venerdì 25 giugno 2021

Anno scolastico 1862/1863, quando a Scurcola c'erano 206 alunni


La bellissima fotografia d'epoca che apre questo post mostra una scolaresca immortalata ai piedi del vecchio edificio scolastico di Scurcola che, come ho scritto in un precedente post, fu edificato a partire dal 1921 e inaugurato ufficialmente l'8 dicembre del 1923. Purtroppo non so dire con esattezza a che anno risalga l'immagine, forse è degli anni Trenta o Quaranta. Ci sono bambini e bambine di Scurcola e, al centro, un maestro dall'aspetto severo, con baffi e cappello. Ho deciso di ispirarmi a questa bellissima fotografia per riportare alcuni dati storici, che a me paiono interessanti, relativi alla "popolazione scolastica" di Scurcola risalenti a circa 160 anni fa.

Frontespizio del documento statistico

Ho rintracciato un documento statistico del Regno d'Italia relativo all'anno scolastico 1862/1863 [1] all'interno del quale sono raccolti, Comune per Comune, le informazioni essenziali delle scuole del tempo. Ovviamente mi sono soffermata sui numeri relativi a Scurcola e, come si può rilevare, all'epoca (siamo agli esordi del Regno d'Italia la cui nascita fu ufficializzata solo nel 1861, pochi mesi più tardi rispetto all'Eccidio di Scurcola), nel nostro paese sono presenti due scuole: una maschile e una femminile. Il dato che mi ha sconvolto, se raffrontato a oggi, è il numero impressionante di alunni: "totale 206". Di questi 86 sono maschi e 120 femmine, una delle quantità più elevate della zona.

I dati relativi a Scurcola

Le femmine, nelle scuole di Scurcola, a metà Ottocento, sono più numerose dei maschi. Un dato che dice molto. Dice che, probabilmente, la maggior parte delle bambine di Scurcola furono alfabetizzate al pari dei loro compagni maschi, dettaglio che non va trascurato, considerato che all'epoca l'analfabetismo era molto diffuso. Dice che nel nostro paese l'istruzione elementare ha avuto uno sviluppo importante già nell'Ottocento, anche grazie al prezioso ruolo svolto dalle Maestre Pie Filippini, presenti a Scurcola già dalla fine del Settecento con la loro scuola sotto l'Arco Ansini. Sempre secondo il documento in esame, nel 1862/1863, gli insegnanti erano quattro. Questo sta a significare che ogni maestro o maestra poteva avere nella propria classe, in media, intorno ai 40 alunni.

Maestre Pie Filippini (anni Trenta)
Suor Maria, Suor Anna Spalla, Suor Eulalia Gennari

Il confronto con il numero degli allievi che attualmente frequentano la scuola elementare (o primaria, come si dice oggi) è impietoso. Scurcola ha perso tantissimi bambini, quindi ha perso famiglie, quindi ha perso popolazione, quindi sta mettendo a rischio la sua sopravvivenza. Lo spopolamento del nostro paese è un tema che ho già affrontato almeno in un altro paio di post ("Scurcola Marsicana: un borgo in vendita" e "Quanti bambini c'erano a Scurcola?") perché credo sia una delle problematiche più serie e allarmanti che coinvolgono Scurcola e che vadano affrontate tempestivamente in maniera seria ed efficace.



Note.
[1] Statistica del Regno d'Italia. Istruzione d'Italia - Istruzione elementare pubblica per Comuni - Anno scolastico 1862-1863, Modena, Tipografia di Antonio ed Angelo Cappelli, 1865.

domenica 20 giugno 2021

Miani Bartolomeo Fece 1526. Un'antica iscrizione a Scurcola Marsicana


Girovagando per il centro storico di Scurcola, come ormai faccio da anni, mi è capitato di notare un bellissimo portale che si trova su via Diaz e che forse, come mi capita di rilevare sovente, in pochi conoscono. Va specificato che l'affascinante strada del borgo di cui sto parlando parte da via Colonna, dietro al campanile della Chiesa della SS. Trinità, e si inerpica fino alla parte più alta, sbucando, dopo pochi gradini di pietra, su via Oberdan. Ebbene, proprio al numero 27 di via Diaz, è collocato un edificio che, in passato, venne immortalato in una nota fotografia scattata poco dopo il terremoto del 1904 che, come ho già scritto, molti danni e nessuna vittima fece a Scurcola. 

