lunedì 30 agosto 2021

Chi conosce lo sciabbaco?


Sciabbaco: non avevo mai sentito questa parola del dialetto scurcolano prima di qualche giorno fa. Si pronuncia sciàbbaco, con l'accento sulla prima "a". Ad insegnarmi il significato di sciabbaco è stato Impero Rossi che, in questo modo, ha arricchito il mio patrimonio di conoscenze scurcolane che, come sempre, mi piace condividere su "Scurcola Marsicana Blog". La versione in lingua italiana di sciabbaco è sciabica (o sciabeca), un termine che deriva dal termine spagnolo jábega, a sua volta derivato dall'arabo ispanico šábk che a sua volta proviene dalla lingua araba classica šabakah. La sciabica consiste in un'antica tipologia di rete da pesca a strascico. Lo sciabbaco o sciabica si usa solitamente in fondali bassi per pescare piccoli pesci e funziona in maniera del tutto manuale.

Impero Rossi mi mostra il suo vecchio sciabbaco

Oltre a spiegarmi cosa fosse "glio sciabbaco", Impero mi ha permesso di vederne uno. Il suo sciabbaco, quello che usava da ragazzino, negli anni Cinquanta. Stiamo parlando di un attrezzo che a Scurcola, negli scorsi decenni, veniva adoperato da diverse persone per pescare e, come mi ha spiegato Impero, si trattava di una pratica abbastanza diffusa tra gli scurcolani perché consentiva di poter mettere a tavola, di tanto in tanto, un po' di pesce. Si parla di periodi in cui non esistevano le pescherie, non c'erano i surgelati e l'unica persona che, di tanto in tanto, passava a Scurcola a vendere qualche pescetto era Giovannina che veniva da Capistrello.

Il fiume Imele oggi dal ponte dei "Colli"

Impero, come Gastone (il macellaio) o Giovanni Rossi (detto Rufione) o tanti altri ancora, era solito usare lo sciabbaco lungo il nostro "canale", ossia il fiume Imele. L'utilizzo dello sciabbaco, come detto, avviene in maniera totalmente manuale. Serviva immergersi al centro del fiume e sorreggere i sostegni circolari di legno leggero che circondano la parte alta della rete, immersa controcorrente e posizionata verso i margini del fiume. Solitamente con i piedi sottacqua si tentava di spaventare i pesci e di indirizzarli verso lo sciabbaco. Cosa si pescava nell'Imele? In genere piccoli pesci: barbi, cavedani, spinarelli e, come racconta Impero, tantissimi gamberi di fiume e molte rane. Qualche volta capitava anche di pescare piccoli serpenti d'acqua dolce o qualche sorcetto. Tra i materiali del fondale, invece, scavando con le mani, si potevano raccogliere quelle che a Scurcola chiamano "cucchie" ossia cozze d'acqua dolce.

Il fiume Imele oggi da "Ponte Giacchino"

In tanti riportavano a casa, dalle mogli o dalle madri, quei piccoli pesci o i gamberi o le rane pescati nel fiume, che poi venivano fritti o cucinati in tegame o sotto "glio coppo". Le "cucchie", mi è stato spiegato da Impero e da Zeno (Nazzareno Falcone), non venivano mangiate quasi mai. Solitamente venivano vendute o cedute a chi veniva da fuori a cercarle. Qualcuno, come Rufione, era solito vendere il suo pescato (rane comprese) ai compaesani, passando casa per casa. Non mi sembra che oggi, a Scurcola, qualcuno osi ancora pescare lungo il fiume. Tra l'altro esistono normative ben precise che regolamentano la pesca d'acqua dolce, prescrivendo permessi e limiti, ma, in generale, temo che le acque dell'Imele non siano più nelle condizioni di poter consentire una pesca con lo sciabbaco, come avveniva un tempo.

