mercoledì 30 marzo 2022

Un'altra traccia dell'esistenza della Chiesa di Sant'Angelo di Scurcola Marsicana


Nel marzo 2020 avevo già scritto e condiviso su questo blog un post dedicato alla "chiesa fantasma" di Sant'Angelo di Scurcola Marsicana. Il termine "fantasma" mi sembra appropriato visto che, purtroppo, di questo antico edificio sacro, la cui edificazione il prof. Giuseppe Grossi fa risalire verosimilmente al periodo longobardo (VIII sec.) [1], oggi non ci resta più nulla. L'unico riferimento è spaziale-toponomastico ed è legato alla sopravvivenza del nome di "slargo Sant'Angelo" o "piazzetta di Sant'Angelo" (oggi adibita a parcheggio e spazio manovra). Si tratta, come molti sanno, di un'area posta all'interno del borgo di Scurcola, al termine di via G. Oberdan (ex via Sant'Angelo), così definita proprio per richiamare la chiesa che non c'è più.


Qualche tempo fa, durante le mie solite ricerche online, ho individuato un'esile ma significativa traccia documentale dell'esistenza della nostra Chiesa di Sant'Angelo. Si tratta di una pergamena accolta nell'archivio della Diocesi dei Marsi e studiata dalla professoressa Maria Rita Berardi, ex docente di Storia medievale presso l'Università degli Studi di L'Aquila, ricercatrice, saggista oltre che Deputato della Deputazione Abruzzese di Storia Patria e responsabile del Bullettino. Gli esiti delle ricerche della Berardi sono contenuti in un volume pubblicato nel 2005 [2]. Grazie al sempre valido supporto della professoressa Laura Saladino, docente, medievalista e storica, oltre che presidente dell'Archeoclub Marsica, sono riuscita a leggere per intero la pagina dedicata al prezioso documento.

Il testo messo in evidenza dalla professoressa Berardi [3] è il seguente:
1553 gennaio 13, pont. Giulio III a. 3
Roma, in palatio cacelleriae veteris et cubiculo nostrae solitae residentiae
Nicolaus Virgilius, episcopus Marsicanus, conferisce al chierico Aurelius de Scurcula il canonicato della chiesa di S. Angelus de Scurcula per la rinuncia di Bernardinus de Scurcola fatta per atto di notar Cola, dando mandato a chi di competenza di immetterlo in possesso.
Per mano del segretario Ioannes Baptista Rivalis.
Sono presenti Leonardus Benreceutus laicus et cubicularius episcopi et Ioannes de Forno laicus Sovoianus famulus episcopi.
Si tratta, evidentemente, di un'altra traccia dell'esistenza della Chiesa di Sant'Angelo di Scurcola il cui canonicato, come si legge, durante il vescovato di Nicola De Virgiliis (eletto vescovo dei Marsi il 27 luglio 1548), passava nelle mani del chierico Aurelio per rinuncia di Bernardino. Un tenue ma significativo segno, risalente al 1553, che ci permette di attestare, una volta ancora, che nel nostro paese esisteva una chiesa dedicata a Sant'Angelo
Piccola nota a margine: il "notar Cola" citato potrebbe essere il notaio Cola (o Nicola o Niccolò) Bonafamiglia di Scurcola del quale ho già scritto in passato.


Note:
[1] AA.VV., "Scurcola Marsicana. Historia", DVG Studio, Avezzano, 2005, pag. 120.
[2] Maria Rita Berardi, "Una diocesi di confine tra Regno di Napoli e Stato pontificio: documenti e regesti del fondo pergamenaceo della Curia vescovile dei Marsi, secc. XIII-XVI", nella collana Documenti per la storia d'Abruzzo, n. 16, della Deputazione di Storia Patria Abruzzese, 2005, pp. XXXIX, 397.
[3] Berardi, op. cit., p. 209.

venerdì 25 marzo 2022

Strade e piazze di Scurcola rinominate durante il periodo fascista


Nel corso del ventennio fascista a Scurcola Marsicana, così come in molte altre località italiane, venne rivisto anche l'apparato toponomastico di strade e piazze. Alcune delle denominazioni attribuite in quella fase storica, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, vennero definitivamente cancellate poiché esplicitamente riferite a figure riconducibili al regime. Altre, invece, continuano a mantenersi. Di recente ho richiesto e ricevuto, dai competenti Uffici del Comune di Scurcola, che ringrazio, la versione digitale di alcuni atti degli anni Trenta conservati nell'archivio storico del Municipio. Tra di esse la delibera n. 65 del 27 Gennaio 1936 con la quale il Podestà Vitantonio Liberati, assistito dal segretario Emilio Nuccitelli, stabilì la parziale modifica della toponomastica del nostro paese.

