venerdì 27 novembre 2020

L'astronomo scurcolano Flaminio De Magistris e la dedica alla nipote di Mazzarino


Tra i personaggi "famosi" nati a Scurcola che Pietro Antonio Corsignani cita nel suo noto testo del 1738, "Reggia Marsicana", c'è anche Flaminio De Magistris. La brevissima descrizione che ne dà il Corsignani è la seguente: "Fr. Flaminio De Magistris della Scurcola, e del terz'Ordine di S. Francesco, fu Provinciale, e stampò un libro: Vera et nova Tabula convertendi die Ægyptiacos: in Roma 1668. Morì nell'anno 1690". Informazioni piuttosto succinte dalle quali si ricava che Flaminio De Magistris era un frate e apparteneva all'ordine dei Terziari di San Francesco, lo stesso a cui era stato affidato il Convento fondato nel 1520, per volere di Ascanio Colonna, nei pressi della Chiesa di Sant'Antonio, il cui primo religioso fu Guglielmo Malparlante, di cui ho già scritto in precedenza. 

Frontespizio del libro di Flaminio De Magistris

Padre Flaminio deve aver avuto una grande passione per l'astronomia visto che, come ricorda lo stesso Corsignani, fu autore di un'opera piuttosto curiosa intitolata: "Vera et nova Tabula convertendi dies Ægyptiacos in nostrates". Sottotitolo: "Necessaria professoribus omnibus Chronologiae et Astronomiae" vale a dire "Necessaria a tutti i professori di Cronologia e Astronomia". In sostanza De Magistris, nel 1668, ha pubblicato un breve trattato, redatto in latino come ogni testo di un certo prestigio, col quale cerca di correggere alcuni errori compiuti in precedenza nella conversione e interpretazione del calendario egizio, fornendo ai lettori una nuova e vera tavola di corrispondenza. 

Una delle tavole contenute nel libro

Dal frontespizio dell'opera, oltre alle già citate informazioni relative all'appartenenza di Flaminio De Magistris al Terzo Ordine Francescano, si legge anche una dedica. Un tempo era abitudine, da parte degli autori, inserire all'inizio delle opere pubblicate una dedica a una persona nota, solitamente di alto rango, sia laica che religiosa, con l'intento di porre l'opera sotto la sua protezione e soprattutto sotto la sua tutela economica. De Magistris dedica la sua "Vera et nova Tabula convertendi dies Ægyptiacos in nostrates" alla principessa donna Maria Mancini, moglie del contestabile Colonna, duchessa di Tagliacozzo, Paliano, ecc. Maria Mancini, oltre a essere stata moglie di uno dei membri della prestigiosa famiglia Colonna, è nota anche per aver avuto una vita molto particolare. 

Ortensia, Maria e Olimpia Mancini (dette Mazarinettes)

Prima di tutto, Maria Mancini è una delle nipoti del Cardinale Giulio Mazzarino (Pescina 1602-Vincennes 1661). Figlia di Geronima Mazzarino (sorella del Cardinale) e del barone Michele Lorenzo Mancini, Maria era nata a Roma nel 1639. Poco dopo la morte del padre, venne condotta presso la corte del re di Francia, a Parigi, insieme alle sue sorelle (ribattezzate "Mazarinettes") affinché il potente zio cardinale riuscisse a combinare un matrimonio vantaggioso. Maria Mancini viene descritta come meno bella delle sorelle ma, comunque, piuttosto graziosa e piacevole tanto che lo stesso re Luigi XIV, ancora giovanissimo, se ne infatuò

Cardinale Mazzarino (dipinto di Pierre Mignard)

Il legame tra Maria e Luigi divenne sempre più profondo tanto che Luigi aveva persino pensato di sposarla. Maria e Luigi, però, vennero presto separati per volere del Cardinale Mazzarino e della madre del futuro Re Sole, Anna d'Austria. Maria, nel 1661, fu costretta a sposare il nobile italiano Lorenzo Onofrio I Colonna. Da lui ebbe tre figli ma, nel 1672, decise di abbandonare il marito, i figli e la dimora dei Colonna per sfuggire a un marito che era diventato insofferente e minaccioso. Trovò riparo in Francia e rientrò in Italia solo dopo la morte di Lorenzo Onofrio avvenuta nel 1689. Maria Mancini Colonna morì nel 1715 ed è sepolta nella Chiesa di San Sepolcro, a Pisa.

martedì 24 novembre 2020

L'organo Inzoli Cav. Pacifico donato dagli "scurcolesi" residenti in America nel 1906


Oltre all'organo donato da donna Zenobia Bontempi alla Chiesa della SS. Trinità nel 1634, oltre all'antico e pregevole organo seicentesco della Chiesa dell'Immacolata Concezione, attribuibile a Francesco I D'Onofrio, esiste a Scurcola un altro strumento di grande valore, ossia l'organo a canne che si trova sulla cantoria della Chiesa di Maria SS. della Vittoria. Entrando in Chiesa e rivolgendo lo sguardo verso l'organo, si può facilmente rilevare la presenza di un'iscrizione in caratteri dorati che recita: "DONO DEI CITTADINI SCURCOLESI RESIDENTI IN AMERICA A.D. 1906". La dicitura è chiara: l'organo è stato regalato dagli scurcolani emigrati in America (probabilmente Stati Uniti) nell'anno 1906. Cosa ci fosse prima di questa data sulla cantoria della Chiesa della Madonna della Vittoria non è dato sapere. 