mercoledì 25 agosto 2021

Tre stelle e un compasso: lo stemma sulla volta della Chiesa della SS. Trinità


Qualche tempo fa, insieme al professor Cesare Lucarini, sono entrata nella Chiesa della SS. Trinità, a Scurcola. Dopo aver visitato alcune Cappelle della Chiesa, parlato di affreschi e rilevato la particolarità materica di altari e balaustre, il prof. Lucarini si è soffermato sulla singolare presenza di uno stemma che racchiude tre stelle poste in verticale su sfondo azzurro e un compasso con le punte aperte rivolte verso il basso. Sto parlando di un emblema che si trova sulla volta della navata centrale della nostra Chiesa, poco prima dell'abside, circondato da geometrie di fiori e di altre decorazioni dorate. Saranno molti gli scurcolani, e non solo, che, proprio come me e Cesare, avranno notato l'originalità della rappresentazione: tre stelle e un compasso. Che senso hanno? Perché sono all'interno della Chiesa della SS. Trinità?

Stemma con tre stelle e un compasso

Nell'immediato, con un mezzo sorriso, ho detto a Cesare che forse poteva trattarsi di un simbolo massonico. Come molti sanno, infatti, tra gli emblemi tradizionali della massoneria, detta anche "Libera Muratura", vi è proprio il compasso (spesso accompagnato alla squadra) che, non solo è uno strumento necessario a chi disegna, progetta e quindi costruisce opere edili, ma è anche la rappresentazione simbolica che invita i massoni ad avere sempre una condotta adeguata. Sollecitata dalla curiosità mia e del prof. Lucarini, ho cercato di capire cosa significhi lo stemma che, tra l'altro, è accompagnato da un motto latino che recita "OMNIA CUM MENSURA" ossia, letteralmente, "TUTTO CON MISURA".

Stemma personale di Monsignor Valeriano Sebastiani

Dalle mie ricerche ho potuto rilevare che la massoneria non dovrebbe avere nulla a che vedere con il misterioso emblema. Esso, in realtà, è lo stemma personale di Monsignor Valeriano Sebastiani. Stiamo parlando di un prestigioso e munifico prelato che ebbe con Scurcola importanti legami tanto che lo stesso don Carlo Grassi, in un suo scritto [1], lo definì "benemerito delle Chiese di Scurcola". A Mons. Sebastiani, vissuto tra la seconda parte dell'Ottocento e la prima del Novecento, si deve, tra l'altro, la fondazione, nell'Anno Santo 1900, di un altare dedicato a Santa Maria della Vittoria presso la Chiesa di Sant'Eusebio all'Esquilino a Roma, dove conto di andare appena possibile.

Ritratto di Mons. Valeriano Sebastiani [2]

La mia ipotesi (quindi soggetta a smentita) a proposito della presenza dello stemma di Mons. Sebastiani sulla volta della Chiesa della SS. Trinità di Scurcola è la seguente: quando, nel 1903, l'abate Vincenzo De Giorgio commissionò i lavori di rifacimento della volta della Chiesa della SS. Trinità al pittore romano Giustiniani, Monsignor Valeriano Sebastiani, sempre molto generosamente, offrì il proprio supporto economico all'impresa artistica. Non è escluso che, per rendergli omaggio e lasciare un segno di riconoscimento perenne alla figura di Sebastiani, si decise di inserire il suo stemma al centro della volta, in una posizione privilegiata e ben visibile a tutti.

Simbolo e nome di Mons. Sebastiani
Chiesa di S. Eusebio all'Esquilino - Roma

Sul fatto che l'emblema presente nella Chiesa di Scurcola Marsicana sia esattamente quello di Mons. Sebastiani non ci sono dubbi. Ho rintracciato il simbolo delle tre stelle e del compasso in vari documenti che riguardano l'alto prelato. Lo stesso stemma che si trova a Scurcola è presente anche accanto all'altare della Madonna della Vittoria nella Chiesa romana di S. Eusebio all'Esquilino che riporta anche il suo nome. Monsignor Valeriano Sebastiani ha rivestito cariche di rilievo, nel corso della sua carriera ecclesiastica. Tra le tante: è stato prelato domestico di sua santità papa Leone XIII, canonico dell'Arcibasilica Lateranense, commendatore del Sovrano Ordine di Malta e di Francesco Giuseppe II d'Austria, primicerio dell'arciconfraternita di S. Eligio de' Ferrari in Roma, presidente della Pontificia Accademia Tiberina e altre ancora.


