lunedì 30 maggio 2022

Ritratto di scurcolana con la conca


Se dovessi scegliere una fotografia da tramandare ai posteri per conservare l'immagine di una scurcolana del primo Novecento, sceglierei questa. Non so chi sia la ragazza con la conca sul capo, non so chi sia l'autore dello scatto, non so quali vicende siano legate a questa meravigliosa foto d'epoca: essa rientra tra gli svariati e preziosi materiali fotografici e documentali che Aulo Colucci mi ha affidato diverso tempo fa. Ho riconosciuto lo scorcio, sicuramente. Si tratta di via dello Statuto: la strada che da piazza Umberto I conduce fino all'Arco di Scoccetta. Via dello Statuto, così come quella che un tempo si chiamava via dei Gradini, è una delle più belle scalinate del borgo di Scurcola.

Via dello Statuto oggi

La giovane scurcolana, che sorregge la conca sul capo, ha le mani appoggiate sui fianchi e il tipico abbigliamento delle donne del tempo: fazzoletto sul capo, scialle sulle spalle, bustino, gonna lunga e grembiule a pieghe. La trovo semplicemente commovente. Ho cercato di fotografare lo stesso scorcio per mostrarlo così come è adesso e, come si può notare, molto è mutato. Come è accaduto altrove, le storiche "pallotte" bianche sono state soppiantate da sanpietrini in porfido scuro, materiale molto lontano da quello che si adatta, per natura, colore e forma, ai nostri borghi. Sono cambiate anche le mura delle abitazioni: la pietra è stata ricoperta di intonaco colorato e le forme tondeggianti delle mura, probabilmente dovute alla presenza di edifici costruiti diversi secoli fa in difesa del paese, ora sono lisci, lineari, ordinati.

Il paese è un organismo vivo, è noto. Il paese muta in continuazione e, per farlo, perde ciò che era. Le fotografie, invece, hanno il potere di cristallizzare il tempo, permettendoci di vedere e di capire com'era ciò che c'era e perché c'era. Non è solo nostalgia ma, più lucidamente, rispetto di quel che siamo stati e non torneremo a essere. Ciò che è perduto quasi sempre lo è per sempre: via dello Statuto non tornerà mai più a essere quella immortalata nella fotografia in bianco e nero. Non ci sono soluzioni. Possono esserci, però, ancora cure e attenzioni nei riguardi di quel che abbiamo mantenuto affinché non vada smarrito definitivamente, affinché non diventi, tra qualche anno, solo un emozionante ricordo da ammirare in fotografia.

***

INTEGRAZIONE: sono stata contattata da Aldo Bovi il quale mi ha fornito preziose informazioni in merito all'immagine della "scurcolana con la conca". La giovane ritratta nella bella foto d'epoca è sua madre, Irene Di Pietro, chiamata Vittoria. Di lei ho già scritto in passato parlando di "Quattro bambini, una giovane donna e un somarello". Irene, o Vittoria che dir si voglia, abitava in Via dello Statuto n. 4. La fotografia venne scattata nel 1940 da Alberto Bovi, allora fidanzato di Irene, che sposerà l'anno successivo. "Mia madre aveva all'epoca appena 21 anni" spiega Aldo "Quel costume tipico non era già più in uso generalizzato e si poteva vedere solo indossato da alcune donne molto anziane (e questo lo ricordo perfettamente anche io qualche anno dopo). Credo che mia madre lo indossasse solo quella volta ad uso del fidanzato appassionato di fotografia".

venerdì 27 maggio 2022

A chi fa bello il borgo: grazie!


Questo è un angolo di via Corradino, nel borgo di Scurcola Marsicana. Non sono rimasti in molti ad abitarlo, il borgo, ma qualcuno lavora comunque perché sia più bello. E, come si vede dalla foto, ci riesce in pieno. Ringrazio le persone che, in maniera spontanea e a loro spese, ogni anno, abbelliscono un pezzetto del nostro centro storico. Li ringrazio per la loro tenacia, il loro buon gusto e la loro attenzione. Per restare dove sono e non demordere.

