domenica 30 gennaio 2022

Ebrei salvati dalle Maestre Pie Filippini, il racconto di suor Lelia Orlandi di Scurcola


Il 27 gennaio è stata celebrata la "Giornata della memoria" durante la quale vengono commemorate le vittime dell'Olocausto. Anche io, seppure con un po' di ritardo, vorrei rendere onore a chi perse la vita per via dello scellerato e ignobile progetto di sterminio nazista, senza avere altra colpa che l'essere nati [1], come ha spiegato spesso la senatrice Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah. La "memoria" che ho recuperato si lega alla figura di una suora scurcolana che rispondeva al nome di Lelia Orlandi. Non ho avuto modo di conoscere personalmente suor Lelia, il suo nome è spuntato per caso durante le mie solite ricerche su Scurcola Marsicana e ho pensato che sarebbe stato interessante recuperare e condividere un suo racconto.

Il volto di suor Lelia e le sue parole sono parte di un breve film documentario intitolato "A Debt to Honor" (Un debito da onorare) realizzato da Sy Rotter nel 1984. Il regista e sceneggiatore statunitense Sy Rotter, fondatore della "Foundation for Moral Courage", ha realizzato un resoconto dedicato alla sopravvivenza degli ebrei italiani durante l'Olocausto, molti dei quali trovarono rifugio presso istituzioni ecclesiastiche o presso semplici cittadini. L'episodio raccontato da suor Lelia è stato anche accolto all'interno di un libro scritto da suor Margherita Marchione [2]. Era il 1943 e suor Lelia prestava il suo servizio a Cave, in provincia di Roma. Era una serata di novembre e pioveva molto, intorno alle 21 le suore sentirono bussare alla porta. La superiora, suor Lucia De Angelis aprì e si trovò di fronte una piccola famiglia: "Siamo fuggiti da Roma. Siamo ebrei. I tedeschi ci stanno inseguendo. Permettici di restare altrimenti rischiamo di essere fucilati!".

Si trattava dell'ingegnere Luciano Capon, di sua moglie Clara Coen e della loro bambina di appena un anno. Suor Lelia ricorda che la superiora spiegò ai fuggitivi che la legge non permetteva di offrire rifugio agli ebrei, c'era il concreto rischio di essere fucilati. Luciano e Clara implorarono suor Lucia che, nel frattempo, aveva già accolto tra le braccia la piccola. La decisione, seppur pericolosa, venne presa all'istante e con coraggio: "seguiremo il vostro destino" disse suor Lucia. I Capon furono salvati e protetti dalle maestre Pie Filippini di Cave. Luciano venne ospitato nella comunità francescana, non molto distante dalla casa delle suore. A Clara venne fatto indossare l'abito delle suore per evitare di destare sospetti. La famigliola rimase nascosta a Cave fino alla fine della guerra.

Tomba di suor Lelia Orlandi nel cimitero di Scurcola

La testimonianza di quanto avvenne è stata raccontata da suor Lelia in persona. La suora di Scurcola, scomparsa alcuni anni fa, appare dal minuto 6 del documentario di Sy Rotter (LINK). Il regista ha donato il suo film "A Debt to Honor" allo United States Holocaust Memorial Museum nell'ottobre 2009. Il film è stato prodotto dalla Foundation for Moral Courage per essere trasmesso in televisione nel 1995.


Note:
[1] Liliana Segre, Gherardo Colombo, "La sola colpa di essere nati", Garzanti, Milano, 2021.
[2] Margherita Marchione, "Yours is a Precious Witness: Memoirs of Jews and Catholics in Wartime Italy", Paulist Press, New York e Mahwah, 1997, p. 114.

martedì 25 gennaio 2022

Il prodigio che scacciò l'epidemia asiatica: l'epigrafe scurcolana del 1854


All'interno della Chiesa di Maria SS. della Vittoria, nei pressi dell'ingresso laterale, è affissa una lapide di marmo che ricorda uno dei momenti più complicati e dolorosi della storia ottocentesca di Scurcola Marsicana. Temo che non sia mai stata data grande rilevanza a questa preziosa iscrizione che pure racchiude in sé la fede in un "prodigio" e l'apertura alla speranza. Ho pensato che, in questo momento, durante il quale la pandemia Covid ha ripreso a marciare spedita e si apre, per tutti, la terza annata di lotta al contagio, possa essere emblematico soffermarsi sulla traccia storica e umana che questa epigrafe racchiude.

