giovedì 30 aprile 2020

Tesoro di Scurcola: la splendida croce processionale del XV secolo


Anche Scurcola ha il suo Tesoro ed è costituito da una serie di oggetti molto preziosi, molto antichi e molto belli che, in generale, gli scurcolani conoscono o apprezzano poco. Tra di essi vale la pena soffermarsi su una splendida croce processionale risalente al XV secolo. La croce processionale, come si può facilmente intuire, è una croce che veniva portata in processione e, anche per questo, è decorata su entrambi i lati. Solitamente nella parte frontale si trova sempre la figura di Cristo mentre sul retro è possibile notare la presenza della Madonna o di un Santo. L'uso di condurre in processione delle piccole croci dotate di un'impugnatura ha origini antiche risalenti alla metà del VI sec. e si è mantenuto almeno fino al XVI secolo. In seguito si diffuse l'abitudine di utilizzare le croci astili, ossia quelle dotate di un'asta che le sorregge. 

Il testo di Costantino Oddi che ho consultato

Grazie a Costantino Oddi, ho potuto leggere e consultare un testo intitolato "Architettura e arte nella Marsica. 1984-1987. II Arte" [1] all'interno del quale ho rintracciato interessanti informazioni circa la croce processionale di Scurcola Marsicana. A quanto si legge, essa potrebbe provenire dalla distrutta chiesa di San Michele Arcangelo o, come veniva chiamata a Scurcola, la Chiesa di Sant'Angelo. Oggi la croce è conservata nella Chiesa della SS. Trinità e, dettaglio di estremo prestigio, su di essa Pietro Piccirilli [2] "vide impresso uno dei bolli quattrocenteschi - non specifica quale - della corporazione degli orafi sulmonesi". Cosa vuol dire? Che la croce processionale di Scurcola, pur essendo stata rimaneggiata e manomessa in seguito, è stata creata dagli abili orafi di Sulmona nel corso del Quattrocento.

Sigillo SUL presente su un'altra croce processionale

Va spiegato che, a partire dal XV secolo, Sulmona è divenuta sede di una delle più importanti e prestigiose corporazioni di orafi presenti in Abruzzo. La Scuola Orafa Sulmonese realizzava manufatti di grande raffinatezza sui quali veniva sempre apposto il sigillo "SUL", così da poter distinguere le creazioni d'arte orafa sulmonesi da quelle create altrove. Il sigillo venne consegnato nel 1406 da re Ladislao di Durazzo all'orafo Nicola Piczulo affinché venisse applicato su tutte le opere realizzate in oro e argento; se ne perderà l'uso solo a partire dal XVI secolo. Sulla croce processionale di Scurcola il marchio o sigillo "SUL", come detto, è stato attestato dal famoso studioso Pietro Piccirilli che deve averlo rilevato quando, tra la fine dell'800 e i primi del '900, studiò l'oggetto. Purtroppo oggi quel segno "SUL" non c'è più. Il bollo, come spiega la studiosa Mariarosa Gabbrielli, è stato abraso "da una malaccorta ripulitura dell'argento". 

Figura della Maddalena e simbolo di Scurcola

Il centro della croce è caratterizzato da un Crocifisso a tutto tondo mentre nei tre trilobi superiori sono presenti le tre Marie: Maria, Maria Maddalena e Maria di Cleofa. Le notazioni riferibili al libro sopra menzionato sono chiare: "L'opera appare non eccelsa e per di più disorganica, tanto da far pensare addirittura a pesanti rifacimenti operati in passato. Difatti, per parti originali più antiche sembrano essere le figure delle formelle ed il S. Michele con la bilancia che infilza il demonio con la spada, mentre le lamine di rivestimento ed il Crocifisso, coronato di spine e dal perizoma assai corto, appaiono quanto meno del secolo successivo". Uno degli elementi più evidenti degli anomali rifacimenti della croce è ben visibile sul recto: la figura della Maddalena (ora posta nel trilobo superiore) appare accovacciata con lo sguardo rivolto verso l'alto, questo indica che un tempo guardava Cristo dal basso e, di conseguenza, doveva necessariamente trovarsi ai piedi della croce, proprio lì dove adesso vediamo il simbolo di Scurcola, evidentemente apposto in un momento successivo. È più che evidente che la croce ha subito interventi molto invasivi che ne hanno stravolto l'originario impianto

Verso della croce con S. Michele Arcangelo e gli Evangelisti

Il verso (lato posteriore) della croce processionale di Scurcola è invece dominato dalla bella figura di San Michele Arcangelo intento ad infilzare il drago/demonio con la sua spada (ricordo che questa croce un tempo era custodita nella Chiesa di Sant'Angelo e forse non è un caso). L'Arcangelo Michele ha tra le mani una bilancia con cui, secondo una tradizione che risale, attraversando l'Islam, addirittura alla mitologia egiziana e persiana, pesa le anime degli uomini, ma la bilancia può essere anche intesa come l'equilibrio umano tra la Terra e il Cielo. Nei quattro trilobi di questo lato della croce sono rappresentati i quattro Evangelisti: a sinistra Giovanni, a destra Luca, in alto Matteo e in basso Marco. Lungo il bordo della croce sono presenti delle sfere in rame dorato


Note 

[1] "Architettura e arte nella Marsica. 1984-1987. II Arte" a cura della Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici per l'Abruzzo, Japadre Editore, L'Aquila-Roma 1987. 