Leggendo un testo di grande interesse che mi è stato regalato dal suo curatore, il compianto professor Gianluca Tarquinio, intitolato "La musica sacra nella Provincia dell'Aquila. La Marsica" (Ianieri Editore), ho rintracciato l'interessante scheda descrittiva dell'organo donato dagli "scurcolesi" d'America. Prima di tutto si rileva che questo maestoso strumento è stato realizzato dalla storica ditta Inzoli Cav. Pacifico. Si tratta di una prestigiosa fabbrica di organi fondata a Crema da Pacifico Inzoli (Crema, 10 giugno 1843 - 31 agosto 1910). Alla premiata ditta Inzoli sono dovuti alcuni degli organi più importanti d'Italia: della Cattedrale di Cremona (1878-1879), del Santuario di Loreto (1885), Cattedrale di Mantova (1886) della Chiesa di S. Ignazio in Roma (1888), del Santuario di Pompei (1890). 

La cassa dell'organo con l'iscrizione

Nella scheda del volume citato, sono riportate anche le parole precise dell'iscrizione presente sulla consolle dell'organo: "Premiata e privilegiata fabbrica di organi-Crema-Inzoli Ca. Pacifico e Figli - autrice monumentale - Organo Ss. Valle di Pompei: Cinque medaglie D'oro - I° Premio Diploma d'Onore alle Esposizioni Internazionali di Musica - Bologna 1888 e Campionaria di Roma pel Planfonium Specialità". In sostanza una sorta di messaggio promozionale della ditta Inzoli che serviva a sottolineare e a garantirne la professionalità e i risultati conseguiti. 

Il prof. Tarquinio specifica un altro dettaglio importante: l'organo è l'unico preriformato presente nella Marsica. Significa che appartiene a un criterio costruttivo precedente a quella che gli esperti e i tecnici del settore definiscono la "Riforma dell'Organo". Non è il caso di entrare nel dettaglio, piuttosto articolato da spiegare, basti sapere che, ad un certo punto, l'organo "classico" venne sottoposto a un radicale rinnovamento in senso "orchestrale" con il ricorso a innovazioni che andarono a mutarne alcune caratteristiche così che lo strumento potesse essere utilizzato anche per l'esecuzione di opere concertistiche vere e proprie. Il nostro è un organo "classico" con una cassa a tre campate con 21 canne (7 - 7 - 7). La tastiera è formata da 58 note e la pedaliera da 27.

venerdì 20 novembre 2020

Cinema Arena Vittoria


Sembra strano anche solo immaginarlo, eppure a Scurcola, un tempo, c'era un cinema. Si chiamava Cinema Arena Vittoria e si trovava in Largo Duca degli Abruzzi, poco oltre Piazza del Mercato. Oggi quel cinema all'aperto non esiste più. Al suo posto una normale abitazione e dei garage annessi. Per recuperare il ricordo del Cinema Arena Vittoria ho parlato con alcune persone che lo hanno frequentato al tempo le quali mi hanno aiutato a comprendere lo spirito comunitario e il bisogno di socialità che caratterizzava Scurcola pochi anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. 

Da quanto ho potuto capire, il Cinema Arena Vittoria venne realizzato nei primi anni Cinquanta in un'area che era di proprietà della famiglia Palma. I film venivano reperiti grazie all'iniziativa di un cittadino di Magliano dei Marsi che si chiamava Manlio Gentile. Costui, assieme a suo fratello Fernando, aveva dato vita a una sorta di commistione tra il Cinema Eden di Magliano (che non esiste più) e il Cinema Arena Vittoria di Scurcola Marsicana. Le bobine dei film, infatti, venivano portate da Magliano a Scurcola per essere visionate prima in un cinema e poi nell'altro con tempistiche ben collaudate. Ovviamente si trattava di film per lo più già noti e usciti da qualche anno, ma nessuno riteneva rilevante tale dettaglio.

