venerdì 28 agosto 2020

Il cippo col gladio e il suo triste destino


Attualmente in un angolo della piazza di Scurcola Marsicana, nel vertice tra via Roma e l'inizio di Corso Vittorio Emanuele III, si trova un bene archeologico di discreto interesse: il cippo romano con gladio. Stiamo parlando di un grosso blocco funerario rinvenuto in una località denominata San Giovanni in Via Romana che ancora oggi, tradizionalmente, gli scurcolani chiamano "Santianni" (evidente contrazione di San Giovanni). Stiamo parlando di una zona in cui i romani avevano fondato un tempio, proprio lungo il decumano massimo. Non è semplice datare con esattezza il cippo ma, sicuramente, si tratta di un reperto di epoca romana abbastanza significativo. Ciò che mi lascia perplessa? Che l'antico cippo si trovi in una posizione molto infelice; che sia stato praticamente ignorato da chiunque; che non venga valorizzato né tutelato in alcun modo. 

Dettagli: gladio e nastro

Ho chiesto lumi al professor Giuseppe Grossi, il quale mi ha spiegato che, proprio grazie alla presenza del gladio, si può dedurre che il cippo potrebbe essere stato realizzato come pietra funeraria in onore di un ex militare romano (forse un veterano) che doveva godere di qualche prestigio. Il gladio, come si può evincere dalla raffigurazione, è riposto nel suo fodero, questo lascia intendere simbolicamente, spiega Grossi, che l'uomo che lo utilizzava era oramai morto e la sua arma era destinata ad essere riposta per sempre

Oltre alla corta arma leggera utilizzata dai legionari romani, sul cippo è stato scolpito anche un nastro svolazzante. Non è chiaro quale possa essere il significato di questa striscia di stoffa che accompagna il gladio però si sa che gli ufficiali romani erano soliti portare sull'armatura un lembo di tessuto con un nodo che segnalava la loro condizione di condottieri. Si può ipotizzare che il cippo sia stato realizzato forse in memoria di un ufficiale e il nastro dispiegato potrebbe essere il simbolo di un nodo di comando che viene sciolto, un legame con la vita che viene a estinguersi con la morte

Il cippo e la mola vicino al Monumento dei Caduti

Enzo Colucci mi ha raccontato che, prima di essere collocato nell'infelice posizione che oggi occupa, il bel cippo romano era stato per molti anni vicino al Monumento ai Caduti di Scurcola Marsicana. Accanto alla grande pietra funeraria, al tempo, c'era anche una vecchia mola, ossia una pietra per macinare che, secondo i ricordi di Ennio Giuseppe Colucci, potrebbe giungere da un antico mulino medievale che sorgeva nei pressi dell'antica Abbazia di Santa Maria della Vittoria, in zona Cardosa. Nei miei ricordi, invece, il cippo romano era posizionato, assieme alla colonna romana che oggi si trova nell'aiuola del Piazzale della Venere, sul marciapiede tra Via Roma e Via Gabriele D'Annunzio, nei pressi della fermata dei bus. Quando sono stati realizzati i lavori di rifacimento della piazza, che hanno portato alla totale (e a mio avviso deleteria) rimozione dei bei giardini che circondavano l'edificio scolastico e di quelli che si trovavano lungo Corso Vittorio Emanuele III, qualcuno ha avuto l'insana idea di portare il cippo col gladio nel luogo in cui si trova adesso

Il cippo oggi: fontana "conciglia" e mola interrata

Non solo: l'antico cippo romano è stato rovinato dalla presenza di una fontanella a forma di conchiglia (sic!) appiccicata sul lato posteriore oltre ad essere stato appoggiato sulla bella e antica macina ora in gran parte sotterrata. Due scempi in un colpo solo! Nemmeno la collocazione della pietra funeraria romana, a mio parere, è stata una scelta ottimale. Se per una ragione qualsiasi, come negli anni recenti è già avvenuto, un automobilista proveniente dal Colle di Sant'Antonio dovesse perdere il controllo della vettura, potrebbe facilmente schiantarsi contro il cippo col gladio. E sono quasi certa che il cippo resisterebbe piuttosto bene all'impatto, molto meno l'eventuale automobile e il suo conducente.