[2] Pietro Piccirilli è stato un importante letterato, storico e studioso abruzzese. Nasce a Sulmona il 18 luglio 1849. Si diploma presso l'Istituto di Belle Arti di Napoli nel 1875 e lavora come insegnante nella sua città natale, arrivando a fondare e dirigere la Scuola d'Arti e Mestieri. Ha iniziato a scrivere d'arte, di storia e di cultura abruzzese dalla seconda parte dell'800. La sua produzione è vasta e tuttora fondamentale per le Belle Arti d'Abruzzo. Nel 1907 diventa socio corrispondente per la classe di storia, archeologia e filologia dell'Accademia Pontaniana e socio benemerito della Società di Storia Patria Abruzzese. Numerosi e importanti gli incarichi da lui assunti nel corso degli anni. Ha dedicato spazio anche all'oreficeria abruzzese tanto che avrebbe voluto realizzare un volume intitolato "L'arte dell'orafo nella terra d’Abruzzo dal XIII al XIX secolo" ma non vi riesce. Ha dedicato molta attenzione all'area della Marsica colpita dal terremoto del 1915: Piccirilli si impegna in una fondamentale opera di recupero di sculture, dipinti e arredi. Muore nella sua Sulmona l'8 marzo 1921.

martedì 28 aprile 2020

Le prime cartoline di Scurcola Marsicana


La cartolina illustrata o fotografica, come la intendiamo oggi, ha un'antenata che è la cartolina postale, utilizzata per la prima volta dalle poste austro-ungariche nel 1869. In Italia, invece, la prima cartolina postale venne realizzata nel 1874. Stiamo parlando di un semplice cartoncino su cui da un lato veniva scritto l'indirizzo del destinatario, con un'affrancatura prestampata, e dall'altro il messaggio da inviare. La grande comodità di questo strumento di comunicazione stava nel fatto che poteva viaggiare senza essere contenuto in una busta chiusa. Ma quando la cartolina postale divenne cartolina illustrata? Solo nel momento in cui nacquero le cartoline commemorative. Tra le prime in assoluto, furono emesse la cartolina allestita nel 1895 per il 25° anniversario della Liberazione di Roma e quella realizzata per celebrare le nozze del Principe Ereditario, il futuro Re d'Italia Vittorio Emanuele III, con la Principessa Elena Petrovich del Montenegro

Cartolina commemorativa 25° Ann. Liberazione di Roma - 1895

A partire dal 1885 iniziarono a diffondersi le prime vere cartoline illustrate paesaggistiche. Inizialmente erano accompagnate da disegni monocromatici, pochi anni più tardi, più o meno dal 1889, arrivarono anche quelle fotografiche le quali aveano dimensioni diverse da quelle che oggi consideriamo standard. Con la diffusione dell'arte fotografica, le immagini di panorami o scorci di molti centri urbani, piccoli o grandi, iniziarono a essere stampati sulle cartoline per accompagnare un messaggio. Anche Scurcola, nella prima parte del Novecento, è finita su una cartolina

Prima cartolina panoramica di Scurcola

Da quanto ho potuto ricostruire, la cartolina illustrata più vecchia di Scurcola (la prima di questo post) risale al 1904 e propone un'immagine della Chiesa della SS. Trinità così come doveva apparire ai primi del Novecento: il campanile è sprovvisto di orologio (installato solo nel 1933), la piazza ha una pavimentazione molto diversa da quella attuale, in un angolo a destra, accanto a un uomo vestito di scuro, sono ammucchiate delle pietre. Inoltre ci sono alcune galline che razzolano serenamente davanti alla scalinata seicentesca della Chiesa. Un'altra storica cartolina di Scurcola, risale a qualche anno più tardi ed è rappresentata da un cartoncino dalle dimensioni particolari su cui è riprodotta un'immagine che mostra l'antico borgo di Scurcola agli inizi del XX secolo con la Torre dell'Orologio ancora al suo posto. 

Panorama di Scurcola (1914)

Tra le altre vecchie cartoline illustrate di Scurcola ce ne è una che dovrebbe risalire al 1914. Anche in questo caso siamo di fronte a un panorama del nostro borgo, stavolta immortalato però da una prospettiva diversa rispetto alla cartolina precedente: la foto è stata scattata probabilmente dal Colle di S. Antonio. Dalla vecchia immagine si può notare la strada principale sterrata e un paese che non aveva ancora raggiunto l'estensione attuale. A seguire un'altra cartolina che mostra di nuovo la zona di Sant'Antonio. In questo caso si vede la fila di baracche costruite dopo il terremoto del 1915, un paio di somarelli con delle ceste sulla soma e la strada sempre bianca. 

Cartolina con panorama di Scurcola e somarelli

Per finire, una cartolina che dovrebbe risalire ai primi anni Trenta in cui si vede il torrione più grande della nostra Rocca Orsini, quello che è rivolto verso Monte San Nicola. In questo caso sembra che l'immagine sia stata ritoccata con qualche colpo di colore aggiunto a mano, ma è un uso che, ai tempi, era piuttosto comune per abbellire immagini che potevano essere solo in bianco e nero.

Torrione della Rocca Orsini di Scurcola Marsicana

venerdì 24 aprile 2020

Tela di S. Michele Arcangelo, un gioiello d'arte michelangiolesca che pochi conoscono


Probabilmente uno dei difetti peggiori di noi scurcolani è quello di avere scarsa o nessuna considerazione del patrimonio artistico e storico presente nel nostro paese. Un patrimonio che non conosciamo a sufficienza, che trascuriamo senza grandi scrupoli e che corre il rischio di perdersi per sempre. Tra gli oggetti d'arte più preziosi e stranamente meno noti presenti a Scurcola, c'è una splendida tela del '600, dipinta con colori a olio, che raffigura San Michele Arcangelo. Un'opera custodita nella Chiesa di Sant'Antonio da Padova e che, purtroppo, il tempo e la disattenzione di chi ci ha preceduto hanno ridotto in pessimo stato.