Prima di tutto vado a trascrivere il testo, in latino, scolpito sul marmo: "MARIAE DOMINAE NOSTRAE / OPIFERAE EXORATAE/ QUOD LUEM ASIANAM / VELUTI PRODIGIO / PROCUL HINC DEPULERIT / SCURCULENSES BENEFICII MEMORIS / ANNO REP. SAL. MDCCCLIV". Per avere una corretta versione, mi sono rivolta alla gentile professoressa Laura Saladino, presidente dell'Archeoclub Marsica, docente oltre che storica, medievalista e grande conoscitrice dell'antichità. La Saladino, che stimo enormemente, si è dimostrata come sempre disponibile tanto da rendermi il preciso scioglimento del testo: "A Maria Nostra Signora soccorritrice implorata. Gli scurcolani memori del beneficio perché scacciò lontano da qui l'epidemia asiatica come per prodigio. Nell'anno del ripristino della salute 1854".

La devozione verso la Madonna della Vittoria, da parte degli scurcolani, li ha sempre condotti, nel corso dei secoli, a rivolgersi alla loro patrona per ricevere soccorso e aiuto. È quanto accaduto anche nel 1854 quando, come ho scritto nel post "Epidemie d'altri tempi: il colera che colpì Scurcola nel 1854-1855" a marzo scorso, l'epidemia travolse anche il nostro paese causando la morte di decine di persone in poco tempo. L'epigrafe richiama l'origine orientale del male che viene definito letteralmente "asiatico". Il colera, in effetti, era "sbarcato" in Europa con una nave proveniente dall'India giunta in Inghilterra nel 1854. Ciò che i devoti scurcolani non immaginavano è che, nonostante tutto, il prodigio della Madonna della Vittoria non poté completarsi in quell'anno visto che la stragrande maggioranza dei contagi e delle vittime, a Scurcola come altrove, vi fu l'anno successivo, ossia nel 1855. Solo più tardi, quindi, si raggiunse l'evocato  "ripristino della salute".

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Ringrazio la prof.ssa Laura Saladino che, come sempre, ha mostrato attenzione nei miei confronti.

giovedì 20 gennaio 2022

Il testamento del cavalier Antonio Ansini e la nascita dell'asilo di Scurcola Marsicana


Non molto tempo fa Antonella Curini ha avuto la gentilezza di segnalarmi un documento che è stato condiviso online sul gruppo Facebook "C'era una volta a Scurcola" gestito dal signor Antonio Panfili (che non conosco). Il documento, reso pubblico da Arrigo Ferracuti (che non conosco), contiene il testamento del cavalier Antonio Ansini di Scurcola il cui nome è legato, come tutti gli scurcolani più attenti sanno, a via Cavalier Ansini, all'arco Ansini e, soprattutto, all'Asilo Ansini, che proprio sotto l'arco era ubicato. Avevo letto, in precedenza, una parte del testamento del cav. Ansini (redatto dal Notaio Carlo D'Alessandro di Cappadocia) ma non avevo ancora mai potuto visionare il documento per intero e, a onor del vero, si tratta di una lettura piuttosto interessante.

Via cavalier Ansini (vista dall'Arco Ansini)

La figura del cavalier Antonio Ansini deve aver goduto di notevole prestigio a Scurcola nel corso dell'Ottocento eppure non è semplice capire chi fosse e cosa abbia fatto nella sua vita. Il testamento, che risale al 18 maggio del 1896, prima di tutto ci permette di sapere che Antonio Ansini era figlio di Filippo Ansini (1769ca-1853 - figlio di Mariano Ansini e Margherita Marcelli). Grazie agli elenchi degli "Antenati" stilati da Enzo Colucci, sono riuscita a rintracciare anche il nome di sua madre: Maria Luisa Di Stefano (1771ca-1831 - figlia di Giuseppe Di Stefano ed Elisabetta Letta di Celano). Gli Ansini da cui il cav. Antonio discende sono designati costantemente come "proprietari", tanto basta a farci capire che si tratta di una famiglia di possidenti che traeva le sue ricchezze dalle rendite delle proprietà terriere e immobiliari.