martedì 25 agosto 2020

Romolo Pierbattista, l'artista scurcolano che disegnava francobolli


Ho sentito nominare Romolo Pierbattista diverso tempo fa, nel periodo in cui ero impegnata nella ricerca di notizie in merito a Enea Pierbattista, di cui ho già scritto. Romolo ed Enea, pur condividendo il cognome e un indiscusso talento artistico, non hanno un legame diretto. Secondo quanto mi ha spiegato Sergio Pierbattista, figlio di Romolo, a cui devo le notizie e le immagini riportate in questo post, probabilmente la sua famiglia e quella di Enea potrebbero avere un lontano antenato comune di cui, però, si sono perse le tracce nel corso del tempo

Genitori di Romolo: Angela Marini e Labano Pierbattista

Romolo Pierbattista è figlio di scurcolani e ha sempre avuto un legame molto profondo e sincero con Scurcola. Era nato il 29 febbraio del 1904 a Roma, figlio di Labano Pierbattista (nato a Scurcola il 22 dicembre 1873 da Damaso Pierbattista e Rosaria Di Pietro), e di Angela Marini (nata a Scurcola il 6 aprile 1876 da Francesco Marini e Maria Petitta). I genitori di Romolo, Labano e Angela, si trasferirono a Roma nel 1896, così come molti scurcolani in quello stesso periodo, costretti dalla necessità di cercare un lavoro e di vivere meglio di quanto avrebbero potuto fare in paese. 

Romolo Pierbattista da ragazzo

L'avvicinamento di Romolo alle arti è avvenuto presto e quasi per caso: era solo un ragazzino di 12 o 13 anni quando uno scultore notò il suo profilo greco e lo invitò a presentarsi presso il suo laboratorio per fare da modello; in quella circostanza Romolo si misurò per la prima volta con l'arte plastica e fu lo stesso scultore a chiedere a sua madre Angela di fargli frequentare il suo studio perché aveva intuito che il ragazzino aveva del potenziale. Per alcuni anni, quindi, Romolo, per pagarsi gli studi, lavorava al mattino come "cascherino" (garzone del fornaio che portava il pane a domicilio con una cesta) e al pomeriggio presso un fabbro carraio. Alla sera frequentava la scuola di disegno. Il 15 luglio del 1927, con il massimo dei voti, ottenne il diploma in Decorazione e Architettura

Opera giovanile di Romolo Pierbattista (1923)

Nel 1928 Romolo Pierbattista venne assunto presso il Poligrafico dello Stato come bozzettista e disegnatore. Grazie al diploma ottenuto e grazie alla sua inclinazione per le arti grafiche, il giovane Romolo ebbe modo, nel corso della sua carriera, di realizzare e firmare alcuni importanti progetti per la creazione di bellissimi francobolli o di altro materiale celebrativo richiesto dallo Stato. I suoi francobolli sono ormai inclusi nel patrimonio storico filatelico italiano e riportano il nome di Romolo Pierbattista da solo o insieme a quello di altri colleghi. 

Francobolli disegnati da Romolo Pierbattista. Centenari di uomini illustri (1937)

Tra i vari francobolli firmati da Romolo, possiamo ricordare quello del 3 maggio 1934 intitolato "Pacinotti. 75° anniversario dell'invenzione della dinamo" realizzato in collaborazione con F. Sartori. A cui si affiancano quelli del 25 ottobre 1937 dedicati ai "Centenari di uomini illustri", una serie di ben dieci francobolli che Romolo Pierbattista ha disegnato e firmato da solo per celebrare figure eccellenti di italiani famosi come Stradivari, Pergolesi, Leopardi, Giotto

Francobolli dedicati a Pacinotti (1934)

Nel corso degli anni, Romolo ha disegnato vari altri francobolli che, come sanno bene i collezionisti, ora sono pezzi pregiati. Vale la pena ricordare il francobollo uscito il 16 settembre 1950 intitolato al "Centenario della nascita di Augusto Righi"; i francobolli "Feste e concorsi ginnastici internazionali di Firenze" emessi nel 1951 e firmati in coppia con Edmondo Pizzi; il francobollo realizzato nel 1955 per le "Onoranze a Giacomo Matteotti", dedicato al politico rapito e assassinato il 10 giugno del 1924 da una squadra fascista capeggiata da Amerigo Dumini per volontà di Benito Mussolini; il francobollo uscito il 3 novembre 1955 dedicato al "Decimo anniversario della F.A.O."; il francobollo del 31 dicembre 1956 dedicato all'Ottantesimo anniversario del risparmio postale in Italia

