacerdoti, canonici e frati, oltre a una lunga serie di possidenti che vengono definiti ufficialmente e semplicemente "proprietari", appartenenti alle famiglie più facoltose dell'epoca: Bontempi, Ottaviani, D'Amore, Liberati, Pompei, Vetoli, Orlandi, Marimpietri

Ciò che manca, in questi elenchi, è l'indicazione di cosa facessero le donne di Scurcola durante il XIX secolo. Di loro ci si sforza di dire, al massimo, che fossero tessitrici o filatrici. Qualcuna è diventata suora. Ma niente di più.


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