Toponomastica fascista a Scurcola Marsicana

Le nuove denominazioni di vicoli, piazze, strade e borgate scurcolane, attribuite dal Podestà Liberati nel 1936, risentono, come evidente, dell'inevitabile retorica fascista, con riferimenti a personaggi storici o artisti o episodi che, ai tempi, rientravano nell'enfasi evocativa di una dittatura impegnata nel tentativo (rivelatosi poi fallimentare) di fondare un impero italiano in Africa. Va ricordato che nell'ottobre del 1935 era iniziata la Guerra d'Etiopia che si concluse, nel maggio del 1936, con la conquista di Addis Abeba da parte dell'esercito italiano, condotto dal generale Badoglio. In questa fase la politica di Mussolini si impone su ogni elemento della vita degli italiani, anche su quello linguistico.

Via F.P. Tosti (ex via San Giuseppe)

Con l'atto podestarile del gennaio 1936 vengono mutati, o creati ex novo, toponimi di diverse località del paese che, dopo il terremoto del 1915, si legge, "difettano di denominazioni poiché tali località fino ad ora furono del tutto trascurate, ovvero vennero a costituire parte dei nuclei abitati in questi ultimi anni, per l'avvenuta costruzione di abitazioni civili, in seguito al terremoto". Alcune zone di Scurcola (ma anche di Cappelle) erano identificate con nomi popolari o convenzionali, con indicazioni legate a cognomi di famiglia (vicolo Bucceri, vicolo Colucci, vicolo Liberati) o con la prossimità di edifici specifici (via dell'Orologio Vecchio, via Campanile).

Largo Silvio Spaventa (ex Largo del Protestante)

A prescindere da tutto, è affascinante e storicamente molto interessante rilevare oggi le precedenti denominazioni di luoghi del paese che, in qualche caso, non sono mai stati dimenticati. Ad esempio, quello che oggi è vicolo Patini, prima del 1936, era chiamato vicolo dell'Abate, per la presenza dell'abitazione del parroco di Scurcola; via Tosti era semplicemente via San Giuseppe, per via dell'omonima Chiesetta di proprietà della famiglia Ottaviani; via Sotto le Preci era quella che molti scurcolani continuano a chiamare "via sotto le prete"; via Codabassa, per quanto rinominata ufficialmente via Monte Velino, rimane nei riferimenti dialettali "Coavassa".

In futuro mi piacerebbe approfondire la storia di alcune delle vecchie strade o piazze di Scurcola per rintracciarne l'origine e le vicende toponomastiche. Al momento mi limito a riprodurre l'elenco delle precedenti e delle nuove denominazioni definite nella delibera n. 65/1936.
 