Francobolli per Matteotti e per la FAO disegnati da Romolo Pierbattista

Romolo Pierbattista, oltre a disegnare per lavoro, ha continuato a dipingere, scolpire e disegnare privatamente per tutta la vita. Sapeva suonare il piano e ha sempre avuto una grande passione per l'architettura. Ha ristrutturato la casa di famiglia che si trova nel borgo di Scurcola donandole uno stile stravagante e sicuramente fuori dai canoni tipici del luogo. Ha voluto decorarla in maniera originale ispirandosi a uno stile che possiamo definire "dannunziano". Ha voluto realizzare un grande e bellissimo giardino che si sviluppa salendo verso la montagna. Nel corso della sua vita, ha avuto modo di realizzare monumenti funebri e persino il Monumento ai Caduti che si trova nel paese di Picinisco, in provincia di Frosinone, inaugurato nel settembre del 1931. 

Altre opere di Romolo Pierbattista

Romolo Pierbattista, per quanto mi riguarda, è stata un'autentica sorpresa. Non immaginavo che una persona originaria di Scurcola potesse avere uno spirito così eclettico e un talento così particolare. Sono riuscita a scoprire la sua vita e la sua arte grazie al figlio Sergio Pierbattista che qui ringrazio sentitamente. Sergio, con grande gentilezza, mi ha accolto nella sua casa scurcolana la quale, ancora oggi, racconta e raccoglie i segni della passione artistica che ha sempre caratterizzato l'esistenza di Romolo, una passione che lo ha condotto a realizzare e firmare francobolli storici ma anche a vivere nel segno di un'attività creativa pulsante e ininterrotta.

venerdì 21 agosto 2020

Anno 1921: posa della prima pietra dell'edificio scolastico di Scurcola


"Ha avuto solennemente luogo la posa della prima pietra di questo edificio scolastico, con l'intervento del sindaco sig. Oddi Costantino [sindaco di Scurcola dal settembre 1921 all'aprile 1922, ndr], del segretario comunale cav. De Cesare Giuseppe, della Giunta e del Consiglio comunale al completo con la bandiera nazionale, e di numerosissimi cittadini di tutte le gradazioni sociali che anelavano da tempo la realizzazione di questo sogno". Ho tratto questo brano dalle pagine di "Marsica Nuova", il quotidiano in lingua italiana fondato negli Stati Uniti da marsicani emigrati. Nel numero del 15 gennaio 1922 si legge un trafiletto col quale si racconta la posa della prima pietra dell'edificio scolastico di Scurcola Marsicana. Considerando i tempi di redazione e di ricezione della notizia, è quasi certo che la posa della prima pietra sia avvenuta, verosimilmente, nell'autunno del 1921. In questa fase Mussolini, che pure è già molto attivo, non è ancora al potere (la marcia su Roma ci sarà solo nell'ottobre del 1922). 

L'articolo di "Marsica Nuova" prosegue spiegando che al momento emblematico della posa della prima pietra della scuola di Scurcola c'erano anche le insegnanti Anna Spalla, Eulalia Gennari (Maestre Pie Filippini) e una certa Caponetti le quali "posero la pergamena ricordo e ruppero la tradizionale bottiglia di Champagne". Non poteva mancare, come ogni evento significativo, la presenza del parroco del tempo, don Domenico D'Amico, che "diede la benedizione pronunciando poche parole per l'occasione". Nel testo si ricavano anche informazioni circa i responsabili tecnici dell'opera: ingegneri De Gaetani e Buonocunto di Napoli.

L'edificio scolastico oggi

Da "Scurcola Marsicana Historia", invece, il prof. Fulvio D'Amore descrive il momento dell'inaugurazione dell'edificio scolastico avvenuta l'8 dicembre del 1923. La notizia, come spiega lo storico a pag. 476 del libro, fu affidata alla cronaca del Corriere di Scurcola Marsicana il quale "riportava un articolo dal titolo Echi dell'inaugurazione dell'edificio scolastico, che mostrava, come sempre, il solito asservimento retorico al partito fascista". All'inaugurazione della scuola era presente l'onorevole Raffaele Paolucci, alto commissario regionale fascista, oltre al sindaco del tempo, Vitantonio Liberati. Per l'occasione venne letto pubblicamente un telegramma ricevuto da Mussolini. L'articolo, alla fine, dà spazio al signor Andrea Damia "che profuse in quella giornata tutta la sua meravigliosa attività e che la sera con slancio veramente encomiabile mise le sue cantine a disposizione del popolo festante".