Asilo Ansini: iscrizione su portale del 1773 di casa Ansini

Leggendo il suo testamento, si può dedurre, con una discreta sicurezza, che Antonio Ansini non fosse sposato né avesse dei figli: "E col presente lascio e lego a Mons. Marino Russo Vescovo dei Marsi, e quindi ai suoi successori protempore, tutti i miei beni stabili e mobili siti nel tenimento ed abitato di questo Comune di Scurcola, di Sorbo e di Poggio Filippo, frazioni del Comune di Tagliacozzo". Tutti i beni di Antonio Ansini, quindi, sono affidati al pugliese Marino Russo eletto Vescovo dei Marsi solo pochi mesi prima, ossia nel novembre del 1895. A seguire il cav. Ansini prega Mons. Russo di compiere alcuni atti per lui fondamentali. Il primo riguarda proprio la nascita dell'asilo che diventerà Asilo Ansini: "Che la mia casa con gli orti, chiesa, accessori ed altri diritti inerenti siti a Scurcola in Contrada Via della Pietà o Via Corradino, confinata da mio fratello Angelo e dalla strada a più lati, sia adibita a locale d'un asilo infantile per ambedue i sessi, da impiantarsi dopo la mia morte, non che delle scuole femminili a Scurcola. Le insegnanti debbono essere dell'ordine delle Maestre Pie Filippini, già dette Pie Operaie".

Le fanciulle di Scurcola istruite dalle maestre Pie Filippini
(1918 ca)

Le Maestre Pie Filippini sono presenti a Scurcola fin dal 1796, quindi da un secolo prima che il cav. Ansini facesse stilare il suo testamento. La prima "Opera dell'Istituto" venne inaugurata a Scurcola nel 1808 con il compito di educare e istruire le fanciulle. Non sappiamo con certezza quando sia morto il cav. Antonio Ansini, sappiamo però che, grazie al suo testamento, egli ha consentito alle Maestre Pie Filippini di gestire un asilo per bambine e bambini che, mi pare di intuire, prima di allora a Scurcola non esistesse. Alle suore dell'asilo, inoltre, Antonio Ansini destinava anche le rendite annuali dei beni mobili, immobili e fabbricati siti a Scurcola. In compenso raccomandava alle suore di "mantenere decentemente la mia Cappella nella Chiesa della Vittoria la quale non è gravata d'alcun peso nonché la chiesa che trovasi in questa mia casa abitata".

Classe di bambini dell'Asilo Ansini di Scurcola (1923)

La Cappella Ansini, nella Chiesa della Madonna della Vittoria, dovrebbe essere, salvo smentite, quella caratterizzata dalla presenza di una pesante cancellata che, per diverso tempo, ha accolto la statua della Madonna della Vittoria e ora contiene un plastico. Della chiesa dentro la sua casa, purtroppo, non ho dettagli ma dubito che esista ancora. Dal testamento, inoltre, si apprende che Antonio Ansini lasciò una rendita a una sua sorella suor Matilde (nata Margherita) mentre a suo fratello Angelo non lasciò nulla a parte la "decorazione di S. Gregorio e l'orologio d'argento regalatomi da Sua Santità Pio Nono". La decorazione di San Gregorio è, forse, la croce che ha permesso ad Antonio Ansini di godere del titolo di "cavaliere". Dovrebbe trattasi della croce del cavalierato dell'Ordine equestre pontificio di San Gregorio Magno, fondato da papa Gregorio XVI il 1° settembre 1831. Si tratta di un titolo riservato a donne e uomini di religione cattolica come riconoscimento per il loro servizio alla Chiesa, per impieghi straordinari, in supporto alla Santa Sede e per il loro buon esempio presso le comunità e nel paese.

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Ringrazio Antonella Curini che nutre da sempre, nei confronti del blog, una grande affezione. Senza la sua segnalazione non sarei riuscita a leggere per intero il testamento del cav. Ansini. E ringrazio anche Enzo Colucci per aver messo a mia disposizione, ormai da tempo, i suoi preziosi elenchi ordinati degli "Antenati".

sabato 15 gennaio 2022

Le origini del ramo scurcolano della famiglia De Giorgio

La famiglia De Giorgio non è originaria di Scurcola Marsicana anche se, storicamente, diversi dei suoi esponenti hanno legato il loro nome al nostro paese: Gaetano, Serafino, Benedetto, Vincenzo. Oggi non ci sono più, né a Scurcola Marsicana né a Cappelle dei Marsi, rappresentanti dei De Giorgio. In base alle mie ricerche, il primo dei De Giorgio a stabilirsi a Scurcola fu Donato, di professione medico e chirurgo. È lui il capostipite del ramo scurcolano dei De Giorgio. Partendo dagli elenchi elaborati da Enzo Colucci, basati sui documenti accolti negli archivi degli "Antenati" dell'Archivio di Stato, ho potuto conoscere diversi dettagli sulla figura del dottor Donato De Giorgio.