Denominazione precedente

Nuova denominazione

Piazza Vetoli

Piazza del Littorio

Largo S. Vincenzo

Largo Goffredo Mameli

Largo S. Matteo

Largo Garibaldi

Via Codabassa

Via Monte Velino

Via delle Papere

Via Gabriele Rossetti

Via degli Orti

Via Andrea Bafile

Via Magutte

Via XXIII Marzo

Largo Fonte Vecchia

Largo Duca degli Abruzzi

Vicolo Liberati

Via Cesare Battisti

Vicolo dell'Abate

Via Teofilo Patini

Largo del Protestante

Largo Silvio Spaventa

Via S. Giuseppe

Via F.P. Tosti

Vicolo Rossi

Via Nazzario Sauro

Via delle Grazie

Via XI Febbraio

Via del Pietrone

Via Alba Fucense

Via dell'Orologio Vecchio

Via Napoleone Orsini

Via Sotto le Preci

Via della Vittoria

Via dei Gradini

Via Trento e Trieste

Via della Vittoria

Salita del Santuario

Vicolo Talone

Via S. Maria

Vicolo Calandrelle

Via del Castello

Via della Rovina

Via Dalmazia

Via Campanile

Via Armando Diaz

Via Labirinto Campanile

Via Armando Casalini

Via Cortevecchia

Via Fabio Filzi

Via S. Angelo

Via G. Oberdan

Vicolo Fischietto

Vicolo Tre Abruzzi

Larghetto S. Angelo

Largo Fiume

Vicolo Carusotti

Via F. Corridoni

Borgata S. Sebastiano

Via F.P. Michetti

    Idem

Via Giovanni Argoli

    Idem

Via Adua

    Idem

Via Maccallè

Vicolo Bucceri

Via de' Marsi

Vicolo Colucci

Via Isonzo

Via Petitta

Via Piave

Viale sinistro edif. scolastico

Via Arnaldo Mussolini

Viale destro edif. scolastico

Viale G. D'Annunzio


domenica 20 marzo 2022

"Viva Cerri" su un muro in via XI Febbraio


Come molti sanno, sono solita girovagare per il borgo di Scurcola con una certa regolarità e penso di aver osservato e assimilato molte delle sue caratteristiche. Solo pochi giorni fa, però, ho notato un dettaglio che, finora, mi era sfuggito o che, semplicemente, non avevo osservato con la dovuta accortezza. Si tratta di due vecchie e scolorite scritte tracciate, verosimilmente più di un secolo fa, sul muro di un edificio situato in cima a via XI Febbraio, al numero civico 36. Partendo da Corso Vittorio Emanuele III, sono salita passando davanti all'ingresso di Palazzo Tuzi-Marimpietri e al cospetto degli affreschi che decorano questo angolo semisconosciuto del nostro paese. Salendo ancora, sulla sinistra, si presenta un edificio a due piani con un vecchio e malmesso portone di legno a piano terra.

Via XI Febbraio n. 36 e scritte W Cerri

Ebbene, sul muro scrostato di questo fabbricato, ho rilevato la presenza di due scritte "Viva Cerri". Immediatamente mi sono tornate alla memoria le parole "Viva Fusco" che avevo già notato lungo il nostro Corso, a poca distanza da quella che era la bottega di Lodovico, e alle quali ho dedicato un post pubblicato nel dicembre 2020. Per analogia con le precedenti, ho ritenuto che anche il Cerri nominato su un vecchio muro del centro storico di Scurcola possa essere un esponente politico e che quel "Viva Cerri" non sia altro che un sistema per propagandarne il nome e favorirne l'elezione.

Giovanni Cerri

Compiendo una breve ricerca su Internet, ho individuato la figura di Giovanni Cerri, avezzanese nato il 27 maggio 1857 e noto avvocato della città. Fu Sindaco di Avezzano dal marzo 1891 al settembre 1893. Venne eletto alla Camera dei Deputati e rimase in carica dal 16 giugno 1900 al 18 ottobre 1904, durante l'XI legislatura. A lui si deve una proposta di legge del 1904 relativa alla "Costituzione in Comune autonomo della frazione Oricola". Dal punto di vista politico, assieme a Luigi Vidimari e ad Antonio Iatosti, Cerri operò per contrastare la politica di Giovanni Torlonia. Costui era III Principe del Fucino, dopo suo nonno Alessandro e suo padre Giulio Borghese (marito di Annamaria Torlonia), e aveva creato, con la sua discutibile gestione delle aree fucensi bonificate, un ampio malcontento tra i contadini e tra i braccianti.

È quindi probabile che le iscrizioni "Viva Cerri" siano riferibili proprio all'avvocato Giovanni Cerri che, evidentemente, aveva dei sostenitori anche a Scurcola. Forse il suo nome venne tracciato su quel muro in occasione delle elezioni del 1900 oppure in un altro momento della carriera politica di Cerri. Egli tornò a essere Sindaco di Avezzano il 16 luglio del 1914, ma rinunciò al suo incarico pochi giorni più tardi per ragioni personali. Giovanni Cerri morì a soli 58 anni sotto le macerie causate dal violento terremoto che colpì la Marsica il 13 gennaio del 1915. Una tragica fine per un illustre rappresentate della politica marsicana e abruzzese di cui, seppure per un minuscolo dettaglio, Scurcola conserva memoria.