Lidia e Gianna Falcone (1954/1955) - Alle spalle Cinema Arena Vittoria

Nei primi anni il cinema di Scurcola aveva una sola grande insegna con la dicitura "Cinema Arena", la denominazione "Vittoria" è stata aggiunta solo successivamente e mi viene facile pensare che la scelta del nome sia da collegare alla Madonna della Vittoria, da noi venerata da secoli. Secondo quanto mi è stato riferito, la struttura adibita a cinema all'aperto non era particolarmente rifinita, l'ingresso era situato sul lato destro (quello in cui oggi sono ubicati due garage) e il pavimento era fatto di terra e ghiaia. Una volta entrati si pagava il biglietto (per un periodo la bigliettaia fu Rosina Damia) e ci si accomodava sulle classiche poltroncine di legno composte in file uniche, tipiche dei cinema dell'epoca. 

L'addetto alla proiezione, che tra gli anni Cinquanta e Sessanta avveniva con la cosiddetta "lanterna a carbone", era un certo Romano di Magliano dei Marsi a cui spesso si affiancava mio zio Domenico Tortora, al tempo un ragazzo di poco più di vent'anni. Il proiettore conteneva due "grissini" di carbone ricoperti di rame. Il calore che si generava tra i due elementi illuminava lo schermo e doveva essere sempre tenuto d'occhio perché i "grissini" si consumavano ed era fondamentale tenerli alla giusta distanza per evitare il buio completo o la bruciatura della pellicola. Le immagini, ovviamente, venivano proiettate su un telo bianco posto a una certa distanza dalla "lanterna"

Abitazione sorta al posto del Cinema Arena Vittoria

Il Cinema Arena Vittoria, essendo un luogo all'aperto, veniva frequentato soprattutto durante la stagione estiva. Solitamente gli spettacoli erano previsti per il fine settimana, il sabato e la domenica. Nei periodi in cui la presenza dei villeggianti si faceva più imponente, il cinema veniva aperto anche il giovedì. Il Cinema Arena Vittoria poteva ospitare un centinaio di persone e, in quegli anni, ha rappresentato un'importante e coinvolgente forma di intrattenimento popolare e di spettacolo, accessibile praticamente a tutti. Il Cinema Arena Vittoria ha avuto vita per circa una decina di anni, poi è stato smantellato per lasciare spazio a una civile abitazione.

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Ringrazio chi mi ha raccontato del Cinema Arena Vittoria: mio padre Enzo Tortora e Gianna Falcone. Per le foto d'epoca ringrazio Costantino Oddi e Enzo Colucci.

martedì 17 novembre 2020

Lapide "Venusta". Reperto d'epoca romana ritrovato ai Cappuccini


Nel territorio di Scurcola, in passato, sono stati rinvenuti diversi reperti di epoca romana. Solo qualche tempo fa, ad esempio, ho descritto il Cippo con gladio posizionato infelicemente in un angolo della nostra piazza. Un altro esempio di connessione del nostro territorio con la storia più antica è rappresentato da una lapide che possiamo denominare "Venusta" per via del nome che vi si trova inciso. La pietra di cui parlo appartiene ad Aulo Colucci che l'ha rinvenuta, in maniera piuttosto casuale, all'interno di quella che era la stalla del Casale che si trova sul Colle dei Cappuccini, edificio che veniva utilizzato, nei secoli passati, come foresteria del Convento dei Cappuccini, sorto su quell'altura nel corso del XVI secolo

Lo stesso Aulo mi ha raccontato di aver visto per molti anni, in un angolo della stalla, una serie di pietre abbandonate in un angolo. Un giorno, ha notato che una delle pietre aveva una colorazione diversa rispetto alle altre. L'ha discostata e l'ha rovesciata notando, con grande sorpresa, che su uno dei lati del blocco vi era un'iscrizione latina. Nell'immediato si è recato da Enzo Colucci che, più di tutti a Scurcola, si occupa di archeologia e di storia antica. Enzo ha preso visione del reperto e l'ha fotografato, inviando una e-mail al professor Cesare Letta, docente ordinario di Storia romana all'Università di Pisa. Era l'anno 2002

Grazie a Enzo e ad Aulo, ho avuto modo di leggere le analisi che il professor Letta ha condotto dopo aver visto la pietra ritrovata per caso ai Cappuccini ma di cui, in verità, non potremo mai sapere l'esatta provenienza. Forse Alba Fucens, forse lo stesso territorio di Scurcola. Prima di tutto Letta evidenzia che siamo al cospetto di un'iscrizione sepolcrale. Queste le sue osservazioni: "Alla prima delle linee conservate si legge l'indicazione di una somma di danaro (IIS CD, cioè mille sesterzi), probabilmente il costo della tomba, e l'inizio della forma arbitratu + nome al genitivo, che indica l'esecutore testamentario incaricato di soprintendere alla costruzione della tomba"

In tal caso, continua lo studioso, potrebbe trattarsi della moglie del defunto, "di cui nella parte perduta della prima linea doveva figurare il nome di famiglia (gentilizio), mentre nella seconda linea resta il nome personale (cognomen) e l'indicazione del legame coniugale col defunto: Venustae con[iugis]. All'ultima linea, centrata, c'è la formula de suo, cioè 'a proprie spese'". Dunque, la trascrizione potrebbe essere la seguente

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IIS CID arbitra(tu----) 

Venustae con(iugis) 

de suo. 