martedì 18 agosto 2020

Le storiche "pallotte" delle vie del borgo di Scurcola


Via Dalmazia, via Tosti, via Cavalier Ansini. Stiamo parlando di alcune delle scalinate più belle del borgo di Scurcola che consiglio vivamente a tutti di andare a cercare e di percorrere con attenzione, soffermandosi di tanto in tanto per ammirare i dettagli che, passo dopo passo, si presentano alla vista. Le strade citate presentano anche un'altra peculiarità: sono tutte pavimentate con le famose "pallotte" o "pallottole". Ciò indica che sono tra le poche che hanno mantenuto intatto il fondo che, un tempo, caratterizzava tutte le vie del centro storico di Scurcola. Ciottoli di pietra bianca che, come alcune persone mi hanno spiegato, venivano indicate in dialetto anche come le "pallotte deglio campo de' Massa". 

La scalinata di Via Cavalier Ansini

Nel tempo, però, le "pallotte" sono state sostituite da pietre più ruvide e scure, sampietrini, porfido o, nei casi peggiori, coperte brutalmente da uno strato di asfalto o di cemento. Bisogna ammettere che le pietre bianche, che sono caratteristiche dei nostri territori, presentavano qualche problema di sicurezza poiché, in caso di pioggia, neve e ghiaccio, diventavano viscide e molto scivolose, quindi un rischio costante per chi doveva salire o scendere a piedi lungo le vie del borgo. Nei decenni passati, dunque, gli amministratori pensarono di sostituirle con pavimentazioni più sicure ma di sicuro meno affascinanti, meno autentiche e meno belle da vedere

                       Via Tosti          Via Porta Reale      Scale Chiesa della Madonna

Camminando tra le vecchie strade di Scurcola si potrà notare di frequente la presenza delle "pallotte" che, fortunatamente, sono state lasciate dov'erano in diversi punti del paese: davanti alla Chiesa della Madonna della Vittoria, in qualche cortile, su piccole scale nascoste o tra spazi poco visibile e poco frequentati. Come scritto sopra, qualcuno ha provveduto spesso a cementarle o a ricoprirle, probabilmente per evitare di scivolare e cadere. Ma le "pallotte" ci sono lo stesso e si spera che, almeno quelle ancora presenti, restino dove sono perché, anche se molti non le notano neppure o le considerano scomode, esse rappresentano un segno della storia e della vita di Scurcola, una ragione sufficiente per apprezzarle e custodirle con cura.

venerdì 14 agosto 2020

Ammirando l'antico Palazzo Ottaviani-Pompei lungo via Porta Reale


Mi ritengo fortunata perché ho avuto la possibilità, grazie alla cortese mediazione di Enzo Colucci e alla gentile disponibilità del prof. Cesare Lucarini, di poter ammirare gli interni dello storico Palazzo Ottaviani-Pompei ubicato lungo via Porta Reale a Scurcola Marsicana. Un edificio imponente e massiccio che ha sempre attirato la mia attenzione per via del grande e affascinante portone di legno borchiato, per via delle corpose mura esterne, per via delle innumerevoli finestre che sfilano davanti a chiunque ammiri il panorama di Scurcola. E da diversi anni ad incuriosirmi c'è anche una meridiana disegnata alla destra dell'ingresso principale, opera dello stesso Cesare Lucarini, esperto e appassionato conoscitore di questi antichi strumenti di misurazione del tempo. 

Scale di accesso agli appartamenti e data 1750 leggibile all'ingresso

La famiglia Ottaviani, alla quale si imputa la costruzione del Palazzo, ha goduto di enorme prestigio a Scurcola, soprattutto durante il Settecento. Sembra che abbiano acquisito ricchezze e potere soprattutto grazie al commercio del bestiame. Facendo una piccola ricerca, ho rilevato che il cognome Ottaviani apparteneva a un'antica e potente famiglia laziale (detta anche Crescenzi Ottaviani), annoverata fra le famiglie baronali romane, tanto che nei primi anni dell'anno 1000 un certo Giovanni dei Crescenzi Ottaviani era Conte di Sabina. Ovviamente non sappiamo se gli Ottaviani di Scurcola Marsicana possano discendere o avere qualche legame con gli Ottaviani della Sabina. La famiglia Pompei è subentrata in tempi molto più recenti. 