Dietro i fiori, le piante, il verde e la cura del decoro di via Corradino (o di altri pezzetti del paese) ci sono persone che conosco. A loro va la mia stima e la mia riconoscenza. Sono riconoscente nei confronti di tutti coloro che non demordono e che abitano il centro storico come hanno fatto i nostri antenati. Sono riconoscente per la bellezza che sanno ricreare e per le attenzioni che non smettono di elargire perché, semplicemente, vogliono bene a Scurcola. Atti di prezioso e puro affetto e di rispetto per la propria casa. Grazie.

Maria Tortora

mercoledì 25 maggio 2022

L'Arco di Scoccetta


Ho provato più di una volta a capire fosse Scoccetta. Purtroppo sembra che non esista nessuno in grado di rintracciare le origini della persona che ha dato il suo nome a uno degli angoli più caratteristici e affascinanti di Scurcola. Nemmeno i discendenti di Scoccetta, che ho consultato, sono riusciti a darmi una spiegazione. Scoccetta era forse una donna? Le era stato attribuito un soprannome del genere per via del suo carattere? Sappiamo tutti che "scocciare" è sinonimo di infastidire, disturbare, assillare, rompere. "Scoccetta" potrebbe essere stata identificata con tale nomignolo per denotarne i modi di fare o di essere? Vaghe supposizioni, sia chiaro. Di certo c'è un arco, a Scurcola, che porta, probabilmente da secoli, il suo nome. Quello che da diversi anni è stato inciso su una targa di legno (Arco de Scoccetta: realizzata da Tomas Paolucci da un'idea di Giuseppe Nuccetelli) che chiunque passi può notare e leggere.

Com'era l'Arco di Scoccetta

L'Arco di Scoccetta, oltre a possedere un nome molto particolare, va storicamente considerato anche una porta di accesso alla parte più alta e antica del borgo di Scurcola. Abbiamo imparato da tempo che il nostro paese si è sviluppato, nel corso del tempo, dall'alto verso il basso: la zona in cui è stato edificato l'Arco di Scoccetta dovrebbe essere stata realizzata in epoca rinascimentale, quindi nel corso del Cinquecento. All'arco di Scoccetta si arrivava, e si arriva ancora, sia salendo lungo via XI Febbraio (ex via delle Grazie), sia da via dello Statuto. È un punto strategico di entrata (e quindi di possibile controllo) nel centro storico e, per fortuna, ha mantenuto quasi immutato il suo aspetto rinascimentale: travi di legno, grandi pietre e soffitto basso.

Dettagli dell'Arco di Scoccetta

L'Arco di Scoccetta è posto in prossimità di quella che, personalmente, ho rinominato "La casa di Scipione". Si tratta di un'abitazione di cui ho scritto un paio di anni fa, caratterizzata dall'iscrizione latina "NOSCE TE IPSUM" posta sull'architrave di una finestra, oltre che dalle parole "HEC EST DOMUS SCIOPIONIS LAT 1556" su una finestra (da cui "La casa di Scipione"). Un altro elemento caratteristico di questo antico edificio del centro storico è la presenza di una torre, tuttora ben riconoscibile posizionata in un angolo, proprio a ridosso della strada. Tutti sappiamo che le torri (a Scurcola ce ne erano diverse posizionate in luoghi strategici) hanno sempre avuto scopi difensivi e di controllo. Ciò avvalora ancora una volta la rilevanza urbanistica dell'Arco di Scoccetta: punto obbligato di passaggio per l'accesso al cuore del borgo di Scurcola fin dal XVI secolo.

venerdì 20 maggio 2022

Maddalena Liberati e la lapide in sua memoria nella chiesa di Maria SS della Vittoria


Chiunque percorra la navata centrale della chiesa di Maria SS della Vittoria, può notare, sul lucido pavimento, la presenza di due lapidi di marmo bianco sulle quali sono incise delle parole ormai quasi illeggibili poiché consumate dal trascorrere del tempo e dal passaggio secolare dei fedeli. Sulla prima di esse, quella posta a pochi passi dai gradini che conducono all'altare centrale, con un po' di fatica, sono riuscita a leggere la toccante dedica che un nipote rivolse a sua zia. Questo il testo:

A MADDALENA LIBERATI
BELLA DI ONESTA' E VIRTUDE
DI QUESTA CHIESA
LARGA BENEFATTRICE
NATA IL 23 GENNAIO DEL 1773
[…] AL SOLLIEVO DEI POVERI
M IL 23 GIUGNO 1856
COSIMO BONTEMPI NEPOTE
DI ESTO SASSO SPARSO DI PIANTO
TENUE TRIBUTO
DI NON MENTITA GRATITUDINE
POSE
---

E QUI SEPOLTO IL SUO CORPOREO VELO
MA L'ALMA ESULTA TRA I BEATI IN CIELO
---

ZIA DOLCISSIMA
SE PER AFFETTUOSE CURE
MI FOSTI IN VITA MADRE SECONDA
TI SOVVENGA DI ME IN SENO A DIO
E FA CHE LO SQUILLO
DELL'ANGELICA TROMBA CI RIUNISCA PER SEMPRE

Non so quanti abbiano prestato attenzione a questa lapide e alle parole che conserva. Probabilmente essa rientra tra i mille dettagli dati per scontati (e quindi per lo più ignorati) di Scurcola. Con un briciolo di pazienza ho recuperato il testo tracciato sul marmo anche se, come evidente, mi manca la parola iniziale del sesto rigo. Entrando nel dettaglio del contenuto, si tratta di un'epigrafe per la morte di Maddalena Liberati, avvenuta il 23 giugno 1856, fatta realizzare da suo nipote, Cosimo Bontempi. Con l'ausilio degli atti contenuti all'interno del Portale Antenati dell'Archivio di Stato dell'Aquila, ho potuto capire meglio le ragioni che hanno indotto Cosimo a lasciare un ricordo di sua zia Maddalena.

Cosimo Bontempi

Andiamo con ordine. Cosimo Bontempi, il cui nome completo era Cosimo Isidoro Raffaele, era nato il 29 marzo 1817, figlio di Vittorio Bontempi e Maria Liberati, entrambi appartenenti a due importanti famiglie di proprietari scurcolani. Tra Vittorio e Maria figurano quasi 40 anni di differenza d'età ma, ai tempi, come ho fatto rilevare anche in altre circostanze, non era insolito che un uomo maturo sposasse una ragazza molto più giovane di lui. Cosimo fu l'ultimo figlio di Vittorio e Maria perché, l'anno successivo, esattamente il 16 febbraio 1818, Maria morì: aveva solo 27 anni. Ho rintracciato l'atto di morte della donna nel quale si legge: "a' dì sedici del mese suddetto di febraro, alle ore tre di notte la Signora Maria Liberati, figlia dei signori coniugi Erasmo Liberati e Angela Rossi, e rispettiva cognata de suddetti Signori Don Ignazio e Don Stefano Bontempi perché moglie del predetto signor Don Vittorio Bontempi germano fratello".

Prima parte del testo della lapide

Nel momento in cui Maria Liberati morì, suo marito Vittorio Bontempi (di circa 66 o 67 anni) era anche Sindaco di Scurcola. L'atto di morte, infatti, è firmato da un sostituto, Luigi Pompei. Cosimo aveva meno di un anno quando sua madre scomparve. Leggendo la lapide posta sul pavimento della nostra chiesa, è facile intuire che venne affidato alle cure di sua zia Maddalena che, come scrive il nipote, gli fu "madre seconda". Maddalena Liberati (nata nel 1773) era la sorella maggiore di Maria (aveva circa 18 anni più), primogenita di Erasmo Liberati e Angela Rossi. Alla zia Maddalena, Cosimo Bontempi volle dedicare un commosso omaggio in segno di devozione e gratitudine per quanto, evidentemente, aveva fatto per lui, rimasto orfano di madre troppo presto. Quel segno d'amore è ancora lì, al centro della chiesa della Madonna della Vittoria, a ricordarci l'affetto di un nipote nei confronti di una zia che gli fu anche madre.

domenica 15 maggio 2022

Amerigo D'Amia, illustre giurista e poeta di origini scurcolane


Il cognome Damia, a Scurcola, oggi è ancora presente. La versione D'Amia, probabilmente dovuta a un errore di interpretazione o trascrizione, attualmente, non risulta. Eppure il personaggio di cui voglio scrivere si chiama Amerigo D'Amia e ha origini scurcolane. Suo padre era Silvestro Damia (nato il 30 agosto 1857, figlio di Francesco, contadino trentenne, e della ventiquattrenne Maria Fortuna, filatrice). Silvestro sposò Virginia Mazzocchi e visse a Roma lavorando per il Ministero delle Poste e Telegrafi: la sua prima nomina risale al 1° settembre 1887. Secondo un vecchio "Bullettino delle Poste e Telegrafi", datato 1897, Silvestro Damia risulta dipendente con ruolo di "servente di seconda classe" mentre nel 1910 ha ottenuto il ruolo di Ufficiale d'Ordine, compito che sembra svolgere ancora nel 1916.