Dettaglio: la tensione muscolare del braccio del Santo

Le immagini che corredano questo post dimostrano la grande qualità pittorica dell'opera, una qualità che gli esperti hanno riconosciuto senza grandi difficoltà. Non sappiamo chi sia l'autore della tela ma, in base al parere dei tecnici, l'artista che l'ha realizzata si è chiaramente ispirato alla corrente classicista seicentesca riconoscibile grazie al plasticismo michelangiolesco, alla rappresentazione in scorcio e all'atteggiamento artificioso del Santo. Questo sta a significare che il pittore che ha rappresentato il nostro San Michele Arcangelo nell'atto di uccidere il drago-demonio, si è ispirato alle figure dipinte da Michelangelo, il genio del Rinascimento, colui che ha affrescato la Cappella Sistina, solo per citare uno dei suoi innumerevoli capolavori.

Cappella Sistina, il Cristo del Giudizio Universale

Nello stesso tempo le immagini mostrano nel dettaglio anche il grave stato di degrado in cui versa la tela. È evidente che i colori hanno perduto la loro brillantezza e il loro vigore. I rossi e i verdi che caratterizzano le vesti dell'Arcangelo sono coperti da strati di polvere e non hanno mantenuto quasi nulla della vivacità che dovevano possedere alle origini. Anche la figura del drago-demonio collocata nella parte bassa del dipinto, e schiacciata dal piede calzato del Santo, è ormai quasi irriconoscibile. Appare più che logico che un'opera di tale valenza artistica e storica necessiti di un urgente intervento di restauro.

Dettaglio: il piede del Santo che schiaccia il drago-demonio

Alla pagina 162 del volume "Scurcola Marsicana Monumenta", la dott.ssa Maria Pia Fina così descrive il dipinto di S. Michele Arcangelo: "Il culto per gli angeli è ancora più manifesto nella tela del San Michele Arcangelo che, nonostante il degrado pittorico in cui versa, lascia trasparire una volumetria ben elaborata nella figura, una vigorosa tensione muscolare e una intensità cromatica tale da poterlo datare tra il XVI e XVII secolo e rapportare, per la torsione del corpo, alle figure pittoriche michelangiolesche". Siamo al cospetto, dunque, di un autentico gioiello d'arte. Dovremmo lavorare affinché il suo recupero sia effettuato in tempi ragionevoli: la tela e il supporto originale che la sostiene sono seriamente danneggiati. A noi il compito di tutelare questo bene, a noi il compito di ricondurlo all'antico splendore.

***

Ringrazio di cuore Franco Farina che, con la sua consueta gentilezza, ha messo a mia disposizione le fotografie e altri documenti relativi alla bellissima tela raffigurante S. Michele Arcangelo per il cui restauro si sta spendendo con dedizione ormai da tempo.

martedì 21 aprile 2020

Ingeborg Knauth detta Rosella: la tedesca che aiutò gli scurcolani in tempo di guerra


Quando ricerco e studio la storia di Scurcola, difficilmente mi capita di incontrare figure femminili di cui sia rimasta traccia. Nonostante le donne abbiano spesso sopportato il peso di famiglie numerose e di lavori pesanti, nonostante siano state depositarie di abilità, talenti e maestrie ormai perduti, del loro nome o dei loro volti è rimasto poco o nulla. Una piccola eccezione è rappresentata da Ingeborg Knauth, una giovane tedesca che è arrivata a Scurcola grazie a suo marito Ennio Giuseppe Colucci. Ingeborg era nata nel 1916 a Jena, importante città della Turingia, figlia di un magistrato. Diplomata alla scuola interpreti di Heidelberg, alla fine degli anni Trenta, Inge viene a Roma per perfezionare la conoscenza della lingua italiana. Nel quartiere Monteverde, la giovane tedesca conosce il nostro concittadino "Peppino" Colucci che lavorava presso il Ministero dell'Istruzione. Era il 1938. La storia e la vita, però, li dividono: lui viene mandato il Libia per il servizio militare, lei torna in Germania. Dopo più di un anno, nel dicembre del 1939, Inge e Peppino riescono a sposarsi e lo fanno a Jena, dopo aver ottenuto i documenti che attestano la loro appartenenza alla "razza ariana". Tornano in Italia e vanno a vivere nello stesso quartiere di Roma in cui si erano conosciuti. 

Inge e Peppino il giorno del matrimonio a Jena (Germania 1939)

Nel luglio del 1942 nasce il loro primo figlio ma, come sappiamo, l'Italia e il mondo intero sono già in guerra da almeno un paio di anni. Le condizioni di vita non sono affatto semplici. Ben presto Peppino e Inge sono costretti a sfollare. Decidono di trovare riparo a Scurcola. Vengono ospitati in uno chalet di legno sistemato nel giardino di Palazzo Bontempi, messo a loro disposizione da Cesare Bontempi. Stiamo parlando di una fase in cui a Scurcola, così come in altri paesi, i tedeschi sono soliti requisire tutto quello che ritengono utile per il loro sostentamento. Portano via cibo, animali, attrezzi e oggetti di ogni tipo. La guerra ha ridotto allo stremo le famiglie del nostro paese e si cercava di nascondere ai tedeschi ciò che serviva per non morire di fame. 

Ed è proprio in questo momento che la presenza della "tedesca" diventa preziosa. A Scurcola la chiamano semplicemente Rosella: Peppino preferisce assegnarle un nome che tutti in paese possano capire e pronunciare correttamente. Ingeborg, quindi, diventa Rosella e inizia a fare da "mediatrice" tra gli scurcolani e i soldati stranieri. Viene chiamata ogni qual volta in una casa di Scurcola si presentano i tedeschi. Lei parla la loro lingua, riesce a comunicare con loro e, svolgendo un ruolo estremamente delicato e importante, può fare in modo che i soldati che, come lei, vengono dalla Germania, non sottraggano tutto ciò che possono alle famiglie scurcolane. Il suo aiuto è prezioso in quel periodo. Gli scurcolani non capiscono i tedeschi e i tedeschi non capiscono gli scurcolani. Rosella capisce entrambi e riesce a sistemare le cose senza che né i tedeschi né gli scurcolani perdano il controllo né quel poco che al tempo si poteva avere in casa. 