martedì 15 marzo 2022

In morte del conte Vincenzo Vetoli: l'elogio funebre di Gaetano Rosa


Il bel signore barbuto ritratto nella foto è il conte Vincenzo Vetoli. Ho rinvenuto questo ritratto, di qualità non eccellente, purtroppo, fra i vari documenti che, nel corso del tempo, mi ha trasmesso Aulo Colucci. Al momento questa sembra essere l'unica immagine del conte Vincenzo Berardino Vetoli che, giusto per tracciare un breve profilo, nacque a Scurcola il 29 maggio 1817, figlio del conte Domenicantonio Vetoli (a sua volta figlio di Giulio Vetoli e Margherita Colarossi), al tempo 52enne, e della sua giovane consorte Vittoria D'Amore che, nel 1817, aveva solo 25 anni. Per la cronaca: Vincenzo Vetoli, che sposò Luisa Marimpietri, era il padre dei conti Angelo e Alessandro Vetoli, noti a Scurcola, rispettivamente, come il "conte bianco" (poiché albino) e il "conte nero", ultimi rappresentanti del ramo scurcolano della famiglia, morti celibi e senza una discendenza.

Gaetano Rosa (archivio di Arrigo Ferracuti)

Sono qui a scrivere dell'elogio funebre che un altro importante scurcolano, l'ingegnere Gaetano Rosa, scrisse in onore del conte. Infatti, tra le varie carte che Arrigo Ferracuti, sempre attento e sollecito, mi ha segnalato, vi è uno scritto che Gaetano Rosa compose in occasione della morte del conte Vincenzo Vetoli. Va detto che il nostro Rosa, oltre a occuparsi di problemi catastali, progettuali, reddituali e tributari, doveva nutrire una discreta passione per l'arte dello scrivere e ha composto anche opere in versi. Tra i testi che Arrigo ha rinvenuto ci sono componimenti che Gaetano Rosa elaborò in onore di persone che la morte aveva appena condotto con sé. Non ho rivenuto documenti ufficiali relativi alla morte del conte Vincenzo Vetoli, ma da alcuni dettagli tratti dallo scritto di Gaetano Rosa, ho dedotto che la data della sua dipartita potrebbe essere quella del 12 agosto 1900. Inoltre credo di poter dire, senza allontanarmi troppo dal vero, che gli elogi composti dal Rosa, caratterizzati da toni celebrativi e dolenti, venissero letti dal suo autore durante la cerimonia funebre, al cospetto di tutta la popolazione presente.

Quello che segue è il lungo scritto dedicato al conte Vincenzo Vetoli:

Bello è quel fiore che si depone misto ad una lagrima di affetto sul gelido avello [1] di persona, che lascia di sé cara rimembranza! Bello quel serto [2] di doti che s'intreccia in onore di chi nel corso della vita sentì la bellezza della virtù, ne riconobbe la verità e la mantenne inviolata per puro amore di essa, di chi si ebbe compagni onestà, carità, religione, amore e rispetto per tutti!
Il cuore che geme sotto il carco [3] di grave dolore per la perdita di carissima persona, trova conforto nel pensare che la oscurità della tomba, che rinchiude l'esanime corpo ed alla vista degli uomini lo cela, non può tener serbato dentro di sé lo splendore della fama di chi vi è sepolto, nel pensare che sola virtù del tempo avido a schermo toglie l'uomo dal sepolcro e lo serva in vita.
Stamani per tutte le vie di Scurcola si intendeva un via vai di gente di ogni ceto; un parlare franco ed affannoso, un dimenarsi l'un l'altro seguito da stupore e singhiozzi, mentre tutti si avviavano atteggiati a nera e sentita mestizia verso l'antica cappella privata dei signori conti Vetoli [4], anche accertata la triste novella, ahi! Pur troppo vera. Gli occhi del conte D. Vincenzo Vetoli non dovevano più vedere il sole di questo malaugurato giorno, perché la morte inesorabilmente vi aveva steso di sopra il suo gelido e funereo velo!
Ed ora piangi, sì piangi, o popolo di Scurcola, perché ne hai ben donde, perché il suo dolore è giusto, il suo pianto un dovere, con gratitudine. E ben faresti domani a restare unanime la vanga, il martello e l'aratro, per rendere i meritati onori all'illustre estinto, accompagnandone la spoglia alla dimora degli estinti, per santificare la memoria di colui che non si appagava di un semplice culto: ma devoto e pio, senza ipocrisia, apriva le porte della sua magione a' miseri, senza contarli mai e vi era sempre un pezzo di pane per tutti! Egli che non disdegnava, anzi gioiva scendere nei vostri tugurii dove la fame e la disperazione vi rodeva in mezzo ai cenci e fra le sozzure e mitigava voi gentili uomini che perdeste l'amico più sincero, leale ed umile, per quanto poteva vantare di titoli e di ricchissimo antico censo.