"Nella parte perduta" scrive Letta "il nome del defunto figurava al nominativo, cioè non semplicemente come destinatario della tomba, ma come colui che aveva dato disposizioni e denaro perché la tomba venisse eretta secondo i suoi desideri: "[il tale dispose per testamento la costruzione di questa tomba per un costo complessivo] di mille sesterzi, a proprie spese, sotto la supervisione di sua moglie.... Venusta". 

Fin qui la preziosa spiegazione del professor Cesare Letta. In generale, comunque, reperti simili a quello che Aulo Colucci ha rinvenuto per puro caso, ce ne sono molti nei nostri territori. Una buona parte, come è facile immaginare, è andata perduta o distrutta per l'uso comune di edificare abitazioni, strade e altri manufatti riutilizzando materiali provenienti da località in cui vi erano fabbricati in rovina. Probabilmente molti edifici del nostro centro storico, comprese le nostre Chiese, all'interno delle loro fondamenta o tra le pietre delle loro mura, portano incastonati blocchi provenienti dall'Abbazia di Santa Maria della Vittoria la quale, a sua volta, era stata realizzata anche con materiali provenienti da Alba Fucens.

Un riciclo secolare di pietre, colonne, mattoni, pavimentazioni e lapidi sepolcrali che, per il solo motivo di essere già squadrati e pronti all'uso, venivano semplicemente prelevati e riutilizzati dove servivano, nel rispetto di in un uso antichissimo e per lo più poco attento al valore estetico e storico dei materiali. A noi, oggi, può capitare di scovare qualche frammento, come quello rappresentato dalla Lapide "Venusta", che simboleggia una particella di lontane esistenze di cui, purtroppo, possiamo recuperare, grazie agli studiosi, solo qualche sparuta ombra.

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Ringrazio Aulo Colucci per aver messo a mia disposizione i documenti e l'immagine necessari alla redazione di questo post; ringrazio Enzo Colucci per aver risposto pazientemente alle mie domande e ringrazio anche il professor Cesare Letta che, al tempo, si è dedicato allo studio e alla trascrizione del testo della Lapide "Venusta".

venerdì 13 novembre 2020

Le preghiere nascoste della Madonna con Bambino, opera di Fiorella Di Pietro


Ho conosciuto Fiorella Di Pietro in maniera del tutto casuale. Ho parlato con lei e ho avuto il piacere di scoprire una persona che riserva sorprese inaspettate. Ma andiamo con ordine. Fiorella Di Pietro è figlia dello scurcolano Fernando Di Pietro, a tutti noto come Fernanduccio, ma vive piuttosto lontana da Scurcola. Nonostante questo nutre per il nostro paese un affetto profondo, lo stesso affetto che diversi anni fa, esattamente nel 1995, quando aveva 29 anni, l'ha indotta a realizzare la splendida tavola della Madonna con Bambino collocata attualmente lungo la navata della Chiesa della SS. Trinità. Un'opera che vuole essere la riproduzione della preziosa pala della Madonna di Ponti, capolavoro del XIV secolo di cui ho già scritto, sparita misteriosamente nel nulla negli anni Settanta

Madonna di Ponti scomparsa e Madonna dipinta da Fiorella Di Pietro

Fiorella, al tempo, aveva ricevuto l'incarico di dipingere la Madonna con Bambino dal parroco don Nunzio D'Orazio e, sulle tracce dell'unica fotografia esistente (in bianco e nero) dell'immagine sacra, è riuscita a restituire alla nostra Chiesa un'icona dalle caratteristiche tecniche straordinarie e molto sofisticate. Prima di procedere, la Di Pietro ha studiato attentamente le icone del Trecento e del Quattrocento e ha acquisito una vasta conoscenza di antichissimi procedimenti in grado di riprodurre effetti materici particolari. È la stessa Fiorella Di Pietro ad avermi raccontato e illustrato i vari passaggi che ha compiuto per realizzare l'opera che si trova nella nostra Chiesa. 

Prima di tutto la tavola su cui è stato realizzato il dipinto è in legno massello di rovere. Le tavole sono unite tra di loro con degli incastri e successivamente rinforzate da due robuste barre in rovere fidate con perni alla tavola stessa. "Ciò permette" mi ha spiegato Fiorella "una grande stabilità alle deformazioni del legno. È stata realizzata da Filippo Trombetta su mio disegno". Il procedimento preparatorio della robusta tavola di legno è stato sicuramente elaborato: "Sulla tavola ho applicato uno strato di colla di coniglio bollente e l'ho lasciata asciugare almeno 24 ore. Poi ho applicato un telo di lino bianco intriso di colla di coniglio bollente e sopra un altro strato di colla bollente. Dopo ulteriori 24 ore di asciugatura, un ultimo strato di colla di coniglio bollente e altre 24 ore di essiccazione. Quindi ha iniziato il lavoro dell'ingessatura" mi racconta Fiorella.