Ingeborg e Peppino Colucci a Roma

Presto a Ennio Peppino Colucci, come ministeriale, viene chiesto di trasferirsi a Salò, la capitale della Repubblica Sociale voluta da Mussolini dopo l'armistizio. Peppino inizialmente rifiuta e per questo suo diniego viene persino arrestato. Alla fine è costretto a cedere: si trasferisce a Venezia insieme a sua moglie Inge e al loro primogenito. Nel febbraio del 1945 nasce una seconda bambina, Loredana. Pochi mesi più tardi, dopo la Liberazione (25 aprile 1945), Peppino e Ingeborg rientrano a Roma. Ovviamente continueranno a frequentare Scurcola regolarmente e a tornare spesso nel paese in cui Ennio Giuseppe è nato. A Scurcola Rosella è molto amata perché tutti ricordano quel che ha fatto durante la guerra

Ingeborg e Peppino negli anni Cinquanta

Sono riuscita a recuperare e a raccontare la storia di una donna, finalmente! Ho raccontato la storia di Ingeborg che divenne Rosella. La giovane donna che, in un momento difficile della storia di Scurcola, ha offerto il suo aiuto riuscendo a evitare che la situazione, già di per sé piuttosto fragile e complicata, potesse degenerare. Devo ringraziare Loredana Colucci, figlia di Ennio Giuseppe Colucci e di Ingeborg Knauth che, con grande gentilezza e disponibilità, mi ha raccontato la storia dei suoi genitori e ha messo a disposizione le splendide fotografie che corredano questo post. Un ringraziamento va anche ad Aulo Colucci senza il quale non avrei mai saputo che, durante la Seconda Guerra Mondiale, a Scurcola, c'era una giovane tedesca, che tutti chiamavano semplicemente Rosella, che ha aiutato la nostra gente senza chiedere niente in cambio.

giovedì 16 aprile 2020

Soprannomi scurcolani


Mia nonna, Maria Falcone, da cui ho ereditato il nome che porto, veniva chiamata la Peschia. So che lei non amava il soprannome che le veniva affibbiato il quale, probabilmente, derivava dal nome del paese originario di una sua lontana parente: Pescorocchiano. A suo marito Antonio Tortora, mio nonno, era stato assegnato un soprannome legato al suo mestiere (era guardia campestre del Comune di Scurcola) che lo tramutò in 'Ntoniuccio glio Guardiano. I soprannomi sono essenziali nella vita di un paese. Il soprannome racconta una discendenza, un'appartenenza, una linea di sangue, facce e fratellanza. Uno pseudonimo che va oltre l'anagrafica pura, si tratta di un'attribuzione quasi sacra che, a volte, è più diretta e riconoscibile di ogni nome e ogni cognome. A Scurcola di soprannomi ce ne sono stati e ce ne sono ancora molti. In questo post proverò a raccoglierne e a raccontarne una parte perché so già che sarà difficile ricordarli e raccoglierli tutti e di questo mi scuso fin da ora. 

Ci sono soprannomi che denotano un legame con una linea che potemmo definire "femminile". E mi viene da pensare a la Gobbetta, Dèa, la Baròna, la Pùmpia, la Morte Nuacchia, l'Americana, la Celanese, la Ricioiara, la Gnoretta, la Bionda, la Macellara, Purgheria, Moncanella, 'Ntoniazica, Raganella, Cardozza, Carlotta, Martagiuanna, Marietta 'e Rita, Pollastrella, Scoccetta, la Babbuina, la Paterna, la Cioppetta, la Calozza, la Concara, la Cogliara, la Casalante, la Pedina, la Poiara, la Pecorara, la Piocchiara, Palletta, Pallettòna, Taccòna. Oltre a quelli legati semplicemente alla "maternità" o "paternità": de Maria Rosa, de Cecilia, de Figenia (Ifigenia), de Rusciotta, de Nastascía (Anastasia), de Filudeca, de Alvise, de Rasimuccio (Erasmo), d'Omero, de Biaso (Biagio), de Tanazio (Attanasio). Poi ci sono soprannomi che ricordano cariche o titoli di vario genere che potevano essere legati a incarichi realmente assegnati ma anche attribuiti per scherzo. Ricordo, in questo senso, i soprannomi di Ministro, Prefetto, Colonneglio, Avvocato, Avvocateglio, Cardinale, Console, Conte, Contessino, Frate, Capitano, Monsignore. Oltre a quelli legati a personaggi famosi: Cadorna, Scerba (Scelba), Saragat, Krushov e Togliatti. E altri che derivano, semplicemente, dai mestieri esercitati: Scarparo, Sarto, Scopino, Piastraro, Vasaro, Chiovaro, Scardalana, Pignataro, Paratore, Guardia, Tassinaro, Pompiere, Ferraro, Stagnaro


