lunedì 15 novembre 2021

L'Angelo custode, il bel dipinto del 1641 custodito a Scurcola


La figura dell'Angelo custode, a Scurcola, riconduce quasi sempre all'intitolazione della splendida e antica Cappella presente all'interno della Chiesa della SS. Trinità, affrescata da Angelo Guerra da Anagni nel lontano 1604. Ma oltre alla "Cappella dell'Angelo custode", nel nostro paese, esiste anche un'altra opera che richiama questa specifica figura della tradizione cristiana, un dipinto che pochissimi conoscono e di cui pochissimo si è parlato. La tela dell'Angelo custode riporta la data del 1641, purtroppo non si conosce il nome dell'artista che l'ha realizzata. Secondo quanto scrive la dott.ssa Maria Pia Fina nel suo saggio sui beni ecclesiastici della nostra parrocchia [1], l'opera si trovava nella sagrestia della piccola Chiesa dell'Immacolata Concezione. Ho fatto di recente visita alla sagrestia ma la tela non è più qui, forse è stata spostata altrove per proteggerla ed evitare che venisse danneggiata o rubata.

Il bel volto dell'Angelo e le sue ali piumate

La raffigurazione pittorica dell'Angelo custode rientra nei classici canoni dell'iconografia cattolica: la grande figura alata, che qui è dotata di meravigliose ali piumate, sorregge e conduce un bambino indicando qualcosa di "superiore" (che a noi non è visibile) con l'indice della mano sinistra. L'angelo indossa abiti svolazzanti di colore rosso e blu e, dettaglio che mi ha colpito immediatamente, porta dei calzari di fattura elegantissima. La figura dell'Angelo custode e quella del bimbo sembrano quasi sollevarsi da terra, trasmettendo una sensazione di levità e di estrema delicatezza. Secondo i testi sacri, l'angelo custode è colui che Dio ha posto accanto a ogni essere umano: il bambino del dipinto incarna proprio l'individuo-uomo che, nella sua ingenuità, ha bisogno della guida di un essere celeste che sa custodirlo, quindi salvaguardarlo e vigilarlo, per amore divino.

I raffinati calzari dell'Angelo

Grazie all'archivio digitale BeWeb (Portale dei beni culturali ecclesiastici), ho potuto conoscere un altro elemento di estremo interesse dell'opera in questione. Si tratta di un'iscrizione posizionata nella parte in basso a sinistra, sotto la mano del bambino che, purtroppo, si legge solo in parte: "ANGELO DE DIO CUSTODE ANIMA IN VITA ETERNA [...] ET VIRGINIA VISARDI SUA MOGLIE HANNO FATTO FARE QUESTA OPERA PER LORO DEVOTIONE ANNO 1641". Importante la datazione ma, a mio avviso, ancora più importante il nome della committente: Virginia Visardi. Il nome dei Visardi, come ho già scritto diverso tempo fa, non è particolarmente ricordato a Scurcola, eppure Marco Antonio Visardi e Giovanni Pietro Visardi hanno lasciato le loro "firme" ben visibili. Dove? Proprio nella Cappella dell'Angelo custode sopra menzionata. Un caso? A questo punto non credo.

Il nome di Marco Antonio Visardi
(Cappella dell'Angelo Custode di Scurcola)

Come ho ipotizzato in precedenza, propendo nel sostenere che la Cappella dell'Angelo custode di Scurcola, affrescata da Angelo Guerra di Anagni ai primi del Seicento, sia stata commissionata da Marco Antonio Visardi, come si evince dall'iscrizione "Marco Antonio Visardi fieri fecit", vale a dire "Marco Antonio Visardi fece fare", posta sulla parete destra della Cappella. La devozione dei Visardi nei riguardi dell'Angelo custode è confermata anche dal bellissimo dipinto che ho appena descritto, commissionato da Virginia Visardi e da suo marito di cui, purtroppo, al momento, non si riesce a decifrare il nome a causa delle cattive condizioni in cui versa la superficie, olio su tela, del quadro. Un'opera devozionale che, immagino, potrebbe essere stata collocata nella piccola Chiesa dell'Immacolata Concezione in periodi successivi alla sua esecuzione che, come più volte sottolineato, avvenne nel 1641 ossia dopo soli 37 anni rispetto alla creazione degli affreschi della Cappella dell'Angelo custode.


Note
[1] Maria Pia Fina, "I beni ecclesiastici della parrocchia di Scurcola Marsicana", in "Scurcola Marsicana Monumenta", Comune di Scurcola Marsicana, 2006, p. 162, 169.




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