Disegno preparatorio di Fiorella Di Pietro

"Ho rispettato alla lettera un'antichissima ricetta: è stato fondamentale per conferire una straordinaria durezza al supporto, ma insieme una eccezionale elasticità affinché i molti strati sovrapposti, e asciugati separatamente, permettessero alla pittura di restare stabile nel lungo tempo senza screpolarsi o scrostarsi a causa degli inevitabili movimenti del legno, a seguito degli sbalzi termici e di umidità. Per gli antichi, agli ingredienti del gesso veniva attribuito anche un valore simbolico. Nel gesso alabastrino finissimo doveva bollire a lungo del miele, simbolo della dolcezza di Dio, che conferisce fluidità all'impasto, e fiele, che conferisce durezza e simboleggia l'amarezza delle sofferenze della vita necessarie per renderci puri come il gesso e forti come il marmo, al fine di aderire a Dio". 

"Come gli antichi iconografi, io ogni giorno, prima di iniziare a dipingere, recitavo la preghiera: «nella mia anima la Tua immagine traccia». Gli strati del gesso sono simbolicamente 12, ciascuno essiccato e scartavetrato. Nella Bibbia si parla delle 12 fondamenta della nuova Gerusalemme, fatte di pietre preziose, simbolo del paradiso, ossia della nostra vita immersi in Dio. Sulla tela pronta e levigata, usavo scrivere a grafite una preghiera e un pezzetto di Vangelo, nello specifico il brano che è leggibile sul cartiglio del Bambino: ego sum lux mundi qui sequitur me non ambulat in tenebris (io sono la luce del mondo chi segue me non camminerà nelle tenebre)". 

Madonna con Bambino di Fiorella Di Pietro

"Ho realizzato il disegno prima su carta, poi l'ho trasferito incidendolo a mano con un punteruolo sulla superficie di gesso che è duro come il marmo. Per gli antichi questo passaggio era estremamente simbolico: esprimeva la fatica e il dolore attraverso cui l'immagine di Dio si incarna in noi. I decori sono in due colori, giallo e marrone, per essere visibili da diversi punti di vista. Da alcune angolazioni e con una determinata luce si vede solo il giallo, mentre da un'altra angolazione e un'altra luce si vede solo il marrone. I colori sono costituito da tempera all'uovo. Sono polveri di ossidi e terre impastati in mortaio con emulsione a base di rosso d'uovo, aceto di vino e acqua. L'impasto andava preparato sul momento. Il colore risultava leggermente trasparente, e creava l'effetto corposo solo dopo numerose pennellate una sull'altra. Amavo pensare che stavo tessendo gli abiti per la Madonna e il Bambino. La foglia d'oro puro è applicata a missione su sottofondo in bolo armeno, e levigata con pietra di agata". 

I procedimenti seguiti da Fiorella Di Pietro per realizzare la Madonna con Bambino, replica contemporanea dell'antica e perduta Madonna di Ponti, sono davvero incredibili. Per dipingere questa splendida tavola, Fiorella è stata costretta a lavorare in ginocchio, per terra, perché il supporto di legno era troppo pesante per essere appoggiato su un cavalletto. Bisogna sottolineare che le spese per i materiali e per le foglie d'oro sono state sostenute interamente da Fernando Di Pietro, come dono per Scurcola

Fiorella Di Pietro

La Madonna con Bambino realizzata da Fiorella Di Pietro nasconde, nella sua trama, mille preghiere silenziose. Dietro la splendida icona c'è un lavoro minuzioso fatto di sapienza antica e infinita pazienza. Per me è una grande gioia aver raccolto le parole di Fiorella e aver descritto, nel dettaglio, la sua preziosissima opera. Per chiudere, vorrei riportare una riflessione che la stessa Fiorella Di Pietro ha condiviso con me a proposito della Madonna da lei riprodotta: "La Madonna di Ponti è lì come segno che la cosa più importante della nostra vita sono i ponti di collegamento che riusciamo a costruire e a riedificare continuamente con le persone a noi vicine: le relazioni umane che stringiamo. La qualità dei nostri ponti è la qualità della nostra umanità e insieme la qualità della nostra relazione con Dio, che non è altro che amore".