Ogni soprannome ha una sua origine particolare, anche se non sempre è semplice rintracciarla. Qualche soprannome appartiene a generazioni passate ed è persino scomparso, molti altri vengono utilizzati ancora oggi. La nascita di molti soprannomi che esistono a Scurcola non si spiega con precisione, ma ci sono, fanno memoria e mi sembra giusto elencarli (in ordine alfabetico): Abissino, Baffone, Baiocco, Bambineglio, Bandiera, Barattolo, Barattolitto, Bardassarre, Barducco, Bassetto, Bellarobba, Bello Bello, Bello de Roma, Bequà, Biaggetti, Birbetto, Bocchino, Boccio, Borsanera, Bótte, Bozzetto, Broccolo, Burro, Buttiglione, Cacamèle, Cacazzella, Cacciotti, Caciola, Caciolitto, Camarro, Campagnola, Campanelle, Canarino, Capoccio, Capoccio diretto, Cappellitti, Cappottino, Cardellino, Cardicchio, Catorcio, Cauzeglio, Cellitto, Certo, Cervellone, Cettòne, Ciccio, Cignato, Cinciaro, Cioccolattera, Cipollitto, Coaruto, Cocceteglio, Cocciaparchitto, Coccione, Coccò, Conelluzzo, Còppi, Cóppo, Cuccitto, Cuchitto, Dannato, Ersonne, Facocchio, Fedaino, Fiacca, Fischietto, Fofò, Fregnitto, Furbitto, Furrone, Gaggione, Gazzellone, Gesilone, Giacchetti, Giacchino, Gioiello, Giovannone, Girandengo, Girone, Glieglio, Guglielmone, Lancertone, Lasagna, Lazzaritto, Leccone, Lungo, Maccarone, Maglianeglio, Magnapiocchi, Mambrucco, Mammasanta, Mantégli, Mantella, Marcone, Mazzocurto, 'Mbusso, Melone, Menecozza, Micante, Milleccénto, Moghetto, Morcone, Morone, 'Mpiccitto, Mucciaccio, Muritti, Musichetta, Mussitto, Nasone, 'Ndricio, 'Ntrocianese, Occhio, Occhiobbeglio, Ombre, Paglialonga, Pagnótto, Palli d'oro, Pampinuccio, Pàparo, Papitto, Paranza, Patacchino, Pattò, Peatella, Pelleccetta, Peppe Bianco, Peschitto, Petrolio, Pettone, Pezzòla, Pezzuco, Pianino, Piccombusso, Picerchia, Pilata, Pinocchio, Pinto, Pioruscio, Pípia, Pipino, Pippo Cola, Pisciotto, Pistola, Placiduccio, Poeta, Pormone, Pretigno, Provinciale, Pulenna, Rapozzone, Ribello, Ricioiaro, Rufione, Rusci, Ruscio, Rusciotto, Saccoccione, Saraco, Sarchione, Scialornio, Sciascione, Scimmiotto, Scioccante, Scoccimarra, Senairre, Sesella, Sigaretta, Signorino, Sorluco, Spaccamontagna, Staiucco,  Staría, Taccone, Tasciola, Tassino, Tavolone, Tranquillo, Trippetta, Tunno, Valdivarra, Valleteglio, Veloce, Ventresca, Verbo, Vergolone, Zucchetta

Consapevole di non aver individuato la totalità dei soprannomi scurcolani, vado ad elencare alcuni di quelli nati e utilizzati in tempi più recenti: AbbottatoneBabbione, Babbo Natale, Betulla, Bin, Bla bla, Bobby, Carozzo, Cecoria, Cénto, Codino, Cullega, Fargiolo, Fefè, Fernet, Filo Sgangano, Ics, Glio Lupo, Glio Ruscio, Jack, Jean Michel, Limone, Mille facce, Nick, 'Ntaccarella, Offi, Otto, Paperino, Parola, Picchete Pacchete, Picchitto, Pippilò, Piripacco, Scattone, Scellino, Schedina, Scrocchiazippi, Scucchia, Sniek, Spadino, Susino, Tatone, Ventotto

Alla fine, con l'aiuto di diversi scurcolani, che ringrazio, sono riuscita a raccogliere qui più di 200 soprannomi. Dietro ognuno di essi c'è una storia, uno scherzo, un difetto, un vizio, una professione, un episodio di vita vissuta. I soprannomi nascono in mille modi diversi e, come detto, qualcuno è destinato all'estinzione, molti continueranno a perpetuarsi nel tempo e altri ancora ne saranno coniati. Fino a quando ci sarà chi continuerà a utilizzarli, a pronunciarli, a raccoglierli e a non dimenticarli.

lunedì 13 aprile 2020

Giovan Cesare Bontempi, l'amico di Marcantonio Colonna sepolto a Sant'Antonio


"Quel celebre avvocato D. Gio. Cesare Bontempi tanto amico di Marco Antonio Colonna, e marito della nobile Dama Romana D. Orazia Salamonia, che ritornato da Roma nella patria per villeggiare, al primo di Ottobre dell'anno 1584 rese ivi a Dio l'ultimo spirito, e fu sepolto nella Chiesa di S. Antonio dove figli afflittissimi gli fecero quella lapide riportata dal Corsignani". Sono parole scritte dal canonico e teologo don Andrea Di Pietro nel suo libro "Agglomerazioni delle popolazioni attuali della Diocesi dei Marsi", in riferimento a Giovan Cesare Bontempi, vissuto durante il XVI secolo, colui che possiamo considerare il primo rappresentante della famiglia Bontempi presente a Scurcola

Seguendo l'indicazione di don Andrea Di Pietro, ho recuperato il testo del Corsignani il quale scrive di Giovan Cesare Bontempi in due diverse occasioni. Si trovano riferimenti a G.C. Bontempi sia in "De Viri Illustribus Marsorum" del 1712, sia in "Reggia Marsicana" del 1738. In quest'ultimo testo, Pietro Antonio Corsignani così descrive Giovan Cesare Bontempi: "Gio. Cesare Buontempi della Scurcola, fu celebratissimo G.C. e Curiale in Roma, famigliare de' Duchi Ascolani e Colonnesi. Si apparentò egli con Orazia Salamonia Nobile Romana, e poi ritiratosi in Patria, quivi morì, colla Sepoltura nella Chiesa di S. Antonio della detta Terra con lunga Iscrizione, che ivi si può leggere da' curiosi". La lunga iscrizione che i curiosi possono leggere è riportata da Corsignani anche nel citato testo "De Viri Illustribus Marsorum" del 1712

Lapide funeraria di G.C. Bontempi nella Chiesa di S. Antonio

Il problema è che esiste una certa differenza tra le parole scritte sulla lapide di marmo che si trova a Scurcola, sotto al ritratto di Giovan Cesare Bontempi, e quelle riportate da Corsignani nel suo libro. Per risolvere la questione ho chiesto l'aiuto e il supporto di una professionista. Ho chiamato in soccorso la professoressa Laura Saladino, docente di Lettere, storica esperta e attuale Presidente dell'Archeoclub Marsica. Una persona preparata, competente e molto gentile. La prof.ssa Saladino ha provveduto a trascrivere il testo della lapide, ha sciolto le abbreviazioni e ha messo a punto la seguente traduzione