Note:
[1] Carlo Grassi, "S.M. della Vittoria nel II° Centenario dell’incoronazione", Scurcola Marsicana, 1957.
[2] Giuseppe Cascioli, "Memorie storico-critiche del Santuario di Nostra Signora di Mentorella nella diocesi di Tivoli", Casa Ed. Cattolica "La Vera Roma", Roma, 1901.

venerdì 20 agosto 2021

Abbiamo pulito la tomba del maestro Vincenzo De Giorgio


Il 30 ottobre del 2019 avevo pubblicato un post col quale denunciavo lo stato di incuria in cui versava la tomba del maestro Vincenzo De Giorgio, al quale, va ricordato, è intitolato il Parco Verde di Scurcola e la nostra Schola Cantorum. L'artista scurcolano, maestro di canto e di musica, oltre che compositore e musicista di talento, è morto il 15 dicembre del 1948, all'età di 84 anni, ed è stato tumulato nel cimitero di Scurcola. Lì dove è sempre stato e dove si trova anche oggi. I discendenti del maestro De Giorgio vivono altrove da tanto tempo e non hanno più modo di custodire la tomba del loro avo.

La lapide di De Giorgio prima e dopo la pulizia

Alcuni mesi fa sono riuscita a entrare in contatto con la professoressa Annarita Puglielli, nipote di Vincenzo De Giorgio: è la figlia di Lea De Giorgio, ultima dei tre figli del maestro e di sua moglie, Agnese Bontempi (gli altri due erano Beatrice -detta Bice- e Mario). Ho chiesto ad Annarita Puglielli, attraverso una e-mail, se fosse possibile occuparmi della tomba del maestro di cui, come detto, nessuno ha più potuto prendersi cura. La professoressa ha accettato la mia offerta scrivendomi: "se lei potrà fare l'intervento di ripulitura sui loculi dei nonni sia io che i miei fratelli le saremo davvero grati".

Lavoro di pulizia dei due loculi

Dal consenso ricevuto dalla Puglielli a oggi, tra restrizioni Covid e altri problemi, sono trascorsi diversi mesi, purtroppo, ma la mattina del 18 agosto 2021, ho provveduto a mantenere l'impegno preso. Insieme a mio padre, Enzo Tortora, al mattino presto, siamo andati nel nostro cimitero armati di detergenti, stracci, spugne e altri arnesi. I loculi del maestro De Giorgio e di sua moglie Agnese Bontempi non erano in buone condizioni. Abbiamo rimosso i fiori ormai sgretolati dal tempo, abbiamo ripulito la lapide e, soprattutto, abbiamo fatto una grande fatica a sbloccare i vetri che, come si usava un tempo, venivano posti a protezione della tomba.

Mappa del cimitero di Scurcola e indicazione delle tombe

Con un po' di pazienza e un po' di forza, mio padre è riuscito a ripulire le guide lungo le quali i vetri scorrono, intasate da anni di polvere e altri residui e, piano piano, siamo riusciti a pulire i due loculi. Abbiamo lavato e sfregato i due vasi di marmo e li abbiamo rimessi a posto, abbiamo cercato di restituire un po' di decoro ai loculi sistemando anche dei fiori nuovi. Il maestro De Giorgio e sua moglie Agnese, adesso, hanno una tomba pulita e in ordine, finalmente dignitosa. Cercherò di mantenere le due lapidi in queste condizioni per i tempi a venire e invito gli scurcolani che si recassero al cimitero per visitare i loro defunti, a soffermarsi un istante davanti alla lapide di Vincenzo De Giorgio per evitare che il maestro venga dimenticato: non lo merita.