Prima parte dell'elogio funebre scritto da Gaetano Rosa

Egli che poteva far sfoggio della sua brillante posizione, preferiva vivere in mezzo a voi, bearsi della vostra amicizia ed aspirare al vanto di essere il padre caritatevole dei poverelli! E voi, o coloni tutti, ricordatevi quante volte siete stati beneficiati, ricordatevi come gioiva allegramente, poteva passare tutto il giorno in mezzo a voi. Né mi fido colmare il vostro strazio con parole, o buoni suoi figli, ché rapito vi fu chi tanto meritò il vostro dolore! Oh come la morte del giusto è accompagnata dal dolore e dalle benedizioni de' suoi concittadini! Oh come i suoi benefici, le sue virtù sono ricordate con quell'ammirazione, con quel desiderio che viene dall'amor del bene, del rispetto, della carità! Muore il malvagio, e quelli cui prima il timore chiudeva il petto la parola di dolore e di senza ira, lo accompagnino al sepolcro con quel dispregio ed esecrazioni che ha meritato in vita ed in morte. Malvagi mirate il fine glorioso del conte Vincenzo Vetoli e riconoscete la vostra miseria, l'orrore della vostra vita. Voi stessi avrete a dire: Sì questi è l'uomo, questi è il giusto che non possiamo obbliare senza ingratitudine, del quale non possiamo pronunziare il nome senza rendergli un tributo, senza sentir rimorso del nostro malfare, senza imitarlo.
I figli quanto amorosi, profondamente addolorati, nulla omisero perché fossero rispettati gli ordini del padre caro. "Appena morto voglio che il mio corpo sia rivestito dal sacro de' fratelli dell'Opera Pia SS.ma Trinità e sul nudo pavimento della nostra Cappella deposto con sole le ceri!" Anche dopo la sua esistenza non ha voluto quel lusso di cui poteva fare sfoggio prima, ha voluto che fosse trattato egualmente agli altri confratelli del Pio luogo, non essendovi differenza di sorta tra il ricco e il povero. Oh giusto, o beato, o santo nome!
Fu il conte Don Vincenzo Vetoli uomo d'incorrotti costumi, amatore instancabile de' suoi figli, franco e leale con tutti, ma prudente e civile insieme, modestissimo, umano, affabile con ogni maniera di persone; fu religioso senza vanità, senza ipocrisia. Aveva il cuore pieno di sentimenti sublimi e il suo labbro era l'eco de' suoi sentimenti. Quanta gioia non gli portava all'animo l'opera del bene, la virtù degli uomini! Quanta amarezza non gli gittava nel cuore il maleficio, la bassezza di tanti che nulla temono dagli uomini e da Dio! Era grande, assiduo il lamento che movea contro i vili ed i malvagi, contro coloro che sconoscono Dio e la verità, che Dio e la verità si fanno a combattere. Ma il suo lamento non è scompagnato dalla verità e dalla preghiera a Dio per la conversione degli uomini. Non si riuscì mai di sorprenderlo a trattare chiunque, insino all'ultima plebe, con poca umanità e rispetto.
Fu sempre eguale il tenor di vita che serbava il conte Vincenzo Vetoli, lo serbò sino all'ultimo della sua vita, di 83 anni, egli si ebbe da tutti amore e riconoscenza, stima e rispetto. Una età così lunga, sì bella e onorata lo rese anche più caro e venerando ai figli che gli fecero lieta la vita, ne addolcirono i dolori e ne fanno più viva la memoria. Ricordiamo con un detto scrittore che tra i ruoli inevitabili cui l'uomo per natura è soggetto, la morte occupa il primo posto, la vecchiaia il secondo. È allora che più si teme la morte. Ma ove l'uomo abbia amato la giustizia e Dio, qual timore avrà della morte? Non dirà anzi come S. Paolo: desidero stare sciolto per stare con Cristo?