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Ringrazio Fiorella Di Pietro per avermi spiegato, in maniera tanto dettagliata, la genesi del suo dipinto. E ringrazio anche Paolo Salucci che, in maniera inaspettata, mi ha permesso di entrare in contatto con Fiorella.

martedì 10 novembre 2020

La maestra Titina


Solitamente tendo a lasciare i miei ricordi al di fuori delle narrazioni del blog. Stavolta, però, deve fare un'eccezione. Non posso parlare della maestra Titina senza sentirmi coinvolta perché lei è stata anche la "mia" maestra. E lo è stata durante gli innumerevoli pomeriggi trascorsi a scuola per il cosiddetto "tempo integrativo", quello che tutti chiamavano semplicemente "doposcuola", voluto fortemente dal sindaco del tempo, Antonio Nuccetelli, e dalla stessa maestra Titina che, insieme alla maestra Anna Fabrizi, furono le animatrici di quella fondamentale, e ormai perduta, fase di aggregazione e di crescita di noi bambini. Durante il doposcuola, le due maestre ci hanno insegnato a fare attività diverse da quelle che si svolgevano al mattino: lavori manuali, disegni, recite, canzoni, esperimenti d'arte

La maestra Titina è stata una figura essenziale per moltissimi scurcolani. Un'insegnante attenta, seria, comprensiva e autorevole. Ricordo la sua elegante gestualità, i suoi modi garbati, il suo sguardo vivace, ma anche la sua vitalità, la sua voglia di fare e il suo talento nel riuscire a stare tra i bambini. Ci insegnava a cantare, spesso. Grazie a lei ho imparato canzoni senza tempo come "Vecchio frac" di Domenico Modugno di cui, a distanza di anni, ricordo perfettamente ogni parola. Le ho voluto un gran bene e l'ho sempre chiamata "maestra" anche quando ero già grande e lei, ormai in pensione, sorrideva nel sentirsi nominare "maestra" dopo tanti anni

La maestra Titina da ragazza

Clementina Romano, questo il suo nome, è nata a Scurcola il 27 giugno del 1940, figlia di Pericle Romano e di Beatrice Damia. È cresciuta in una casa che si trova lungo via Corradino, nel borgo di Scurcola. Ho potuto raccogliere qualche dettaglio della sua infanzia parlando con una delle mie zie, Lina Tortora, che è stata sua compagna di banco. Lina ricorda con commozione la sua amica del cuore Titina, "era una bambina molto intelligente e molto volenterosa… sapeva fin da allora che sarebbe diventata una maestra!", mi spiega zia. La loro insegnante, suor Michelina Tropiani, si complimentava spesso con entrambe perché Lina e Titina erano le più brave. Alla fine delle elementari, Lina ha lasciato a malincuore la scuola, Titina ha continuato a studiare conseguendo, come desiderava, il diploma magistrale ad Avezzano

Clementina, o Titina, ha ottenuto l'abilitazione all'insegnamento nel 1959 anche se, come mi hanno spiegato i suoi figli, Roberto e Pericle Stinellis, ha iniziato a insegnare qualche anno più tardi. Nel 1960 ha conseguito un diploma dopo aver frequentato, a Roma, un corso superiore di specializzazione didattica per l'emigrazione nei Paesi Caldi. Nel 1963 e 1964 è stata educatrice presso le colonie per bambini di Cervia e Bellaria e vale la pena sottolineare che, sempre nel 1963, Clementina Romano fu una delle primissime ragazze di Scurcola a prendere la patente e a guidare una macchina, una Fiat 600 che suo padre Pericle volle acquistare. Solo a questo punto Titina ha iniziato a insegnare presso le scuole elementari marsicane. Al principio le vennero assegnate cattedre in paesi distanti da Scurcola come quelle di Tufo e Pietrasecca. In questa fase, la maestra Titina veniva accolta da una famiglia del paese che le riservava una stanza della propria casa. Successivamente insegnò anche a Castellafiume, San Vincenzo Valle Roveto, Morrea, Morino. In alcuni casi doveva gestire una pluriclasse perché in alcuni paesi i bambini erano pochi. Anni di spostamenti, di sacrifici, di tanta buona volontà. Dal 1970 la maestra Titina era diventata anche moglie, sposando Giovanni Augusto Stinellis di Capistrello, e poi madre, con tutte le responsabilità che tali ruoli comportano. 