Il portale di via Diaz dopo il terremoto del 1904

Al di sotto di una tettoia piuttosto malmessa e salendo qualche alto gradino in pietra, è collocato un portale molto bello e molto prezioso. Mi hanno colpito i suoi fregi, la sua raffinatezza ma, soprattutto, mi ha colpito l'iscrizione che si può leggere ancora con nitidezza: "MIANI BARTOLOMEO FECE 1526". La solita e innata curiosità mi ha indotto a chiedere informazioni e a trovare qualche spiegazione in merito, ma non sono riuscita a individuare nulla che possa fare chiarezza su un tal Bartolomeo Miani che, nel corso del XVI secolo, a Scurcola, fece realizzare questo portale che, vale la pena sottolineare, ha circa cinquecento anni.

Data 1526 riconoscile sotto la vernice

Il cognome Miani, per quanto mi è stato possibile capire, storicamente, è del tutto estraneo al nostro paese. Potrebbe trattarsi di un forestiero? Potrebbe trattarsi di una famiglia ormai estinta? Quel che è certo è che, oltre al nome, sul portale di via Diaz è incisa anche una data precisa: 1526. Oggi è un po' difficile notarla poiché coperta dalla vernice usata per tracciare il numero civico 27 ma, con un minimo di attenzione, l'anno 1526 si può chiaramente individuare.

Alcuni preziosi dettagli del portale

Siamo di fronte a uno dei portali più singolari di Scurcola. Oltre, naturalmente, a uno dei manufatti meno studiati e meno considerati del centro storico. Negli anni, come si può notare anche dalle foto, il bel portale Miani è stato sporcato da svariate tinteggiature che lo hanno parzialmente imbrattato ed è stato persino forato per aggiungere ganci di sostegno (probabilmente per installare una tenda). 

Il portale oggi

Inoltre bisogna rilevare che, dopo la ricostruzione post-terremoto, sul muretto che delimita il pianerottolo è stata aggiunta una pietra finemente lavorata ancora ben visibile: ulteriore preziosa decorazione che rende questo angolo di Scurcola ancora più interessante. Non so se sarà mai possibile, ma per il bene di Scurcola e per la valorizzazione del suo patrimonio artistico e storico, sarebbe importante poter ristrutturare e ripulire questo antico e splendido portale.

martedì 15 giugno 2021

Sant'Egidio: dipinto scurcolano di Luigi Giannantoni (1868)


Il nome del pittore tagliacozzano Luigi Giannantoni (o Giannantonj) non è nuovo all'interno di "Scurcola Marsicana Blog". Qualche tempo fa, infatti, ho citato il bravo artista marsicano descrivendo il quadro di Santa Anatolia, custodito all'interno di una delle cappelle della Chiesa di Maria SS della Vittoria, da lui realizzato e firmato nel 1855. Forse non tutti sanno che a Scurcola esistono anche altre opere dipinte da Giannantoni e, tra di esse, ho scelto, in questo frangente, di soffermarmi sul ritratto di Sant'Egidio, conservato presso l'omonima chiesa scurcolana che si trova all'ingresso del paese, lungo la Via Tiburtina Valeria.

Chiesa di Sant'Egidio (XI sec.)

Va detto che ciò che resta della Chiesa di Sant'Egidio è solo una minima parte di ciò che fu l'edificio sacro originario, uno tra i più antichi di Scurcola e della Marsica, visto che risale, con ottime probabilità, all'XI secolo. La sua fondazione si deve all'ordine dei Benedettini che utilizzò per alcuni secoli l'originaria costruzione sia in funzione di Chiesa, sia come luogo di ricovero e di sosta per i pellegrini che si muovevano lungo l'antico tracciato della via Valeria. Delle origini e della storia della piccola chiesa di Sant'Egidio parlerò prossimamente, ora vorrei tornare alla tela dipinta da Luigi Giannantoni.