Conti Alessandro e Angelo Vetoli

Il conte Vetoli era il giusto della Bibbia che fiorisce come palma, che in vita e in morte è stato esaltato come cedro, ed ora in cielo gode il premio che Dio ha preparato ai suoi eletti. Quanto pochi son quelli che compiuta la lor giornata, lasciano grande eredità di affetti, benedetta la loro memoria! Quanto pochi son quelli che nella purezza del cuore fanno meno infelice il fratello con l'amore, e con la larghezza della mano! Ricordiamo il Vetoli, andiamo al sepolcro di lui per ispirarci alle sue opere, ai suoi sentimenti, alle sue virtù. È pur dolce il pensiero che in mezzo a tanta corruzione vivono uomini giusti a conforto e a sostegni scambievole, che vi sono pur uomini che nel silenzio compirono l'opera del bene alla quale Dio ci ha chiamato. Oh, perché sì pochi questi Angeli dell'Immensità! Oh, se fossero eterni sulla terra!
Vetoli vive ancora, vive nella memoria delle sue virtù, vive nella vita migliore in cielo, in cielo ha quella forza che non aveva in terra pregando il Signore pei tristi, per la famiglia, per la patria, per quanti vivono la vita di questa valle di lagrime. Deh conte Vincenzo Vetoli! Deh! Pregate per lui, pregate per la morte preziosa dei giusti. Giacché più non vivete in mezzo a noi in terra, ma in cielo, tra i beati e i santi del celeste paradiso, deh! pregate per noi tutti, che qui stiamo ammirando la vostra terrena prodigiosa esistenza e proprio pregate per i vostri tanto, tanto amati e cari figli, pregate per tutta questa prediletta società, e pregate pel vostro servo ed oscuro [?], però sensibile che la vostra memoria vorrebbe far noto al mondo tutto, anche la presente giovanile età seguisse il vostro esempio essendo voi adorno di una corona fulgidissima di virtù rare e di quelle che sono fatte per non appassire per tempo che preghi, ma che restano sempre vive e si elevano come splendidissime stelle sul fango delle umane cose!

Note:
[1] Avello: tomba
[2] Serto: corona
[3] Carco: carico
[4] Si tratta della Chiesa di San Vincenzo Ferreri, attuale sede dell'agenzia scurcolana della BCC di Roma.

***

Ringrazio ancora una volta: Aulo Colucci che mi ha donato gran parte del suo archivio personale di carte, foto e memorie scurcolane; Arrigo Ferracuti che, con generosità e passione, continua a segnalarmi documenti del tutto sconosciuti sulla storia di Scurcola; Costantino Oddi che mi ha permesso di conoscere elementi biografici essenziali sulla famiglia Vetoli.

giovedì 10 marzo 2022

L'artista Saturnino Gatti e il tabernacolo di Maria SS. della Vittoria


Alcuni mesi fa ho dedicato un post a un evento deplorevole avvenuto il 10 marzo 1894, vale a dire il tentativo di furto e, soprattutto, il grave danneggiamento delle tele che rivestono il prezioso tabernacolo in cui era custodita la statua di Maria SS. della Vittoria. I sei piccoli capolavori decorano l'interno delle ante della cassa lignea e, dopo l'increscioso (e mai punito) evento del 1894, ci sono pervenuti sfregiati e deturpati: purtroppo non sapremo mai come erano prima. Il tabernacolo, dalla particolare conformazione triangolare, è conservato da molti anni presso il Museo d'Arte Sacra della Marsica, all'interno del Castello Piccolomini di Celano. Le sei scene dipinte, tempera su tela, rappresentano altrettanti episodi della vita di Cristo.

Adorazione di Gesù (anta sinistra)

Sembra ormai consolidata l'idea che l'autore delle tele sia Saturnino Gatti da San Vittorino (1463 ca.-1518 ca.). A dare forza a questa ipotesi ci sono le analisi storiche del noto studioso e critico d'arte francese Émile Bertaux e, nel corso del tempo, anche le conferme di Federico Hermanin, Mario Chini, Giuseppe Marini e Pietro Piccirilli. Al contrario, Raimond Van Marle, Ferdinando Bologna e Otto Lehmann Brockhaus non sono dello stesso avviso. La possibilità che l'autore di queste tele sia Saturnino Gatti, in ogni caso, rimane valida e fondata. Il Gatti è uno degli artisti più valenti e prestigiosi del territorio abruzzese. Iniziò a formarsi prima presso Silvestro dell'Aquila e, più tardi, probabilmente, riuscì a frequentare la bottega del Verrocchio che, ricordiamo, fu maestro di Leonardo da Vinci. Diverse le opere d'arte pittoriche e scultoree di Saturnino Gatti presenti nel territorio aquilano, la più nota è sicuramente la "Madonna del Rosario" del 1511, originariamente collocata presso la Chiesa di San Domenico a L'Aquila e oggi ospitata nel Museo Nazionale d'Abruzzo, sempre a L'Aquila.