Negli scaffali virtuali di "Antenati", infatti, ho rintracciato il documento originale, risalente al 20 maggio 1820, contenente l' "Atto di solenne promessa di celebrare il matrimonio" del Comune di Scurcola (Filippo D'Amore Pompei Sindaco), presentato da Don Donato De Giorgio, di anni 30, domiciliato a Magliano, e Donna Emilia Ciofani, di anni 17, nata a Scurcola e qui residente. Dall'atto sopra citato, si evince che la madre dello sposo era Donna Caterina Rizzo. Il padre si chiamava Pietro (proprietario) e suo nonno Nicola, entrambi morti a Barbarano: il primo il 3 ottobre 1791, il secondo il 6 settembre 1766.

Vincenzo De Giorgio (musicista)

Barbarano è anche il paese in cui era nato il dottor Donato De Giorgio. In Italia esistono più paesi che si chiamano Barbarano ma consultando un altro documento custodito negli archivi degli "Antenati", ossia l'atto di morte di Donato De Giorgio, scomparso il 19 novembre del 1839, si può leggere che era nato a Barbarano di Lecce, oggi Barbarano del Capo: frazione di 952 abitanti del comune di Morciano di Leuca in provincia di Lecce. Si trova nel basso Salento e dista 2,5 km dal capoluogo comunale e 61 km da Lecce. È qui che, verosimilmente tra il 1789 e il 1790, nacque Donato De Giorgio. Come sia giunto nella Marsica, purtroppo, non è chiaro.

Il matrimonio religioso tra Donato ed Emilia fu celebrato sempre in data 20 maggio 1820 dall'allora parroco di Scurcola. Viene quindi spontaneo immaginare che il dottor De Giorgio si trasferì a Scurcola da Magliano, dove era domiciliato, proprio a seguito delle nozze con Emilia. Seguendo altre informazioni si può rilevare che Donato ed Emilia ebbero una prole numerosa. Il loro primo figlio nacque nel 1821 e si chiamava Luigi Vincenzo, l'anno seguente nacque Benedetto (sarà il medico condotto di Scurcola - assieme a Oreste Di Giacomo - oltre che padre del compositore e musicista Vincenzo De Giorgio), nel 1832 nacque Vincenzo Settimio (sarà abate di Scurcola, parroco della chiesa della SS. Trinità). Considerando la tradizione di trasmettere i nomi dei nonni ai propri figli, è probabile che Benedetto venne chiamato così per onorare il padre di Emilia, Benedetto Ciofani (proprietario), morto il 12 agosto 1807, quando sua figlia era solo una bambina.

Serafino De Giorgio

Nel 1824 nacque Gaetano De Giorgio che rivestì il ruolo di Sindaco di Scurcola per due volte, la prima durante gli eventi del noto "Eccidio" del 1861. Nel 1826 Emilia mise al mondo Federico morto a pochi mesi. Nel 1828 nacque Serafino De Giorgio, anche lui Sindaco di Scurcola per due volte. Seguono altre nascite: un altro Federico, Vincenzo Settimio, Maria Filomena. Poi tre bambini morti piccolissimi: Marianna, Giacomo e Donato Francescantonio. Quest'ultimo venuto al mondo nel gennaio del 1840, pochi mesi dopo la morte di suo padre: non è un caso che ne porti il nome. Purtroppo, anche quest'ultimo bambino morirà in fasce a soli otto mesi. Per chiudere: Emilia Ciofani scompare il 28 maggio 1862 a 60 anni.

lunedì 10 gennaio 2022

Il fortunato ritrovamento del dipinto di San Francesco di Paola


Risale a qualche anno fa il furto della seicentesca tela di San Francesco di Paola, custodita nella sagrestia della chiesa della SS. Trinità di Scurcola. Si tratta di un dipinto di medie dimensioni (cm 63.5x48.0) nel quale è rappresentato il santo francescano nato in Calabria nel 1416, fondatore dell'Ordine dei minimi. La figura di San Francesco di Paola rispetta in pieno l'iconografia tradizionale: barba bianca, saio, bastone in mano e il motto CHARITAS posto nell'angolo in alto a destra, bene in vista. Purtroppo non sappiamo chi fu l'autore del dipinto, possiamo però immaginare che anche a Scurcola, nel corso del XVI-XVII secolo, trovò diffusione il culto legato a San Francesco di Paola che, tra l'altro, era stato designato patrono del Regno di Sicilia prima e del Regno di Napoli poi.