Altare cinquecentesco con tela di S. Egidio

Il ritratto di Sant'Egidio è accolto presso l'altare laterale di sinistra, un altare realizzato in pietra che dovrebbe risalire al Cinquecento ed è quasi gemello di quello di San Luca, collocato sulla parete opposta. Nel dipinto di Luigi Giannantoni (o Giannantonj, come lui stesso si firma), Sant'Egidio è ritratto secondo i canoni dell'iconografia classica: un uomo anziano con la barba bianca accanto al quale si nota la presenza di una cerva. Secondo la Legenda Aurea, Egidio, vissuto forse tra il VII e l'VIII secolo, era giunto da Atene e si era stabilito nel sud della Francia. Decise di vivere da eremita presso la foce del Rodano. La sua vita era scandita dalla preghiera e dai digiuni: il Santo si nutriva solo di erbe e di frutti selvatici dormendo sulla nuda terra. Dio, al cospetto della grande prova di fede e del sacrificio di Egidio, volle inviargli una cerva affinché gli donasse latte ogni giorno: ecco spiegata la ragione per cui anche Giannantoni ha incluso nell'opera scurcolana la figura di una cerva.

Dettagli: pastorale e mitra

Meno chiaro, invece, è il senso del pastorale, ossia del bastone dall'estremità ricurva usato dal vescovo nei pontificali e nelle cerimonie più solenni. Così come poco chiara è la presenza, in questo dipinto, della mitra, ossia del copricapo che, sempre secondo i dettami della Chiesa Cattolica, rappresenta lo splendore della santità, della dignità e dell'autorità del Vescovo. Sant'Egidio non è mai stato Vescovo, eppure qui si associano al Santo elementi tipici della figura episcopale ossia il pastorale, sorretto con la mano destra, e la mitra che viene presentata da un angelo che si trova ai piedi di Sant'Egidio. Non possiamo affermare che Luigi Giannantoni si sia sbagliato ma che, probabilmente, si sia solo limitato a seguire una tradizione pittorica antecedente che vedeva il Santo ritratto spesso in abito pontificale con tanto di pastoralemitra

Chiesa abbaziale di Saint-Gilles du Gard

Come detto, Sant'Egidio non fu mai Vescovo ma più semplicemente Abate di un monastero benedettino nei pressi di Arles che, dopo la sua morte (avvenuta intorno all'anno 720), prese il suo nome: "Abbazia di Saint-Gilles du Gard" (Egidio in francese è Gilles). La figura sacra di Egidio (festeggiata il 1° di settembre) è inclusa tra quelle dei cosiddetti "Santi ausiliatori". I benedettini che, nell'XI secolo, fondarono la Chiesa di Sant'Egidio a Scurcola vollero forse omaggiare una delle figure più significative del loro ordine. Solitamente Sant'Egidio è invocato per essere liberati dal delirio della febbre, dalla paura e dalla follia. Egli è considerato il santo che assicura l'assoluzione: a lui ci si confessa con fiducia.

giovedì 10 giugno 2021

Il campo della Battaglia dei Piani Palentini in una litografia del 1860


Qualche tempo fa, ispirandomi alla toponomastica del borgo di Scurcola, mi sono soffermata sui nomi dei protagonisti della celebre Battaglia dei Piani Palentini che si svolse a poca distanza da Scurcola il 23 agosto 1268. Di recente, durante le mie solite ricerche, ho avuto modo di rintracciare un'opera spagnola del 1860 realizzata da uno scrittore militare che risponde al nome di Mariano Pérez de Castro. Il titolo del volume è "Atlas de las batallas, combates y sitios mas célebres de la antigüedad, edad media y tiempos modernos Acompañado del texto esplicativo, en español y en frances" ossia "Atlante delle battaglie, dei combattimenti e dei siti più famosi dell'antichità, del Medioevo e dei tempi moderni Accompagnato dal testo esplicativo, in spagnolo e in francese". [1]

Ritratto di Mariano Pérez de Castro

All'interno di questo interessante libro, tra le battaglie più rilevanti del Medioevo, è descritta anche la "nostra" Battaglia che l'autore denomina, forse più correttamente di quanto facciamo oggi, "Batalla de Scurcola" (in spagnolo) o "Bataille de Scurcola" (in francese). Il dettaglio che, più di tutti, ha catturato la mia curiosità è costituito dalla litografia (disegno a stampa) che descrive visivamente, in maniera piuttosto attenta, il campo di battaglia e gli schieramenti dei due eserciti, in giallo le truppe di Corradino di Svevia, in rosso quelle più esigue, seppur vittoriose, di Carlo I d'Angiò.