Titina e Augusto nel giorno del loro matrimonio

Dopo l'esperienza con il doposcuola, la prima classe che le venne assegnata a Scurcola, nell'anno scolastico 1985/1986, era una quinta elementare che, fino all'anno precedente, era stata seguita dal maestro Luciani. Da quel momento in poi la maestra Titina è stata il punto di riferimento per tantissimi bambini di Scurcola. Ha condotto il suo lavoro di insegnante elementare con la vocazione e il rigore di una maestra d'altri tempi. È sempre stata in grado di costruire con le sue colleghe un rapporto di vicinanza e di collaborazione. Tutti a scuola la stimavano profondamente tanto che, negli anni, era divenuta la referente essenziale e il sostegno immancabile per le insegnanti che giungevano a Scurcola per la prima volta. La sua presenza nella nostra scuola è stata costante fino al 2004, anno in cui è giunta al pensionamento che per lei, come mi ha raccontato Pericle, ha rappresentato un momento di turbamento: ha fatto fatica ad abituarsi all'idea di non dover più entrare in una classe al mattino

Clementina Romano non era solo la maestra Titina che tutti ricordiamo con profondo affetto, era anche una donna, una sorella, una mamma, un'amica, una confidente. Aveva altre passioni, oltre a quella per la scuola. In molti la ricordano per la sua generosità, per il rispetto profondo che nutriva nei confronti delle persone, per il suo radicato attaccamento ai valori fondamentali della vita e della famiglia. "Era una mamma esigente" mi dice Roberto. Il suo essere esigente, però, spingeva gli altri a dare il meglio di sé. A scuola e non solo. Amava cucinare, Clementina. Ricordo anche io i dolci buonissimi che sapeva realizzare, tra cui la sbriciolata di ricotta di cui non ha mai voluto svelare la ricetta. "Sapeva preparare piatti squisiti: fritti, gnocchi, ravioli" mi raccontano sorridendo Roberto e Pericle. E sono felice di ricordarla anche per le cose buone che sapeva cucinare. 


La maestra Titina ci ha lasciati il 6 settembre 2015. La sua scomparsa ha gettato nella costernazione i suoi familiari, i suoi ex alunni, le sue colleghe e tutte le persone di Scurcola che, nel corso degli anni, avevano imparato ad amarla come insegnante e non solo. Anche io ero tra i tantissimi presenti al suo funerale sconcertata dal fatto che una donna così forte, così determinata, così creativa, così amabile ci avesse lasciati per sempre. Torno a lei ogni tanto, passo a salutarla e continuo a chiamarla "maestra" e, ogni volta, rivedo il suo sorriso, il suo sguardo acuto e i suoi immancabili capelli biondi. 

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Ringrazio Roberto e Pericle Stinellis, figli della maestra Titina, per avermi concesso il loro tempo incontrandomi nel corso di un'assolata mattina d'autunno. Li ringrazio per aver risposto alle mie domande e per aver messo a mia disposizione i loro ricordi, le fotografie e le informazioni in loro possesso su una donna davvero speciale, la maestra Titina.

venerdì 6 novembre 2020

La Chiesa di San Vincenzo Ferreri ora sede della BCC di Roma


Non so quante agenzie bancarie, in Italia, possano vantare di trovarsi in una chiesa del Settecento. A Scurcola accade anche questo. La sede locale della Banca di Credito Cooperativo di Roma, infatti, è collocata negli spazi dell'antica chiesa gentilizia della famiglia Vetoli, la Chiesa di Sant'Ignazio e di San Vincenzo Ferreri. Al momento della sua costruzione (avvenuta tra il 1749 e il 1750) i Vetoli intitolarono il piccolo edificio sacro ai due Santi appena citati anche se, col tempo, il riferimento a Sant'Ignazio sembra essere andato perduto

Secondo alcuni documenti dell'epoca, conservati presso l'Archivio Diocesano di Avezzano, e pubblicati da diversi storici, la Chiesa di Sant'Ignazio e di San Vincenzo Ferreri fu costruita "a costo di proprie spese" da Giulio Vetoli che, per fabbricare l'edificio sacro, decise di demolire una rimessa per le carrozze che si trovava proprio di fronte all'ingresso del suo palazzo. Va detto che Giulio fu il primo rappresentante della prestigiosa e nobile famiglia Vetoli di Corcumello a insediarsi a Scurcola. Ciò avvenne a seguito del suo matrimonio con Agata Simeoni, sorella di don Pietrantonio Simeoni, già Abate di San Giovanni nella Diocesi di Sora. Giulio Vetoli, più tardi, rimasto vedevo, sposò, in seconde nozze, donna Margherita Colarossi di Magliano

L'atto formale presentato alla Curia venne stilato dal notaio Giuseppe Antonio Martini di Scurcola ed è datato 14 maggio 1741. Con esso don Pietrantonio Simeoni chiedeva al Vescovo del tempo, Domenico Antonio Brizi, la richiesta di "erigere e fondare per sua devozione e a maggior gloria di Dio e i suoi santi una Chiesa sotto il titolo di Sant'Ignazio e San Vincenzo Ferreri". Nella circostanza, don Pietrantonio si impegnava ad assegnare tutti i beni necessari (terre, vigne, selve) per ottenere il permesso di edificare la Chiesa nella quale garantiva la celebrazione di messe in suffragio della propria famiglia. Don Pietrantonio Simeoni, infatti, aveva intenzione di "ritirarsi devotamente" a Scurcola, il suo paese natale, nella casa di famiglia, quella che era diventata anche la casa del Conte Giulio Vetoli a seguito delle nozze con Agata