Il 13 aprile 2013 don Nunzio D'Orazio, parroco di Scurcola Marsicana, ha presentato denuncia, presso la locale stazione dei Carabinieri, dell'avvenuto furto del quadro, olio su tela, di San Francesco di Paola. Non si è mai capito né scoperto chi siano stati gli autori dell'illecita sottrazione dell'opera d'arte sacra che, tra l'altro, venne tagliata ed estratta dalla bella cornice in legno dorato, risalente al XIX secolo. Passato qualche tempo, la vicenda della scomparsa del quadro di San Francesco di Paola ha una svolta sorprendente e decisiva. "Un giorno" mi racconta Franco Farina "stavo pranzando e, nel seguire il telegiornale di Canale 5, mi capita di osservare un servizio dedicato al ritrovamento di preziose opere d'arte e noto, in un improvviso flash, un Carabiniere che esce dall'auto di servizio portando tra le mani un'opera a me ben nota: il quadro rubato di San Francesco di Paola".

I Carabinieri col quadro di San Francesco di Paola di Scurcola

Era il novembre del 2014 e Franco Farina, Carabiniere scurcolano in congedo che ha lavorato per anni presso il Comando Generale Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Roma, si è immediatamente attivato affinché l'opera rubata potesse essere restituita a Scurcola. Ha contattato subito don Nunzio e quindi i Carabinieri della compagnia Trionfale di Roma che avevano trovato la tela rubata dalla chiesa di Scurcola, insieme a numerosi altri antichi oggetti (dipinti, anfore, candelabri, sculture, libri, crocifissi, arazzi, reperti archeologici, ecc.), presso l'abitazione di un avvocato di Grottarossa (Roma), poi denunciato per ricettazione. Le indagini sono state seguite anche dai Carabinieri di Monte Mario e da quelli del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Roma.

Quadro di San Francesco di Paola nella sua cornice

All'atto del riconoscimento dell'opera, Franco Farina si è recato più in fretta possibile a Roma con don Nunzio. "C'era il rischio che il nostro San Francesco di Paola venisse restituito a un'altra persona" mi spiega Franco "si era fatto avanti l'allora responsabile del Museo di Sutri (Viterbo), ritenendo che il quadro appartenesse alla chiesa della Madonna del Carmine di Sutri. Per fortuna noi avevamo la cornice dalla quale la tela era stata tagliata via e la fotografia dell'opera". I Carabinieri, dopo gli accertamenti del caso, hanno verificato che il quadro provenisse effettivamente dalla chiesa scurcolana della SS. Trinità, dalla quale era stato rubato. Il caso ha giocato un ruolo fondamentale in questa vicenda: sono tante le piccole coincidenze che hanno permesso di ritrovare la tela di San Francesco di Paola. E viene spontaneo pensare, purtroppo, a situazioni in cui tali coincidenze non si verificano e alle varie opere scomparse da Scurcola che difficilmente verranno rintracciate e restituite.

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Ringrazio Franco Farina che, anche in questa circostanza, mi ha offerto la sua disponibilità oltre alla sua documentazione relativa agli eventi che ho descritto.

mercoledì 5 gennaio 2022

Scorcio di Scurcola Marsicana in una foto di Camille Enlart di fine Ottocento


Qualche tempo fa la Piccola biblioteca marsicana ha condiviso sul proprio sito e sui propri canali social delle bellissime foto d'epoca scattate, verosimilmente tra il 1890 e il 1893, dall'archeologo, storico dell'arte e fotografo francese Camille Enlart in diversi luoghi della Marsica, Scurcola compresa. Prendendo spunto da quelle immagini, ho già condotto una mia personale ricerca e ho individuato un'altra splendida foto di Enlart, finora sconosciuta, che ritrae la chiesa di Sant'Egidio di Scurcola Marsicana così come appariva alla fine del XIX secolo. Come ho spiegato nella circostanza, Camille Enlart era giunto in Italia per condurre una ricerca sulle testimonianze d'arte gotica francese presenti nel nostro territorio per pubblicare poi il suo libro "Origines françaises de l'architecture gothique en Italie" (1894).