Le condizioni del Palazzo nel 2004 (foto Nazzareno Falcone)

Il professor Lucarini, attuale proprietario di buona parte di Palazzo Ottaviani-Pompei, ha acquisito l'edificio nel 2004 e, nel corso degli anni, con estrema pazienza, grande entusiasmo, oltre al profondo rispetto di quanto era stato realizzato nei secoli passati e, va detto, anche un imponente investimento economico, è riuscito a restituire allo storico palazzo scurcolano la dignità, la bellezza e la cura che, nei decenni passati, nessuno aveva dimostrato. Palazzo Ottaviani-Pompei era ridotto in condizioni pessime: erbacce che infestavano numerosi spazi, pavimenti quasi sgretolati, soffitti da rimettere in sesto e tanto, tanto lavoro da fare. Con il supporto di diversi amici e qualche collaboratore, Cesare Lucarini è riuscito a rendere di nuovo bellissimo e abitabile il possente stabile scurcolano

Dettagli: pavimento, arcata e soffitto in legno oggi

Essere accompagnata dallo stesso proprietario attraverso le stanze, il giardino, le scale; muoversi tra pavimenti d'epoca e soffitti di legno antico; scoprire la preziosa lapide d'epoca romana che avevo visto solo sui libri; osservare le ombre, i silenzi e i colori di un grande palazzo recuperato con il rispetto che merita e ascoltare il racconto di Cesare Lucarini che, anno dopo anno, si è impegnato in un'opera imponente e importantissima è stata per me un'esperienza straordinaria. Il mio angolo preferito è la piccola corte nella quale si trova il pozzo collegato a una cisterna nella quale confluiscono le acque piovane. Mi è sembrato che lì, in quel piccolo spazio in cui si trova anche un lavatoio e una rampa di scale all'aperto, siano passate centinaia di esistenze e di fatiche e di sospiri e di sorrisi e di umanissime passioni: sensazioni personali e, proprio per questo, quasi inspiegabili. 

Ingresso al cortile, pozzo e meridiana di Cesare Lucarini

Il buon gusto, la creatività, la pazienza e l'attenzione di Lucarini hanno consentito di riportare la sua porzione di Palazzo Ottaviani-Pompei in condizioni ottimali. La porzione che manca, quella affidata ai Pompei, purtroppo, rimane all'incuria e all'abbandono pressoché totale. Alla gioia generata dai risultati ottenuti grazie all'immane lavoro di Cesare Lucarini si affianca l'amarezza di vedere una parte del palazzo degradare lentamente e inesorabilmente. Non so come o chi possa indurre i proprietari dell'altra ala dell'edificio a intervenire per sistemare ciò che è di loro pertinenza, ma sarebbe importante che ciò avvenisse affinché non vada perduto per sempre uno dei più bei palazzi del centro storico di Scurcola

L'antica iscrizione funeraria romana murata nel giardino del Palazzo

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Ringrazio Enzo Colucci che, con la sua immancabile disponibilità, ha accolto la mia richiesta di poter essere messa in contatto col proprietario di quello che per parecchio tempo ho chiamato semplicemente il "Palazzo della Meridiana". Ovviamente devo immensa riconoscenza al professor Cesare Lucarini per avermi accolta con gentilezza, ospitalità e generosità nel suo meraviglioso Palazzo. Da scurcolana lo ringrazio con tutto il cuore per aver restituito vita e splendore a un edificio storico che, senza il suo intervento provvidenziale, Scurcola probabilmente avrebbe perso come è già accaduto per Palazzo Bontempi.

martedì 11 agosto 2020

La dote di Angelina


Lei è Angela Colucci, per gli scurcolani semplicemente Angelina. Era nata nel 1908 a Scurcola, figlia di Fausto Colucci e Maddalena Falcone. Nel 1937 Angelina sposa Luigi Falcone, figlio di Agostino Falcone e Rubiconda Bucceri. Grazie alla cortesia e alla disponibilità di Gianna Falcone, figlia di Angelina e Luigino, ho potuto vedere, sfogliare e leggere il documento originale del 1937 che raccoglie la dote di Angelina. Per "dote" si deve intendere l'insieme dei beni, degli oggetti e delle proprietà che Faustino Colucci consegnava a sua figlia in prossimità delle nozze e che sarebbero stati conferiti automaticamente al marito