Madonna del Rosario di Saturnino Gatti (1511)

Come detto, le sei tempere del Gatti raccontano momenti essenziali della vita di Gesù Cristo. Sull'anta di sinistra, partendo dall'alto abbiamo: l'Annunciazione, l'Adorazione di Gesù Bambino e la Presentazione al tempio. Sull'anta di destra, la più danneggiata dal tentativo di furto del 1894, la "narrazione" della vita di Cristo prosegue dal basso: la Flagellazione e la Crocifissione. Il riquadro inferiore destro, purtroppo, è del tutto illeggibile poiché completamente rimosso dall'incauto ladro ma, per analogia con il tabernacolo della Madonna di Fossa (dipinto dal Maestro di Fossa), i cui sportelli sono stati rubati negli anni Settanta, la formella doveva raffigurare il Bacio di Giuda con la consegna di Gesù ai soldati.

Bacio di Giuda (Tabernacolo Madonna di Fossa)

Indubbiamente in ogni singolo elemento pittorico sopravvissuto, è possibile rilevare la grande maestria dell'artista: la cura dei dettagli, l'armonia delle figure, la grazia dei volti, l'applicazione puntuale degli studi prospettici, la plasticità dei panneggi e delle forme. Molto particolare, come suggerito da Marianna D'Ovidio, la scena racchiusa nella formella dedicata alla Crocifissione, in alto sull'anta destra. Qui è possibile notare la presenza di un piccolo corteo di personaggi che potremmo definire "fuori dal tempo". Si tratta di alcuni cavalieri che, ovviamente, così bardati, non sono riconducibili al periodo in cui Gesù venne crocifisso ma, più verosimilmente, all'epoca in cui la tela venne dipinta (fine Quattrocento o inizi Cinquecento). 

Cavaliere Orsini (dettaglio Crocifissione)

Il personaggio che appare in primo piano, il cavaliere in armatura, indossa una piccola rosa rossa sul petto mentre un'altra è collocata sui finimenti del suo cavallo. La rosa rossa è riconducibile al simbolo della famiglia Orsini e il cavaliere qui presente potrebbe rappresentare un membro di questa potente famiglia che deteneva, tra gli altri, anche i territori di Scurcola. Se tali osservazioni fossero corrette, sarebbe possibile ipotizzare che i dipinti che ornano il tabernacolo che custodiva la statua della Madonna della Vittoria potrebbero essere stati commissionati dagli Orsini, forse poco prima che i loro domini di Albe e Tagliacozzo passassero alla famiglia Colonna.



Bibliografia
D'OVIDIO Marianna, "La statua lignea di S. Maria della Vittoria e l'edicola figurata" in "Scurcola Marsicana Monumenta", Comune di Scurcola Marsicana, 2005, pp. 136-144.
MARINI Giuseppe, "La battaglia di Tagliacozzo e le vicende di tre chiese", Casa Tip. Ed. Comm. Nicola De Arcangelis, Casalbordino, 1934, pp. 31-43.
MEZZOPRETE Maria Pia, "Tabernacolo decorato con scene raffiguranti la vita di Cristo" in "Arte e cultura nella Marsica. II arte. 1984-1987", Teramo, 1987, pp. 138-140.
PICCIRILLI Pietro, "Notizie degli Abruzzi, furti di oggetti d'arte a Scurcola e a Paterno", in "L'Arte", 1904, pp. 504, 505.

sabato 5 marzo 2022

Il definitivo rientro dall'Australia del Maestro Vincenzo De Giorgio nel 1937


"Il Maestro V. De Giorgio ci lascia" [1] è con questo titolo che "Il Giornale Italiano", testata pubblicata a Sydney dal 1932 al 1940, annuncia, tra le pagine del numero di mercoledì 10 febbraio 1937, il rientro in Italia del compositore, musicista, cantante scurcolano Vincenzo De Giorgio. Sarà l'ultimo viaggio di De Giorgio dall'Australia all'Italia. Dopo il suo ritorno, il maestro deciderà di vivere stabilmente nella sua casa paterna (tuttora esistente in via Porta Reale a Scurcola) fino al giorno della sua morte, avvenuta 15 dicembre del 1948. De Giorgio aveva vissuto in Australia per circa trent'anni divenendo punto di riferimento per gli artisti e le persone appassionate di "bel canto" e musica classica.