Dettagli gotici: tracce portale a sesto acuto, bifora e finestre

Uno degli scatti più emblematici e affascinanti che lo studioso francese realizzò a Scurcola è quello di cui sto scrivendo. Si tratta di una fotografia che, personalmente, trovo di grande impatto. Sicuramente Enlart aveva intenzione di fissare i particolari architettonici e decorativi, di chiara origine gotica (provenienti dalla perduta Abbazia cistercense di S. Maria della Vittoria edificata per volere di Carlo I d'Angiò alla fine del XIII secolo), che abbelliscono il palazzo che, ancora oggi, insiste su un piccolo slargo lungo via Corradino, oltre via Clemente IV e poco prima di via Portella. Diverso tempo fa sentii denominare questo edificio "Palazzo della mercanzia" ma purtroppo non ho trovato nulla che dia conferma di tale specifica.

Donne e uomini di Scurcola

Mettendo da parte, per qualche istante, gli aspetti meramente architettonici della foto di Enlart, vorrei soffermarmi sulla valenza più umana e più emozionale dell'immagine: le dieci persone ritratte. Non è semplice, oggi, sapere chi fossero. Ci sono quattro donne al centro della scena, vestite con abiti poveri, le tipiche "gonnellone" dei tempi, il grembiule, un fazzoletto sul capo o sulle spalle. Dietro di loro il volto, appena visibile, di un'altra. Poco più sopra si notano due uomini e un'ulteriore donna. Sullo sfondo, poco oltre l'arco, verso quella che è via Portella, si intravede un'altra figura femminile vestita completamente di nero. L'ultima presenza è quella della donna affacciata alla finestra al secondo piano della casa che, ai tempi, appare già pesantemente lesionata da una crepa che la percorre dal basso verso l'alto. Posso solo immaginare che gli scurcolani qui ritratti, probabilmente, abitavano in zona e sono stati attratti e incuriositi dall'arrivo di uno straniero che voleva fotografare, con gli ingombranti strumenti dell'epoca, un pezzetto del loro borgo. Queste persone, forse, non hanno mai nemmeno saputo di essere state fotografate e non potevano di certo immaginare che i loro ritratti sarebbero giunti fino a noi a distanza di più di 130 anni.

Stesso scorcio dopo sisma 1904
(nel cerchio l'assenza della bifora)

Tornando adesso agli aspetti più "tecnici", è possibile compiere un confronto interessante tra la foto di Enlart di fine Ottocento e un'immagine dello stesso scorcio di Scurcola scattata a distanza di alcuni anni, per la precisione poco tempo dopo il terremoto del 24 febbraio 1904. In questo secondo scatto, si vedono alcuni militari che, evidentemente, si stavano occupando della verifica dei danni causati dalla scossa. Stesso luogo, stesse abitazioni. C'è però un dettaglio che mi ha colpito subito: la bellissima bifora che Enlart aveva fotografato poco più di dieci anni prima, nel 1904 sembra essere già stata sostituita da una finestra comune. Il cosiddetto "Palazzo della mercanzia" (ammesso che sia corretto chiamarlo così) ha conservato, e conserva ancora, le due belle finestre con cornice semicircolare decorata, nello stile gotico che Enlart voleva evidenziare, ma nel 1904 aveva perduto la bifora e non per colpa del terremoto. Oggi la stessa finestra appare dotata anche di balconcino ma della meravigliosa bifora gotica non rimane traccia, purtroppo.

Lo scorcio così come appare oggi

Ho confrontato la bifora "scomparsa" con quella presente sulla bella facciata del noto palazzo quattrocentesco che si trova sempre su via Corradino, ma ho rilevato che si tratta di due finestre diverse. Il palazzo fotografato da Enlart, per fortuna, non sembra aver subito, nel tempo, altri grandi mutamenti estetici. Non so chi siano i proprietari dell'edificio ma sarei curiosa di capire se, al suo interno, vi siano altri dettagli architettonici che ne attestino la radice storica che pare possa essere fatta risalire, con discreta sicurezza, al XV secolo.

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Crediti per la fotografia di Camille Enlart: © Ministère de la Culture (France), Médiathèque de l'architecture et du patrimoine, diffusion RMN-GP.

Il filosofo Antonio Rocco tra “Le Glorie degli Incogniti” (1647)

Siamo nella Venezia del Seicento, la città più cosmopolita della penisola. Giovanni Francesco Loredan ha solo 27 anni quando, da giovane no...