A DIO OTTIMO E MASSIMO 

A GIOVANNI CESARE BONTEMPO, DOTTORE IN ENTRAMBI I DIRITTI [CIVILE E CANONICO], FIGLIO DI GIOVANNI BATTISTA, AMICO DEI NOBILI CONDOTTIERI ASCANIO E MARCO ANTONIO COLONNA, SOSTENITORE VALENTISSIMO DELLE LORO IMPRESE COSTUI, SE DIO VUOLE, ALLIETATO DALLA SOAVITA' DELL'AMORE PER LA PATRIA, TORNO' IN PATRIA, MORENDO IN PATRIA ORDINO' CHE LE SUE OSSA FOSSERO RIPOSTE IN QUESTA TOMBA NON SENZA IL DOLORE DELLA CITTADINANZA E IL DISPIACERE PRECISAMENTE DI TANTI SUOI AMATISSIMI DISCEPOLI E DI TUTTA LA CURIA ROMANA PERCHE' NON FU POSSIBILE ABBELLIRE IL SEPOLCRO. 

GIOVANNI BATTISTA, FEDERICO E MARCELLO, I FIGLI ADDOLORATISSIMI, LO DEPOSERO NON SENZA LACRIME. VISSE 64 ANNI, MORI' IL 14 OTTOBRE DELL'ANNO 1584. DOTO' QUESTA CAPPELLA DEDICATA ALLA SS.MA TRINITA' CON L'IMPEGNO CHE I FRATI FOSSERO TENUTI A CELEBRARE OGNI ANNO L'ANNIVERSARIO IL 7 DI MAGGIO E DUE MESSE IN QUALSIASI SETTIMANA PER LE ANIME DEI DEFUNTI DELLA FAMIGLIA DAI TEMPI ANTICHI E DI ORAZIA SALAMONIA, NOBILE ROMANA, MOGLIE DEL SUDDETTO GIOVAN CESARE, LA CUI ANIMA RIPOSI IN PACE. 

Il testo riportato da Corsignani in De Viri Illustribus Marsorum

Laura Saladino mi ha spiegato che dallo stile "scolastico" della lingua latina utilizzata nell'iscrizione sul marmo, si deduce, con discreta certezza, che essa risalga al periodo rinascimentale, proprio il periodo in cui G.C. Bontempi morì. Si ricava, quindi, che la lapide dedicata a Giovan Cesare Bontempi sia quella originale. L'ipotesi che, durante le fasi del secondo rifacimento della Chiesa di Sant'Antonio, avvenuto nel 1728/1730, ci sia stata, per qualsiasi ragione, la sostituzione di una presunta precedente lapide diventa poco plausibile così come diventa poco plausibile l'idea che Corsignani, prima del 1712, abbia letto e trascritto il testo di una lapide diversa da quella che tuttora possiamo vedere nella Chiesa del Santo di Padova. 

A questo punto, grazie alle indicazioni della professoressa Saladino, si può immaginare che Corsignani non abbia mai visto né trascritto personalmente il testo della lapide e ciò spiega anche la parziale incoerenza tra il testo che egli riporta nel suo "De Viri Illustribus Marsorum" e il testo originale scritto sul marmo in memoria di G.C. Bontempi. E, probabilmente, è anche per questo motivo che Corsignani ha involontariamente, o solo negligentemente, tramutato la parola "Ascanii" in "Ascolanii" dando vita a un equivoco che, spesso, ancora oggi sopravvive. I Bontempi, da quanto possiamo sapere, non ebbero alcuna familiarità coi Duchi Ascolani a cui Corsignani, invece, fa riferimento. Inoltre è evidente che anche Di Pietro abbia commesso un errore: G.C. Bontempi morì il 14 ottobre e non il 1° ottobre.

Interno Chiesa S. Antonio di Scurcola (foto A. Petrini)

Dissipati diversi dubbi in merito all'iscrizione, possiamo passare ad altri elementi. Prima di tutto vale la pena accennare al fatto che Giovan Cesare è forse l'unico rappresentante della famiglia Bontempi vissuto in quel periodo di cui si sia conservato un ritratto. In secondo luogo, è opportuno rilevare che quando le sue ossa vennero tumulate nella Chiesa di Sant'Antonio, nel 1584, l'edificio sacro aveva una struttura molto diversa: era più grande, possedeva più cappelle e aveva uno stile architettonico differente da quello attuale. Oggi il ritratto e la lapide di G.C. Bontempi sono collocati su una sorta di nicchia posta in alto, sul lato destro della navata della Chiesa, ma un tempo dovevano trovarsi in un'altra posizione, probabilmente all'interno della Cappella della SS.ma Trinità, voluta dalla stessa famiglia Bontempi, e citata come "QUESTA CAPPELLA" anche nel testo della lapide.


Bibliografia

- CORSIGNANI, P.A., De Viris illustribus Marsorum, 1712, pp. 283, 284.
- Id., Reggia Marsicana, Napoli, Parrino, 1738.
- DI PIETRO, A., Agglomerazioni delle popolazioni attuali della Diocesi dei Marsi, Pescina, 1869, p. 210.

giovedì 9 aprile 2020

Una Pasqua diversa


La foto che ho scelto per aprire questo post risale, presumibilmente, ai primi anni '40. Immortala il rientro in Chiesa della processione del Venerdì Santo a Scurcola Marsicana. Il dettaglio che colpisce è, senza dubbio, la grande quantità di persone che partecipano a un rito vecchio di secoli. Gli uomini con la veste della propria confraternita, il predicatore che rivolge la sua parola al popolo dei fedeli, il corpo di Gesù morto sormontato dal baldacchino, la Madonna Addolorata sulla sinistra e San Giovanni sulla destra. Tradizioni che si ripetono ogni anno, sempre uguali, sempre le stesse. È questa la forza rassicurante di un rito, il ripetersi identico di una cerimonia che tutti conoscono, a cui tutti partecipano, in cui tutti si sentono protagonisti necessari. 