Rosa (Rosina) Nuccetelli con Angelina Colucci primi anni '50

La preparazione di una "dote" per le donne in procinto di sposarsi ha radici molto antiche, basti pensare che l'uso di assegnare una dote a una sposa era sancito già nel diritto romano e serviva sia a fornire un indennizzo alla donna che, nel momento in cui lasciava la famiglia d'origine, perdeva il diritto all'eredità paterna, sia a dare un contributo alle spese per il matrimonio stesso. Durante il Medioevo, l'allestimento della "dote" era stato formalizzato ed era divenuto obbligatorio. Nel nostro Paese questo istituto è sopravvissuto fino al 1975 ma poi, con la riforma del Diritto di Famiglia, è stato vietato

La dote di Angelina (pagina 1)

A Scurcola, così come nella maggior parte dei paesi contadini italiani, la "dote" era costituita spesso da una cassapanca all'interno della quale veniva sistemato il corredo (lenzuola, camicie, biancheria, tovaglie, ecc.) ma la "dote" era composta anche da mobili o suppellettili vari necessari all'allestimento della camera da letto, della cucina o della casa, in generale. Solitamente la "dote" era sempre proporzionata allo status sociale della sposa, la sua entità rappresentava, agli occhi degli altri, il simbolo del prestigio della famiglia di provenienza della sposa

La dote di Angelina (pagina 2)

La "dote" di Angelina, come si legge chiaramente dal bellissimo documento che Gianna ha conservato, era costituita da una discreta quantità di biancheria e di altri oggetti accanto ai quali, esattamente come per un contratto, viene indicato il corrispettivo valore in denaro. Lenzuola 20 a 50 lire sono 1000 lire; federe 50 a lire 10 sono 500 lire; asciugamani 30 a lire 8 sono 240 lire e così via. Tra gli oggetti indicati nell'elenco ci sono anche camicie da donna e camicie da uomo, mutande da donna e mutande da uomo oltre a tovaglioli, "spare" (ossia canovacci), vestiti, vestaglie, calze, maglie, copertine, scarpe. Sono anche presenti mobili e oggetti per la casa: il letto, il comò, la cassa, l'immancabile conca. Per finire un interessante servizio da tè e una "rovescina" (parte rimboccata del lenzuolo superiore, quando il letto è rifatto). Il tutto per un ammontare pari a 8424 lire

Angelina e Luigino

L'atto che formalizza l'assegnazione della "dote" ad Angelina da parte di suo padre Faustino viene sottoscritto e accettato dagli sposi in data 7 Dicembre 1937, XVI anno dell'era fascista, come si scriveva solitamente durante il Ventennio fascista.

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Ringrazio molto Gianna Falcone che ha voluto conoscermi e ha fatto in modo che vedessi alcune foto della sua famiglia e, soprattutto, la dote di Angelina.

venerdì 7 agosto 2020

Francesco di Giorgio Martini e la Rocca Orsini di Scurcola Marsicana


Sulla Rocca Orsini di Scurcola Marsicana è stato scritto e pubblicato molto grazie alle numerose ricerche realizzate negli anni da esperti, architetti e storici. Il mio intento è quello di soffermarmi sulla figura di Francesco di Giorgio Martini (Siena, 1439-1501) a cui è stata attribuita la progettazione e la realizzazione dell'ultimo stadio edificatorio della nostra Rocca. Il fatto che questo maniero si trovi esattamente dov'è non è un caso: da quel punto è possibile sorvegliare sia l'ingresso della Valle del Salto, sia l'accesso lungo il fiume Imele verso i Piani Palentini. Come è stato spiegato in più circostanze, la Rocca Orsini di Scurcola Marsicana è una sorta di libro di pietra aperto sul passato poiché, dai rilievi effettuati, si capisce perfettamente l'evoluzione architettonica che ha essa subito nei secoli

Il torrione della Rocca Orsini in una vecchia cartolina (1933)

Il nucleo più antico della Rocca risale al Duecento, epoca Normanna-Sveva, ed è rappresentato da una torre pentagonale realizzata dai De Pontibus, potente famiglia feudataria locale. L'esistenza di questo primo manufatto era attestata già al tempo della battaglia del 1268 fra Carlo I d'Angiò e Corradino di Svevia. Scrive Loretta Salciccia: "La torre pentagonale, di base inizialmente quadrata, ha un'origine probabilmente romana, costituisce quindi il nucleo iniziale di questa architettura difensiva divenuta in sequenza castello-recinto e poi rocca rinascimentale". Il passaggio dal castello-recinto a rocca rinascimentale risale all'ultima parte del XV secolo e avviene per opera di Gentile Virginio Orsini, conte di Albe e Tagliacozzo e signore di Bracciano. Ed è proprio nella fase rinascimentale che entra in gioco Francesco di Giorgio Martini