Dopo aver ottenuto il permesso del Vescovo, i lavori per l'edificazione della Chiesa ebbero inizio e vennero affidati, a partire dal maggio del 1749, al maestro Donato del Furgato della terra di Pescocostanzo. I Simeoni-Vetoli misero a disposizione del maestro Donato (scalpellino e "marmoraro") i materiali di cui ebbe bisogno per completare l'opera. Alla fine il Conte Giulio Vetoli pagò al maestro di Pescocostanzo la somma di 285 ducati "per il lavoro della cappella e la porta e finestra". Dopo la scomparsa della famiglia Simeoni, a partire dal 1823, il patronato della Chiesa di Sant'Ignazio e di San Vincenzo Ferreri passò a don Vincenzo Vetoli. 

La chiesa era costituita da una navata unica e sembra fosse decorata con stucchi e marmi pregiati, nel rispetto dello stile Barocco, tipico del tempo in cui venne realizzata. Con il procedere degli anni venne ripulita e restaurata in più occasioni ma, col tempo, subì un certo degrado. Il terremoto del 1915, purtroppo, causò cedimenti rilevanti. Negli anni seguenti la famiglia Vetoli, che godeva ancora del patronato della Chiesa, andò lentamente a scomparire. L'ultimo discendente, Alessandro, decise di cedere la chiesa, attraverso un vitalizio, alla famiglia Romano che la detenne per diverso tempo

Negli anni '60, l'edificio venne acquisito da quella che, all'epoca, era denominata Cassa Rurale ed Artigiana. Dopo un imponente lavoro di recupero, la struttura dedicata alla Chiesa di Sant'Ignazio e di San Vincenzo Ferreri divenne la sede dell'attuale BCC di Roma. A testimoniare l'esistenza di un antico edificio sacro restano gli stipiti in marmo del portale e il rosone in pietra tuttora visibili sul lato dell'edificio che affaccia su Largo Mameli. Inoltre, a Scurcola, è sopravvissuta la consuetudine, durante la Processione del Venerdì Santo, di fermarsi in questo luogo celebrando il ricordo di una chiesa che non c'è più ma che sopravvive comunque nel ricordo, nei documenti e nella tradizione religiosa di Scurcola.

martedì 3 novembre 2020

Piccole opere street art anche a Scurcola


Non solo affreschi vecchi di secoli, non solo antichi portali o vecchie iscrizioni, a Scurcola, a ben guardare, c'è anche qualche segno d'arte contemporanea. Forse più semplice e meno vistoso ma esiste. Personalmente mi è capitato di vedere, in giro per il paese, deliziosi e colorati disegni realizzati sugli sportelli dei contatori del gas. Ubicazione singolare, non c'è dubbio ma, forse anche per questo, ancora più interessante e sorprendente. Uno dei più graziosi si trova in fondo a Piazza del Mercato e utilizza due sportellini per riprodurre una finestra con tanto di tendine colorate, vasi fioriti e gatto in attesa sul davanzale


Salendo lungo Via M. A. Colonna, su un'abitazione in fondo alla scalinata, qualcuno ha disegnato, sempre su uno sportello messo a proteggere un contatore, una coniglietta bianca con un fiocchetto azzurro sulla testa. L'animaletto sembra affacciarsi dietro una persiana proprio accanto a un vaso con due narcisi gialli. Camminando oltre, proprio all'inizio di Via Corradino, c'è un altro esempio di piccola street art: un disegno che pone su uno sfondo coloratissimo una siluette in nero con cilindro, bastone e un vezzoso palloncino volante


Non so chi sia l'artista o chi siano gli artisti che hanno pensato di trasformare degli anonimi e tristi sportelli dei contatori del gas in piccoli spazi d'arte all'aperto, ma voglio ringraziarli per l'idea, per il talento, per la voglia di regalare sprazzi di colore lì dove sarebbe difficile aspettarseli. Spero che chiunque abbia realizzato queste piccole opere continui a farlo ovunque ci sia un banale sportello di metallo da poter essere tramutato, con un pizzico di immaginazione, in un foglio da disegno.

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Aggiornamento
Dopo aver letto il post, Alessia Monti mi ha spiegato l'origine dei disegni di cui ho scritto. Rientrano in un'iniziativa che venne realizzata nel luglio del 2015 a cura della Nuova Pro Loco di Scurcola. Era denominata "GASiamo l'arte" e, come si legge sulla pagina FB creata per l'occasione, aveva l'obiettivo di "abbellire il nostro già stupendo centro storico pitturando le grigie e spente cassette del GAS con meravigliose opere d'arte create da artisti".

Il filosofo Antonio Rocco tra “Le Glorie degli Incogniti” (1647)

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