Il Venerdì Santo a Scurcola è questo. Oltre allo storico replicarsi dell'Ultima Cena di Cristo che si celebra nei Cenacoli. Uno per ognuna della quattro Confraternite. Un pasto che, alle origini, era destinato ai mendicanti, ai pellegrini, ai viandanti. Oggi è per lo più un momento in cui i confratelli si riuniscono, si riconoscono, si ritrovano e in cui condividono un momento di convivialità e fratellanza. Precetti precisi scandiscono la vita delle Confraternite nel corso della Settimana Santa, consuetudini che reiterano gesti, parole, cerimonie e preghiere tramandate di generazione in generazione. Il cibo dispensato è quello di una mensa povera, è cibo fatto di legumi, pesce, pane: simboli antichi della tradizione cristiana. 

Stavolta, però, un virus che viene da lontano ha imposto il distanziamento, la chiusura, il silenzio. Nell'anno 2020, forse per la prima volta nella Storia, a Scurcola Marsicana, non ci sarà niente di ciò che la vecchia foto racconta. Le Confraternite sono ferme. Le cerimonie religiose sono annullate. La Pasqua arriverà senza essere arrivata davvero. Un fenomeno di gravi crisi sanitaria ha cancellato ogni evento. Vale per tutti in tutto il mondo. Per molti scurcolani, però, pesa un po' di più. Per chi ha sempre preso parte a ogni momento liturgico pasquale, la pandemia è un trauma ancora più profondo. Quest'anno è così, non c'è altro da fare. Si deve sopportare e accettare col sostegno della ragionevolezza. 

Vale forse la pena pensare alla Pasqua nuova, quella del 2021. Perché sarà la Pasqua del ritorno, di una ritrovata umanità, di una forza diversa. Serve tempo e serve pazienza, ma arriverà. Ritroveremo gli uomini con le vesti bianche, rosse e nere, i loro antichi canti in latino, la lavanda dei piedi, la visita alle Sette Chiese di Scurcola, la zuppa di ceci e il baccalà coi broccoli. Ritroveremo facce che non vediamo da tempo e gli abbracci di amici che tornano per l'occasione. La festa per la Resurrezione di Cristo sarà più sentita, più viva e più luminosa di sempre perché ci accorgeremo che ci sarà mancata più di quanto avremmo immaginato. E tutti ricorderanno quando, nel 2020, un virus assassino ha tolto la possibilità di stare insieme e condividere ciò che vale la pena condividere sempre. 

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A tutti i lettori auguro Buona Pasqua. Col cuore.

lunedì 6 aprile 2020

Perché su diversi portoni di Scurcola si trova il trigramma IHS?


Una passeggiata per il borgo di Scurcola Marsicana è sempre un'esperienza che mi sento di suggerire a chiunque. È anche consigliabile camminare tra le stradine del paese vecchio con la lentezza necessaria, prendendosi tutto il tempo per osservare con attenzione particolari che, spesso per troppa fretta o sbadataggine, possono sfuggire anche a chi a Scurcola è nato o vive da sempre. Può essere di certo interessante rilevare, su diversi portoni del centro storico, la presenza di simboli sacri di varia natura. Attraverso questo scritto, vorrei soffermarmi, in particolare, sul trigramma o cristogramma IHS o JHS che a Scurcola è davvero piuttosto facile rintracciare: lungo Corso Vittorio Emanuele III (foto sopra), in Via Diaz, in Via delle Grazie, in Via dello Statuto, in Via Dalmazia e non solo. Iscrizioni spesso logorate dal tempo e dagli agenti atmosferici ma che possiedono un significato e una storia molto speciali. 

Trigramma IHS presente in Via Diaz

Come molti sanno, e come ho già scritto in precedenza, il trigramma formato dalle lettere IHS o JHS ha un'origine antichissima che si può far risalire al II o III secolo dopo Cristo. Nasce dall'abitudine dei copisti dei manoscritti greci dell'Antico e Nuovo Testamento di abbreviare il nome di Gesù Cristo utilizzando le prime tre lettere ΙΗΣ (dal nome completo ΙΗΣΟΥΣ). La lettera greca Σ (sigma) nell'alfabeto latino è scritta S, per questa ragione il trigramma è arrivato a diventare ΙΗS. La presenza delle lettere IHS per lo più sulle chiavi di volta dei portali scurcolani, però, è collegabile alla figura di San Bernardino da Siena che faceva spesso ricorso a questo trigramma, raffigurato su una tavoletta di legno che faceva baciare ai suoi fedeli, nel corso delle sue famose e amate prediche. 

Simbolo del sole raggiante in Via delle Grazie (foto F. Cicchetti)

È ormai noto un po' a tutti gli scurcolani, e non solo, che San Bernardino da Siena si fermò a Scurcola per un paio di settimane nel corso del suo viaggio verso la città de L'Aquila nell'anno 1438. La sua presenza nel nostro paese è stata celebrata anche con la fondazione della Confraternita di San Bernardino, nata nel 1455, pochi anni dopo la morte e la canonizzazione del Santo. Era San Bernardino in persona, nel corso delle prediche agli innumerevoli fedeli che venivano ad ascoltarlo, che si raccomandava di porre il simbolo IHS sulla porta della propria casa in segno di devozione a Cristo

Altro trigramma IHS presente a Scurcola

Spesso il cristogramma IHS è posto al centro di un sole raggiante o sormontato da una croce. Tali dettagli sono da ricondurre sempre agli insegnamenti di San Bernardino da Siena perché fu proprio lui a raffigurare IHS o JHS, inteso nel senso di Jesus Hominum Salvator: Gesù Salvatore degli uomini, all'interno di un sole formato da dodici raggi che sono in relazione con il nome stesso di Cristo: I Rifugio dei peccatori, II Vessillo dei combattenti, III Medicina degli infermi, IV Sollievo dei sofferenti, V Onore dei credenti, VI Splendore degli evangelizzanti, VII Mercede degli operanti, VIII Soccorso dei deboli, IX Sospiro di quelli che meditano, X Aiuto dei supplicanti, XI Debolezza di chi contempla, XII Gloria dei trionfanti. 