Ritratto di Francesco di Giorgio Martini

Stiamo parlando di uno degli architetti più importanti del Quattrocento. Famoso per le sue teorie ingegneristiche, ma anche per essere stato un ottimo pittore, scultore e medaglista. Le sue prime esperienze nel campo della progettazione si possono far risalire intorno agli anni 1475-1476 quando si trasferì a Urbino, presso la corte di Federico da Montefeltro. Le opere di cui si è occupato nel corso della sua carriera sono numerose, tra queste: la Rocca di Mondavio, il Castello Dentice di Frasso di Carovigno (con torre a mandorla), le Mura di Jesi, l'ampliamento delle Mura di Corinaldo, la Fortificazione di Costacciaro. Francesco di Giorgio è considerato uno dei fondatori dell'arte fortificatoria "alla moderna", basti pensare che una copia del suo "Trattato di architettura civile e militare" (1470) è stata studiata e commentata persino da Leonardo da Vinci e oggi si trova presso la Biblioteca Medicea Laurenziana a Firenze

Rocca di Ostia

Non tutte le opere di Francesco di Giorgio Martini sono state documentate, molti lavori e molti progetti sono stati a lui solo attribuiti. È questo il caso della Rocca Orsini di Scurcola che, per l'appunto, è attribuita al famoso e prestigioso architetto senese. Il primo studioso a riconoscere nella nostra Rocca un evidente legame con lo stile di Francesco di Giorgio è stato il professor Adriano Ghisetti Giaravina già alla metà degli anni Ottanta. In un saggio, Ghisetti Giaravina spiega che, secondo i suoi studi e i suoi riscontri, Francesco di Giorgio Martini avrebbe potuto essere presente a Scurcola nel 1488 per la progettazione e la realizzazione della Rocca. Così si legge nel testo di Ghisetti Giaravina: "Ed è soprattutto questa rocca di Scurcola a rappresentare un evidente esempio dei suggerimenti forniti da Francesco di Giorgio a Gentile Virginio Orsini. Solo tra gli aggiornati e innovativi schemi difensivi di Francesco è possibile infatti collocare la sua particolare concezione: alla pianta triangolare, che può ricordare quella della rocca di Ostia, è innestato su un vertice un possente torrione a pianta ovale dotato di bocche da fuoco per il tiro di fiancheggiamento delle cortine. Tale struttura difensiva rimanda a soluzioni difensive già sperimentate dal Senese a Mondavio, appena due anni prima, e a Cagli nella prima metà degli anni Ottanta del XV secolo, ma anche ad esempi descritti e illustrati nel Codice Magliabechiano di Firenze, dove Francesco, a proposito degli impianti planimetrici da preferirsi per le rocche, scrive "intra le altre figure assai mi piace la triangolare". A Scurcola sembra in definitiva potersi scorgere un'applicazione della grande intuizione del maestro senese che le mura delle fortificazioni dovessero resistere grazie alla forma, piuttosto che allo spessore". 

Lato posteriore della Rocca Orsini

L'aspetto che la Rocca Orsini possiede attualmente è stato pensato e progettato da Francesco di Giorgio Martini per volontà di Gentile Virginio Orsini a cui l'architetto e artista senese presentò idee anche per la Rocca di Bracciano e per il Castello di Campagnano. Ancora la dottoressa Salciccia: "Il linguaggio architettonico del fortilizio è profondamente legato ai dettami riportati da Francesco di Giorgio nei suoi trattati di architettura; la pianta antropomorfa e triangolare, che offriva un lato in meno agli assedianti, la difesa radente esercitata dalle casematte, le proporzioni della piccola rocca, il bastione semiovato che di fatto sostituisce il puntone medioevale, i camini posti all'interno delle casematte, inoltre il camminamento di ronda è ininterrotto per l'intero perimetro, consentendo rapidi spostamenti anche se formalmente le torri apparivano più alte delle cortine".