Il Giornale Italiano del 10 febbraio 1937

Ho già scritto, diverso tempo fa, del primo concerto che l'artista scurcolano tenne, presso la sala Albert Hall di Adelaide, nella serata di sabato 6 agosto 1898, poco dopo il suo sbarco nel Nuovissimo Continente. Un primo rientro in Italia, De Giorgio, assieme a sua moglie Agnese Bontempi, lo aveva già compiuto nel 1909 per poi ritornare in Australia poco più tardi. De Giorgio, al rientro in Australia, si stabilì a Sydney, città nella quale visse, lavorò e insegno per più di vent'anni. Poi, come viene spiegato ne "Il Giornale Italiano", nel 1937, quando il maestro aveva ormai circa 73 anni, decise di rientrare definitivamente nel suo paese natale.

Motonave Viminale (1925-1943)

L'articolo d'epoca ci fornisce alcuni dettagli finora ignoti rispetto alla biografia di Vincenzo De Giorgio. Dalla chiusa del pezzo, ad esempio, si ricava che il maestro salpò da Sydney il 25 gennaio 1937 a bordo della motonave "Viminale" che lo ricondusse in Europa, in Italia, "... la terra natia, quella che a motivo della sua stessa professione e delle attrazioni affini, non gli sarebbe mai stato possibile dimenticare né interamente abbandonare". A proposito della motonave "Viminale", vale forse la pena sottolineare che era denominata, al tempo, "il Titanic italiano". Si trattava di un transatlantico di lusso varato nel 1925 per conto del Lloyd Triestino, fu spesso utilizzato per il trasporto di passeggeri e migranti italiani da e per l'Australia. Venne silurato il 25 luglio 1943 da una nave americana, durante la Seconda Guerra Mondiale, a largo della costa di Palmi, in Sicilia.

Casa Musicale W. Paling & Co

Nell'articolo vengono esaltate le qualità artistiche e umane del nostro De Giorgio, soprattutto il suo costante impegno professionale; leggiamo infatti: "Per lunghi anni a Sydney svolse proficua opera d'insegnante di canto presso la rinomata Casa Musicale W. Paling & Co. Già in Italia, ove la sua valentia di pianista concertatore si era affermata convincentemente, il Maestro De Giorgio aveva dato alla luce un'opera di singolare valore, che ritiensi invero il suo capolavoro, dal titolo "Canto e Cantanti." Libro, questo, che vinse al suo autore il 1.mo premio alla Mostra Musicale di Palermo nel 1891 e che rimane tuttora uno dei migliori trattati sul canto nel mondo".


Note:
[1] Il Giornale Italiano, Sydney, 10 febbraio 1937, p. 2.

martedì 1 marzo 2022

Alla pace


Ho riflettuto a lungo, nell'ultima settimana, in merito all'opportunità o meno di scrivere un post su quanto sta accadendo tra Russia e Ucraina. Mi sono chiesta se questo blog fosse il luogo adatto, se io fossi la persona adatta e, soprattutto, se potesse servire a qualcosa. Poi ho notato che nessuno, a Scurcola, ha assunto ufficialmente una posizione che fosse dichiaratamente e lucidamente contraria a una guerra che, come tutte le guerre, non ha senso

Lo faccio io, nel mio piccolo. E lo faccio con profonda consapevolezza: sono qui ad affermare con convinzione la mia totale repulsione nei confronti della guerra che è e rimane uno degli atti più vili, irresponsabili e osceni che si possano compiere. Non esito ad affermare che le scelte di Putin siano radicalmente sbagliate e che lui sia un individuo molto pericoloso

Non basta pensarla la pace. La pace va fondata e curata: con i gesti, con le parole, con le prese di posizione, con i simboli, con le azioni. Tutto sommato la pace e la libertà sono creature fragili e i fatti recenti ce lo hanno dimostrato. 

Agostino Falcone mi avrebbe detto: "hai scritto un altro elzeviro!". Probabilmente sì. Ho sentito la necessità di farlo e sono certa che tanti altri scurcolani condividono il mio pensiero. Sarò pronta a pubblicare e dare spazio ad altri pensieri "di pace" come il mio, accanto al mio. Per chi vorrà.

Il filosofo Antonio Rocco tra “Le Glorie degli Incogniti” (1647)

Siamo nella Venezia del Seicento, la città più cosmopolita della penisola. Giovanni Francesco Loredan ha solo 27 anni quando, da giovane no...