sabato 25 giugno 2022

La curiosa vicenda del puteale marmoreo di Giuseppe Barnaba


Di recente ho fatto visita ad Aulo Colucci il quale, come già accaduto in passato, mi ha fatto dono di una serie di interessanti documenti relativi alla storia di Scurcola, documenti che lui stesso ha raccolto nei passati decenni. Tra il materiale di Aulo ho rintracciato la copia di atti facenti capo alla Regia Soprintendenza alle Gallerie e ai Musei medievali e moderni per le province di Roma e dell'Abruzzo. Il primo documento è datato 30 Novembre 1913, oggetto: "Campi Palentini (territorio di Scurcola Marsicana) - Puteale marmoreo". Al suo interno si fa riferimento alla notizia che tra i ruderi dell'antica Abbazia cistercense di Santa Maria della Vittoria sarebbe stato ritrovato un importante resto marmoreo rappresentato da "un puteale in pietra granitica".

Il puteale, secondo la definizione che fornisce la Treccani, è un termine "usato, dagli storici dell'arte, soprattutto per indicare il parapetto, per lo più di marmo, rotondo o poligonale, che, con il diffondersi dei pozzi al centro di cortili, palazzi e chiostri, assume forme sempre più eleganti e complesse, con decorazioni a motivi architettonici e rilievi scolpiti, fino al sec. 16°, quando il suo uso si dirada per il prevalere delle fontane". Dal documento del 1913 si traggono alcune caratteristiche del puteale rinvenuto: "leggera inclinazione a tronco di cono, alto cm. 48 ed avente nell'alto un diametro di luce interna di cm. 39 e un diametro totale di cm. 60. Figure di guerrieri e altre forse di uomini che attendono a lavori campestri sono scolpite all'ingiro: cattivo è lo stato di conservazione". Il soprintendente che firma il documento, Federico Hermanin, ritiene che l'opera possa essere contemporanea alla costruzione dell'Abbazia, quindi risalire alla fine del XIII secolo, e propone di spostare il puteale presso il museo di Castel Sant'Angelo a Roma.

La "questione" del puteale rintracciato a Scurcola procede anche nell'anno successivo. In un altro documento del 2 marzo 1914 Hermanin invia al Ministero quanto segnalato dal Regio Ispettore Onorario di Avezzano il quale ha incontrato i fratelli Di Clemente, proprietari dei terreni su cui sorgeva l'antica Abbazia eretta per volontà di Carlo I d'Angiò. Le dichiarazioni dei Di Clemente sono eloquenti: "essi non hanno né pretendono affacciare nessuna ragione di proprietà sul predetto puteale perché questo non è stato rinvenuto nel loro fondo (ove in realtà nessuno scavo è stato eseguito) ma vi fu portato mesi addietro da un certo Giuseppe Barnaba, della vicina Scurcola Marsicana, persona alquanto sospetta in queste materie perché in corrispondenza con invettatori di anticaglie". Il soprintendente, comunque, continua a ritenere l'oggetto "di notevole interesse artistico" tanto che, il 24 marzo del 1914, viene disposto di darne comunicazione a Giuseppe Barnaba e di fare in modo che il puteale venga conservato presso la casa comunale di Scurcola Marsicana. Il 26 marzo 1914, con un atto vergato a mano, si autorizza a trattare con Giuseppe Barnaba per l'acquisto del puteale "per una somma inferiore alla richiesta di lire cinquecento" e si specifica anche che "Se il Barnaba non vorrà acconsentire ad una riduzione di tale somma dovrà al più presto provvedere al ritiro del puteale in un luogo nel quale sia preservato dalle intemperie".

Puteale marmoreo (Gabinetto Fotografico Nazionale)

Fin qui la storia attestata dai documenti, poi subentra un altro racconto, quello che ci ha lasciato Ennio Giuseppe Colucci, detto Peppino. Tra le pagine de "I miei ricordi" [1], infatti, Peppino Colucci richiama la figura di Giuseppe Barnaba, meglio noto a Scurcola come don Peppe Barnaba, personaggio scurcolano qui descritto come "un pittore, uno scultore, un musicista, ma soprattutto uno spirito bizzarro". Secondo quanto ci ha trasmesso Colucci, don Peppe Barnaba aveva provato a vendere il suo puteale a colui che diventerà il futuro re d'Italia, Vittorio Emanuele III, durante una visita di quest'ultimo presso i ruderi dell'Abbazia a fine Ottocento. Il soprintendente, però, non si fidava affatto di Barnaba. Scrive Ennio Giuseppe Colucci: "Le pietre erano state scolpite dal Barnaba stesso nel suo orto presso la scuola [si tratta della scuola sotto l'Arco Ansini, NdR]; e per dare ad esse una certa patina di antichità, finita la scuola, chiamava gli scolari a fare sulle pietre la pipì".

I dubbi sul puteale marmoreo sono molti e resteranno, temo, insoluti. Che fine ha fatto questo oggetto? Venne rinvenuto veramente dal Barnaba oppure fu un falso storico che lui tentò di far passare come autentico? Sarà mai stato portato presso la casa comunale? È possibile che i tecnici della Soprintendenza siano stati così sprovveduti da ritenere di grande valore storico e artistico un oggetto creato ad arte da uno scurcolano? Di certo la figura di Peppe Barnaba è piuttosto ambigua e mi spiace che di lui, oggi, a Scurcola, nessuno sappia più molto.



Note:
[1] Ennio Giuseppe Colucci, I miei ricordi, in Questa Marsica a cura di Romolo Liberale, Edizioni dell'Urbe, Roma, 1981, pp. 39-50.


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