***

Ringrazio mio padre Enzo Tortora che, anche questa volta, ha assecondato un mio "desiderio" senza esitazione. Da sola, sicuramente, non sarei stata in grado di compiere questa piccola, ma per me grande, "impresa".

lunedì 16 agosto 2021

Tesoro di Scurcola: ostensorio d'argento con angelo (fine Settecento)


Nel corredo liturgico delle chiese cattoliche vi è sempre un oggetto sacro di grande rilevanza denominato ostensorio. Si tratta, come molti sanno, di un supporto, spesso di preziosa fattura, utilizzato per esporre l'ostia consacrata all'adorazione dei fedeli. L'impiego dell'ostensorio ha iniziato a diffondersi intorno alla metà del Duecento, in corrispondenza della formulazione della dottrina della transustanziazione ossia la conversione della sostanza del pane nella sostanza del corpo di Cristo e della sostanza del vino nella sostanza del sangue di Cristo. Tra le forme più diffuse e amate, vi è quella dell'ostensorio a raggiera.

Vetrinetta a raggiera con raggio mancante

Anche il bellissimo e antico ostensorio d'argento incluso nel "Tesoro di Scurcola" è caratterizzato da una vetrinetta a raggiera all'interno della quale, per l'appunto, viene custodita e mostrata l'ostia consacrata che, come detto, per transustanziazione, diviene corpo e sangue di Cristo. Osservando attentamente la posizione e il numero dei raggi presenti, si può notare che, sul lato sinistro, uno di essi deve essersi spezzato e perso. Secondo quanto è stato stabilito dagli esperti, la realizzazione del nostro ostensorio può essere fatta risalire alla fine del Settecento. Dal punto di vista esecutivo, la sua base è caratterizzata dalla presenza di coppie di testine di cherubini. Sopra di esse è collocata una piccola figura d'angelo a tutto tondo che sostiene una cornucopia dalla quale affiora un cuore fiammeggiante.

Figura di angelo con cornucopia

La teca circolare, all'interno della quale viene custodita l'ostia, è circondata da gemme di colore bianco e verde. Le stesse pietre valorizzano anche la croce apicale. La lunetta interna alla teca, probabilmente per via di un furto, è andata perduta. Infine, nel testo intitolato "Architettura e arte nella Marsica. 1984-1987. II Arte" [1] si spiega che "questo tipo di ostensorio, di chiara matrice napoletana, ebbe larghissima diffusione nel XVIII secolo e nei primissimi decenni del secolo successivo, epoca a cui va ricondotto questo esemplare di Scurcola, così come l'altro un tempo conservato a Magliano dei Marsi, che presentava la variante di una coppia angelica poggiante su un globo al posto della singola figurina alata di Scurcola".


Note
[1] "Architettura e arte nella Marsica. 1984-1987. II Arte" a cura della Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici per l'Abruzzo, Japadre Editore, L'Aquila-Roma 1987.

martedì 10 agosto 2021

I resti dei proiettili conficcati tra le pietre della Chiesa


Non è facile vederli. E, in effetti, bisogna sapere che le piccole tracce metalliche dalla forma irregolare, ormai rovinate dalla ruggine, conficcate tra i blocchi di pietra, sono, in realtà, resti di proiettili. Se sono riuscita a notare la presenza di tali minuscoli oggetti, e ne sto scrivendo, è merito di Impero Rossi che, durante uno dei nostri incontri, ha avuto la bella idea di raccontarmi alcuni episodi della sua infanzia e della sua giovinezza. In fondo, per lui e per gli altri ragazzini di Scurcola, negli anni del secondo dopoguerra, si trattava solo di un gioco. Un gioco piuttosto pericoloso, va detto.

Resto di un proiettile sulla scala della Concezione

Dopo l'8 settembre del 1943, a Scurcola, così come in molti altri luoghi d'Italia, si stabilirono i militari tedeschi. La convivenza con soldati e ufficiali nazisti non fu semplice. Tra i vari episodi riconducibili a quella fase storica, vi fu anche il bombardamento, da parte degli aerei alleati, di un treno militare che si trovava nei pressi della stazione ferroviaria di Scurcola. Si trattava di un convoglio che trasportava munizioni. L'esplosione fu impressionante e molto di quel materiale bellico si disperse nelle campagne attorno alla stazione. Non mancarono, come forse qualche persona più matura ricorda, incidenti legati proprio al ritrovamento e al maneggiamento inopportuno di esplosivi da parte di civili.