Il trigramma rovesciato di Via dello Statuto

Tra i vari portoni del borgo di Scurcola con l'iscrizione IHS, mi ha colpito e mi ha sorpreso quello presente in Via dello Statuto, vicino all'Arco di Scoccetta. Su un bel portone di un colore verde brillante, si trova il trigramma scritto a rovescio. Come si può notare dalla foto che pubblico, sulla chiave di volta, sono incise le tre lettere in ordine inverso: SHI. Una piccola anomalia che non ho riscontrato in nessun altro luogo. Forse lo scalpellino che ha realizzato il lavoro non era in grado di leggere e di scrivere? Forse al proprietario della casa piaceva così? Un dettaglio curioso ma sicuramente interessante.

venerdì 3 aprile 2020

Funaro, bastaro, facocchio, caldararo e scardassiere: i mestieri degli scurcolani di una volta


Nel centro storico di Scurcola esiste una bella stradina fatta di scalini che parte da Corso Vittorio Emanuele, nella zona di Sant'Egidio, e porta fino a "Jo Pretone" (Via XI Febbraio). Si chiama "Via dei Funari" (foto sopra). Un nome che dovrebbe derivare da un mestiere antico, quello dei funari: il mestiere di chi realizzava le corde. Un lavoro che consisteva nell'intrecciare saldamente i fili della canapa attraverso tecniche particolari e precise così da consentire la realizzazione di solide e sicure funi da utilizzare per varie finalità. Evidentemente, in quella zona di Scurcola, dovevano esserci persone che svolgevano questo mestiere. Dagli elenchi degli scurcolani vissuti durante l'800 ho potuto rilevare che a Scurcola c'erano almeno due fabbricatori di funi, al tempo: Giovanloreto Censi e Giovanni Censi

Come si usava il basto o "masto"

Quello dell'imbastaro o bastaro era un mestiere che, spulciano negli elenchi redatti da Enzo Colucci, a Scurcola un tempo svolgevano Silverio Falcone, Basile Falcone e Franco Silvestri. L'imbastaro o bastaro è colui che produce i basti o, come diciamo in dialetto scurcolano i "masti", da cui anche il mestiere di "mastaro". Il basto è una rudimentale sella di legno, fornita di una rozza imbottitura, che veniva appoggiata sul dorso di animali da soma, soprattutto muli e somari, per trasportare carichi di varia natura, assicurati con delle funi che passavano attraverso anelli collocati al lato degli arcioni. Con il basto, spesso, si riusciva a cavalcare anche l'animale. 

Un carretto in Piazza Vetoli a Scurcola nel primo '900

Giovanbattista Falcone, invece, faceva il facocchio. Un termine che sta a indicare chi sapeva lavorare sia il legno che il metallo e si occupava di costruire o riparare i carretti. Il mestiere di facocchio è forse uno dei più antichi e affascinanti perché chi lo praticava doveva dimostrare di essere, allo stesso tempo, un bravo falegname ma anche un ottimo fabbro. C'era poi un certo Francesco Letizia che faceva il caldararo o lo stagnaro, questo vuol dire che era abile nella riparazione delle pentole o dei "cotturi" (paioli) che un tempo erano presenti in ogni cucina e in ogni casa del paese. 

Cotturo o Paiolo

C'era poi anche chi si occupava di cardare la lana e, dai documenti rinvenuti, questo mestiere era esercitato da Achille Garzia, nato nel 1825. Ma gli antichi mestieri svolti dagli scurcolani intorno a 150/200 anni fa erano vari. Oltre ai soliti contadini, braccianti e pastori di pecore, a Scurcola c'erano schiere di calzolai, c'erano diversi barbieri (Vincenzo Campili, Angelo Carusotti, Carlo Paluzzi, Giovanfrancesco Trombetta e Matteo Trombetta), c'erano dei "caffettieri" (Vincenzo Di Gasbarro e Luca Mastrocesare), abbiamo avuto dei cocchieri (Giuseppe Cerrone, Francesco D'Alessandro e Francesco Giusti), un paio di domestici (Emanuele D'Angelo e Giovanni Giuliocesare). Ci sono stati due farmacisti (Domenico Rosa e Pietro Fallocco), un ebanista (Domenico Borgonzoni), un orefice (Giuseppe Barnaba), un ricamatore (Angelantonio D'Amici) e persino un pitocchiante, ossia un mendicante (Berardo D'Imperio). C'erano ferrai, falegnami, macellai, sarti e alcuni medici. Abbiamo avuto importanti sequele di sacerdoti, canonici e frati, oltre a una lunga serie di possidenti che vengono definiti ufficialmente e semplicemente "proprietari", appartenenti alle famiglie più facoltose dell'epoca: Bontempi, Ottaviani, D'Amore, Liberati, Pompei, Vetoli, Orlandi, Marimpietri

Ciò che manca, in questi elenchi, è l'indicazione di cosa facessero le donne di Scurcola durante il XIX secolo. Di loro ci si sforza di dire, al massimo, che fossero tessitrici o filatrici. Qualcuna è diventata suora. Ma niente di più.

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Siamo nella Venezia del Seicento, la città più cosmopolita della penisola. Giovanni Francesco Loredan ha solo 27 anni quando, da giovane no...