Sciabbaco: non avevo mai sentito questa parola del dialetto scurcolano prima di qualche giorno fa. Si pronuncia sciàbbaco, con l'accento sulla prima "a". Ad insegnarmi il significato di sciabbaco è stato Impero Rossi che, in questo modo, ha arricchito il mio patrimonio di conoscenze scurcolane che, come sempre, mi piace condividere su "Scurcola Marsicana Blog". La versione in lingua italiana di sciabbaco è sciabica (o sciabeca), un termine che deriva dal termine spagnolo jábega, a sua volta derivato dall'arabo ispanico šábk che a sua volta proviene dalla lingua araba classica šabakah. La sciabica consiste in un'antica tipologia di rete da pesca a strascico. Lo sciabbaco o sciabica si usa solitamente in fondali bassi per pescare piccoli pesci e funziona in maniera del tutto manuale.
Impero Rossi mi mostra il suo vecchio sciabbaco |
Oltre a spiegarmi cosa fosse "glio sciabbaco", Impero mi ha permesso di vederne uno. Il suo sciabbaco, quello che usava da ragazzino, negli anni Cinquanta. Stiamo parlando di un attrezzo che a Scurcola, negli scorsi decenni, veniva adoperato da diverse persone per pescare e, come mi ha spiegato Impero, si trattava di una pratica abbastanza diffusa tra gli scurcolani perché consentiva di poter mettere a tavola, di tanto in tanto, un po' di pesce. Si parla di periodi in cui non esistevano le pescherie, non c'erano i surgelati e l'unica persona che, di tanto in tanto, passava a Scurcola a vendere qualche pescetto era Giovannina che veniva da Capistrello.
Il fiume Imele oggi dal ponte dei "Colli" |
Impero, come Gastone (il macellaio) o Giovanni Rossi (detto Rufione) o tanti altri ancora, era solito usare lo sciabbaco lungo il nostro "canale", ossia il fiume Imele. L'utilizzo dello sciabbaco, come detto, avviene in maniera totalmente manuale. Serviva immergersi al centro del fiume e sorreggere i sostegni circolari di legno leggero che circondano la parte alta della rete, immersa controcorrente e posizionata verso i margini del fiume. Solitamente con i piedi sottacqua si tentava di spaventare i pesci e di indirizzarli verso lo sciabbaco. Cosa si pescava nell'Imele? In genere piccoli pesci: barbi, cavedani, spinarelli e, come racconta Impero, tantissimi gamberi di fiume e molte rane. Qualche volta capitava anche di pescare piccoli serpenti d'acqua dolce o qualche sorcetto. Tra i materiali del fondale, invece, scavando con le mani, si potevano raccogliere quelle che a Scurcola chiamano "cucchie" ossia cozze d'acqua dolce.
Il fiume Imele oggi da "Ponte Giacchino" |
In tanti riportavano a casa, dalle mogli o dalle madri, quei piccoli pesci o i gamberi o le rane pescati nel fiume, che poi venivano fritti o cucinati in tegame o sotto "glio coppo". Le "cucchie", mi è stato spiegato da Impero e da Zeno (Nazzareno Falcone), non venivano mangiate quasi mai. Solitamente venivano vendute o cedute a chi veniva da fuori a cercarle. Qualcuno, come Rufione, era solito vendere il suo pescato (rane comprese) ai compaesani, passando casa per casa. Non mi sembra che oggi, a Scurcola, qualcuno osi ancora pescare lungo il fiume. Tra l'altro esistono normative ben precise che regolamentano la pesca d'acqua dolce, prescrivendo permessi e limiti, ma, in generale, temo che le acque dell'Imele non siano più nelle condizioni di poter consentire una pesca con lo sciabbaco, come avveniva un tempo.
E sai il soprannome di Giovanni Rossi? Jo sergente
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