Proiettile tra le pietre della Chiesa della SS. Trinità

Impero era solo un bambino di 7-8 anni al tempo, ma ricorda benissimo che tanti ragazzini di Scurcola, poco più grandi di lui, si divertivano a recuperare i proiettili inesplosi. Li chiamavano "dum-dum" anche se, probabilmente, si trattava di un'altra tipologia di munizioni. Una volta trovato il proiettile, con una buona dose di incoscienza, facevano in modo di aprirlo: la parte inferiore veniva svuotata dalla polvere da sparo, la parte superiore, ossia la pallottola, veniva infilata tra le pietre poste ai piedi della Chiesa della SS. Trinità e sul muro di sostegno della scala della Concezione. Una volta incastrate, i ragazzini di Scurcola colpivano le pallottole con un sasso fino a provocare una grande fiammata che si estendeva anche per due o tre metri.

Altre tracce di pallottole nella pietra

In sostanza, il gioco consisteva proprio nell'essere capaci di provocare la violenta vampata che, probabilmente, in più di un'occasione ha rischiato di ustionare chi si trovava lì vicino. Si trattava, come detto, di un "gioco" molto rischioso che però, intorno alla metà degli anni Quaranta, tanti giovani di Scurcola praticavano, trasformando un oggetto bellico in un imprudente divertimento. Di quei giochi incauti oggi ci restano minuscole tracce metalliche ossidate dal tempo che chiunque, passando ai piedi della Concezione e della Chiesa, con un minimo di attenzione, può notare. Si tratta di un'altra singolare testimonianza della vita scurcolana di un tempo che, credo, valga la pena conoscere e ricordare.

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Ringrazio di cuore Impero Rossi che ha scelto di condividere con me uno dei suoi tanti ricordi.

giovedì 5 agosto 2021

La grande piccionaia sul torrione della Rocca Orsini


Forse non tutti sanno che sul torrione sud-est della Rocca Orsini di Scurcola Marsicana esiste una grande piccionaia, probabilmente la più grande del territorio. Dopo i lavori di ripulitura dalla vegetazione che hanno interessato, negli scorsi anni, l'antico e prezioso fortilizio, una volta tagliati alberi e arbusti, è stata scoperta una grande parete completamente rivestita da fori adatti a ospitare i piccioni. Bisogna immaginare che la Rocca sia stata utilizzata per secoli come postazione di avvistamento e controllo delle aree circostanti. I suoi spazi interni erano abitati da soldati e ufficiali che svolgevano le loro attività abituali dentro la Rocca, tra cui una delle più importanti, come immaginabile, era mangiare.


Si presume che un tempo, soprattutto dentro un maniero, non era semplice allevare animali ma si poteva, con una certa ingegnosità, provare a far crescere piccioni. La carne, per secoli, è stata una pietanza riservata ai più abbienti. La gente comune, quella più povera, difficilmente poteva nutrirsi di piatti a base di carne. I piccioni diventavano una soluzione abbordabile per molti. La piccionaia sul torrione della Rocca, per le sue dimensioni, ci fa intuire che doveva servire ad allevare una buona quantità di piccioni e, quindi, a dare di che nutrirsi a parecchie persone.

Alcune delle piccionaie ancora presenti a Scurcola

La "strategia" di sopravvivenza alimentare rappresentata dall'allevamento di piccioni era diffusa non solo tra i militari che occupavano il nostro castello, ma anche tra gli abitanti di Scurcola che, nei secoli scorsi, devono essersi dedicati spesso a questa attività. Non è un caso, infatti, che in tanti vecchi edifici, tra le strade del borgo, siano presenti aperture e fessure create appositamente per ospitare i piccioni. In molte case gli spazi dedicati ai piccioni, nel tempo, sono stati eliminati e cancellati da lavori di rinnovamento edilizio eppure, a ben guardare, con un briciolo di attenzione, è ancora possibile rintracciare ciò che resta delle vecchie piccionaie.

Il filosofo Antonio Rocco tra “Le Glorie degli Incogniti” (1647)

Siamo nella Venezia del Seicento, la città più cosmopolita della penisola. Giovanni Francesco Loredan ha solo 27 anni quando, da giovane no...