Didascalia (in spagnolo e in francese)

La ricostruzione di Mariano Pérez de Castro indica che gli uomini a disposizione del giovane tedesco erano 9.000 mentre il re francese poteva disporre di 6.000 soldati. Il campo di battaglia è indicato dalla lettera A, la prima colonna è indicata dalla lettera C e la seconda colonna dalla lettera D, come viene spiegato nella didascalia bilingue allestita nella pagina successiva alla litografia. La breve descrizione che Pérez de Castro compie dello scontro tra gli eserciti di Corradino e di Carlo d'Angiò è, nella sostanza, quella che è stata tramandata da numerosi altri testi medievali e rinascimentali. L'epilogo vede soccombere il giovane erede di casa sveva che, ingannato dall'abile stratagemma di Alardo di Valéry, rimane vittima dell'imboscata preparata dai francesi che lo fanno prigioniero e lo decapiteranno nell'ottobre dello stesso anno a Napoli disperdendone i resti mortali.

Frontespizio dell'opera di Mariano Pérez de Castro

Mariano Pérez de Castro ha ricostruito, basandosi, probabilmente, su documenti storici militari a lui accessibili, una delle battaglie medievali più importanti della storia italiana ed europea. Si può notare però un errore abbastanza vistoso: la data dello scontro. L'autore militare spagnolo indica il 25 agosto 1268, in realtà la Battaglia dei Piani Palentini (o Battaglia di Scurcola) si è svolta il 23 agosto 1268. In ogni caso, ciò che mi piace far rilevare più di tutto è la bella litografia dell'area, posta nei pressi di Scurcola, in cui i due eserciti si sono scontrati; una litografia che, credo, gli scurcolani (e non solo) non abbiano mai visto prima.



Note:
[1] Mariano Pérez de Castro, "Atlas de las batallas, combates y sitios mas célebres de la antigüedad, edad media y tiempos modernos Acompañado del texto esplicativo, en español y en frances", Madrid, 1860, pp. 124-130.

sabato 5 giugno 2021

Elenco (non esaustivo) di proverbi e modi di dire scurcolani


Come in ogni paese, anche Scurcola Marsicana ha i suoi proverbi, le sue frasi fatte, le sue parole di saggezza popolare. Si tratta di modi di dire che, per fortuna, ancora oggi, chi continua a parlare il dialetto scurcolano (compresa la sottoscritta), pronuncia e utilizza quando se ne presenta l'occasione. So benissimo che altri prima di me hanno provato a creare lo stesso tipo di raccolta e so benissimo, come ho scritto nel titolo, che questo elenco di proverbi scurcolani non è (e forse non sarà mai) del tutto esaustivo. Infatti mi aspetto che, così come è accaduto quando ho scritto dei soprannomi scurcolani, ci siano persone che offrano il loro contributo per ampliare e arricchire questo mio "inventario" di modi di dire paesani che voglio dedicare al professor Cesare Lucarini col quale, durante alcune nostre chiacchierate telefoniche, ci siamo divertiti a individuare e a scambiare con estremo diletto.


Addo' n'ci sta glio guadagno, la remessa è certa.

Appete alla ficora ci nasce 'o ficoriglio.

Aséno vecchio, mmasto gnovo.

A so colle si fatta l'ara.

A 'sta casa ci sta 'na brutta usanza: è ora de morenna e non se pranza.

Attacca gl'aseno addo vo' glio padrone.

A ti te feta pure glio valle.

Che beglio giovanotto che so i' disse gl'aseno mi, se non m'avanti tu m'avanto i.

Che ci fa lo rutto alle pignate? Senn'esce l'acqua e remanono le vache.

Chi ala poco vale e chi ci sta vicino non vale 'no quattrino.

Chi giralecca, chi remane se secca.

Chi mena apprimo, mena du' ote.

Chi pecora se fa, glio gliupo sélla magna.

Chi se repara sotto alla frasca, piglia l'acqua che piove e quela che casca.

Chi tè oglio e léna lesto fa a cena.

Chi tè pollere spara, chi nolla tè sente i botti.