La Rocca Orsini che domina il borgo di Scurcola Marsicana

Gli elementi che permettono di attribuire la fase edificatoria rinascimentale della Rocca Orsini di Scurcola ai progetti del famoso Francesco di Giorgio Martini sono diversi e anche ottimamente sottolineati dagli esperti. La Rocca, come è evidente, è una delle strutture militari antiche più prestigiose esistenti nella Marsica. Essa rappresenta una preziosa testimonianza della storia architettonica e difensiva del nostro territorio e non solo. C'è solo un unico, grave, amarissimo dettaglio: nonostante sia in atto da tantissimi anni un progetto di recupero e di restauro, la Rocca, a oggi, non è ancora aperta al pubblico. Il mio personale desiderio, comune a tutti gli scurcolani e a tutte le persone che vengono a visitare Scurcola, è quello di poter finalmente visitare la Rocca. E spero che ciò possa avvenire in tempi rapidi visto che i tempi ragionevoli si sono esauriti da un pezzo



Bibliografia 

L. Salciccia, "La Rocca Orsini di Scurcola Marsicana. Note e studi su un monumento del Rinascimento italiano", Carsa Edizioni, Pescara, 2006.
A. Ghisetti Giaravina, "1491: Luca Fancelli e Francesco di Giorgio a Napoli e in Abruzzo" in "Opus. Quaderno di Storia dell'Architettura e Restauro - 10/2009", Carsa Edizioni, Pescara, 2012.

martedì 4 agosto 2020

Via della Stazione


Credo sia superfluo far presente che Via della Stazione, a Scurcola Marsicana, esiste solo e soltanto da quando è stata realizzata la linea ferroviaria che collega Roma con Pescara. Invece vale la pena ricordare che il tratto ferroviario che passa anche per Scurcola venne attivato nel 1888, esattamente il 28 luglio 1888. Una delle prime fotografie in cui è possibile rilevare l'esistenza di Via della Stazione risale ai primi del Novecento. Si tratta di uno scatto realizzato da Vittorio Bontempi, presumibilmente da una delle finestre del palazzo di famiglia, nella parte alta del paese. L'immagine mostra una strada bianca, sterrata e dritta, che taglia la campagna di Scurcola, fino a raggiungere l'edificio della stazione

Via della Stazione in una foto dei primi del Novecento

Ad attestare la realizzazione di una strada che fosse in grado di mettere in comunicazione il paese con la stazione ferroviaria, c'è anche la bella, e purtroppo trascurata, pietra posta all'inizio di Via della Stazione sulla quale sono incisi e scritti l'anno di realizzazione (1889), la distanza (M 1153) e la destinazione finale (ALLA STAZIONE). Purtroppo il cippo rimane nascosto in un angolo, piantato nell'asfalto, tra i pali di altra segnaletica verticale e con iscrizioni ormai quasi del tutto scolorite

Il cippo in pietra all'inizio di Via della Stazione

Lungo il tragitto che va dalla Stazione Ferroviaria di Scurcola al paese, per molti anni, si sono mossi dei vetturini prima e dei tassisti poi. C'erano infatti degli scurcolani che avevano iniziato a servire clienti che avevano bisogno di raggiungere Scurcola una volta scesi dal treno oppure di percorrere il tragitto inverso per tornare in Stazione. Tra questi, il primo ad avere una carrozza che utilizzava per condurre le persone dalla Stazione a Scurcola e viceversa, fu un certo Antonio Damia, vetturino. C'era poi anche Andrea Damia che, invece, si serviva di una biga

Una vecchia foto di Via della Stazione

Successivamente, quando iniziò a diffondersi l'utilizzo delle automobili, in tempi più recenti, venne istituito un vero e proprio servizio taxi. Tra le persone che offrivano tale prestazione c'erano Amedeo Damia, Amilcare Romano, Antonio e Rosina Damia (figli di Amedeo), Enrico e Spartaco Silvestri. Col tempo, ovviamente, i taxi da e per la Stazione di Scurcola non furono più necessari perché in tanti riuscirono ad acquistare e guidare un'automobile propria. Oggi i treni che fermano a Scurcola sono pochissimi e la Stazione stessa appare sempre più spoglia e vuota. Un tempo c'era un delizioso giardinetto: eliminato. C'era anche un grande albero nei pressi della fontanella: eliminato. La graziosa stazione di Scurcola è stata trasformata, negli ultimi anni, in un luogo inospitale e sterile.

Il filosofo Antonio Rocco tra “Le Glorie degli Incogniti” (1647)

Siamo nella Venezia del Seicento, la città più cosmopolita della penisola. Giovanni Francesco Loredan ha solo 27 anni quando, da giovane no...