Amerigo D'Amia, come detto, è figlio dello scurcolano Silvestro, emigrato nella Capitale sul finire dell'Ottocento, come moltissimi altri compaesani. Amerigo, infatti, nacque a Roma il 20 luglio del 1891 e, secondo i ricordi di Dario Colucci [1], Amerigo e la sua famiglia erano soliti tornare a Scurcola regolarmente, soprattutto durante le vacanze estive. Il nome di Amerigo D'Amia è legato al successo e al prestigio che riuscì a ottenere, nel corso della sua lunga vita, come giurista (fu professore di diritto a Milano e a Pisa) ma anche come poeta, saggista e scrittore. In un Bollettino ufficiale Ministero dell'educazione nazionale del 1931 ho rintracciato la "Relazione della Commissione giudicatrice per l'abilitazione della libera docenza in storia del diritto italiano" [2] la quale, in data 11 febbraio 1931, si riunì per decretare:

"Il candidato dott. Amerigo D'Amia, laureato in giurisprudenza nel 1917, fu impiegato degli archivi di Stato; attualmente è professore ordinario di materie giuridiche nei RR. Istituti tecnici. Presenta parecchie pubblicazioni, anche in materia paleografica e sul diritto vigente: ma ha anche notevoli lavori attinenti alla storia del diritto italiano. Tra questi ultimi, la Commissione considerò principalmente i due scritti sulle curie pisane e sulle sentenze pisane; e un grosso lavoro dattilografato sulla storia della schiavitù nel medio evo, il quale ultimo presente anche una notevole serie di documenti inediti estratti dall'Archivio di Stato di Pisa". In conclusione, i commissari, dopo aver esaminato e giudicato i lavori di Amerigo D'Amia, decretarono di concedergli l'abilitazione alla docenza nella storia del diritto italiano.

Una delle numerose pubblicazioni di Amerigo D'Amia

Amerigo D'Amia, come detto, è autore di serie e puntuali opere di diritto, ma anche di alcune raccolte liriche. Tra i documenti recuperati tra le carte di Gaetano Rosa, c'è un biglietto che D'Amia, evidentemente, aveva inviato a Rosa rivolgendogli i suoi auguri per il Natale e per il nuovo anno. Purtroppo non ci sono riferimenti temporali precisi ma dal testo stampato sul biglietto si ricava che il dott. Amerigo D'Amia fosse "Capo della sezione per le provincie di Pisa e Livorno dell'Ufficio storiografico della Mobilitazione (Ministero per le Armi e Munizioni) presso il R. Archivio di Stato di Pisa". Ciò lascia intendere che questo breve messaggio inviato a Gaetano Rosa possa risalire al tempo in cui, in Italia, fu necessario istituire un "Ministero per le Armi e Munizioni", ossia durante gli anni finali della Prima Guerra Mondiale (fu istituito nel 1917 [3] soppresso nel 1918 [4]).

Bigliettino che D'Amia scrisse a Gaetano Rosa (1917-1918)