Dormi Paolo e conta l'ore.

È lo troppo cace 'ncima agli maccaruni.

È meglio a i alla vigna quando piove che giocà a briscola e fa cinquantanove.

È meglio esse cornuto che male sentuto.

È 'na pignata senza manico.

Fa be' agli àseni che te tirano le zampate.

Fa bene e scorda, fa male e pensa.

Feci che te refeci non fu peccato.

Gl'aseno porta la cama e gl'aseno sélla magna.

Glio bove che dice cornuto agl'aseno.

Glio guappo della sera, gl'agliucco della matina.

Glio mare glio sa chi glio pesca.

Glio mese e' maggio ragliano gl'aseni pe' le vigne.

Glio munno è tanto rósso e tanto zico.

Glio pórco satullo, reoteca glio scifo.

Glio ricco fa comme vo' e glio povero fa comme po'.

Glio sattullo non crede agl'affamato.

Glio vecchio non se doerrìa morì mai.

I guai della pila, gli sa glio copérchio.

La caglina cieca la notte ruspa.

La caglina feta gl'ovo e glio valle strilla glio cuio.

La cera se consuma e glio morto non cammina.

La figlia 'e la sora Camilla, tutti la vóno e nisciuno sélla piglia.

La mamma pe' glio figlio se glio leva glio 'occuniglio, glio figlio pe' la mamma se glio schiaffa tutto 'ncanna.

La pecora che fa bee perde glio voccone.

La róbba chi la fa, chi la mantè e chi se la magna.

La robba degl'avaro sélla magna glio scroccone.

La sposa è bella 'na vota.

La teglia della casa non ména guerra.

La vigna è 'na tigna.

Lo bóno è bóno e lo méglio è méglio.

Lo ti è lo ti e lo mi è lo ti e lo mi.

Magna no cristiano: t'affoghissi quanto magni. Magna 'no porco: che Dio te benedica.

Méglio faccia roscia che trippa moscia.

Morta la vacca, scorta la soccia.

Na calla è bona pure allo mete.

Na 'ota passette Carlo pe' Fucino.

Ncima allo cotto, l'acqua óllita.

Nebbia bassa sole lassa.

No patre po' campà cento figli e cento figli non sano campà 'no patre.

Non so pe' gl'aseni i confétti, né le mela rosa pe' gli pórchi.

Non sputà pell'aria che te recasca 'mmocca.

Pa' e alice, i fatti de casa non se pono dice.

Pane e vino venca, 'sto tempo se manténca.

Parla in ciòmmaro (o "in ciambula") per non fa capì i mòmmari.

Parla quando piscia la caglina.

Pio ruscio e cane pezzato, accitiglio appena nato.

Piro maturo casca senza torturo.

Pure le puci téno la tosse.

Quando glio Velino se fa glio cappéglio, vinni le capre e fatte glio mantéglio.

Quando me so misso a fa glio cappellaro i', so nati tutti senza coccia.

Quant'è béglio vatte nuci a chi sta a pète.

Sant'Agnesa: la lancerta pe' la cesa.

Scine ca scine, ma ca scine 'ntutto.

Se glio bove non vo' arà, a' voglia a proncecà.

Se non so' pazzi, non gli volémo.

Se rispetta glio cane pe' glio padrone.

Se seguiti de 'sto passo, la fame la sighi co' glio seghone.

Se tu mitti la coccia, i' metto la saccoccia.

Si' come glio cane che non po' cacà.

Tanto fa' 'na mamma pe' 'na figlia eppo vè Cicciolebbre e sella piglia.

Te étti annanzi pe' non remane' arrete.

Tra facioi, papate e lenticchie le più bone so le saciccie.

Tre castagne a riccio e n'è 'scita una guasta.

Tre fémmone e 'na noce fecero la Fiera de Santa Croce.

Tu co' na mani, i' co' tutte e' du'.

Tu si' o checcheleché della sera e gl'aiucco della matina.

Va a zappà che te' glio pede rosso.

Va co' chi è méglio e' de ti e facci le spese.

***

Ringrazio Agostino Falcone, Gianna Falcone e Antonella Curini per avermi aiutato a recuperare alcuni dei proverbi e dei modi di dire scurcolani inclusi in questo elenco.