Amerigo D'Amia si è spento il 27 febbraio 1994: aveva 103 anni, tra le opere che ha lasciato è possibile ricordare: "Albori - Versi" (1913); "Giambattista Fauché nell'epopea dei Mille. Cenni storici e documenti esposti nel primo centenario della sua nascita" (1915); "L'insegnamento della paleografia e gli archivi di stato" (1916); "Studi sull'ordinamento giudiziario e sulla procedura delle curie pisane nel secolo XII" (1922); "Cenni Paleografici a proposito di scritti notarili dei secoli VIII, IX e X: La corsiva pisana" (1924); "Le vigilie e i soliloqui" (1929); "L'atto di costituzione di un comune valtellinese nel 1204" (1937); "Motivi storico-giuridici del Medio Evo italiano" (1939); "Circa la personalità giuridica dell'eredità giacente" (1940); "Diritto e sentenze di Pisa ai primordi del rinascimento giuridico" (1960); "Fulgori ed ombre, l'impresa di Sicilia e l'armatore dei Mille" (1961); "Le Vicende e la Parola" (1967); "Elevazione" (1975); "Rinascenza Pisana del diritto e di cultura e d'arte" (1975); "Medio evo Pisano trasmettitore del diritto Custodia e consultazione del codice pisano delle Pandette in S. Pietro in Vincoli. Lapide inaugurata dall'Ordine degli Avvocati. Documenti" (1979); "Romanità di Pisa. Il Prologo Costituzionale (A.1160), nucleo della sua Storia" (1992). 



Note:
[1] Dario Colucci, "De Scurcola Marsorum", 2008, p. 266.
[2] Ministero dell'educazione nazionale, Bollettino Ufficiale, II Atti di Amministrazione, Anno 58, Vol. I, Roma, 1° gennaio 1931, Anno IX, n. 1, pp. 917, 918.
[3] Regio Decreto 16 giugno 1917, n. 980.
[4] Decreto Luogotenenziale 15 settembre 1918, n. 1318.

martedì 10 maggio 2022

Quando a Scurcola Marsicana si ascoltava Radio Rurale


Non molto tempo fa mi è stata segnalata la bella fotografia d'epoca che apre questo post. Un'immagine che, personalmente, non conoscevo e che, a ben guardare, racconta una storia che molti scurcolani, soprattutto per ragioni anagrafiche, non possono ricordare. 

Tutti riconosciamo il luogo: la raffinata scalinata barocca della chiesa della SS. Trinità, in Piazza del Mercato. Non so quanti conoscano o riconoscano le persone presenti: i ragazzini seduti sulle balaustre, la donna con la lunga gonna e la caratteristica conca sul capo, gli uomini disposti lungo le scale, la piccola folla radunata vicino ai due somari che sembrano trasportare fascine di legna. Una scena di vita quotidiana che oggi è impossibile replicare.

Donna con la conca sul capo

Il dettaglio che ha attratto la mia attenzione, però, è un altro. Si tratta della presenza delle due figure che si trovano sulla balconata, davanti all'ingresso della chiesa. Non ho faticato molto a rilevare che l'uomo sulla destra indossi il tipico fez fascista. Tanto basta a datare, seppur in maniera molto sommaria, questa fotografia: probabilmente risale agli anni Trenta (seconda parte?). Ma questo importante frammento di storia scurcolana richiama anche un'altra vicenda legata a quella sorta di "scatola" che l'altro uomo sulla balconata sorregge con una mano. Non l'ho riconosciuta nell'immediato ma poi, facendo mente locale, ho capito che poteva trattarsi di una radio.

Due uomini sulla balconata della chiesa

Ho quindi compiuto un'ennesima ricerca e ritengo possa trattarsi di uno degli svariati modelli di un apparecchio chiamato, in epoca fascista, Radio Rurale. Si tratta di un ricevitore, con prezzo imposto dal governo e con caratteristiche standard, promosso dall'Ente Radio Rurale, fondato nel 1933 [1]. La Radio Rurale poteva essere acquistata soltanto dagli istituti scolastici, dalle sedi dell'O.N.B., dal P.N.F., dalle Parrocchie rurali, dalle sedi rurali dell'Opera nazionale dopolavoro, dalle cattedre ambulanti di agricoltura, dalle sedi della Confederazione sindacale fascista dell'agricoltura e dalle sedi della Confederazione agricoltori o per donazione agli stessi. A cosa servisse, ovviamente, possiamo immaginarlo molto facilmente: divulgare i proclami, i messaggi, i notiziari, le informazioni di cui il regime fascista voleva che la gente comune fosse informata.

Radio Rurale Unda (fonte: www.radiorurale.it)

La radio, all'epoca, era considerata esattamente come per noi oggi è il Web: un canale comunicativo immediato, capillare e accessibile a molti. L'Ente Radio Rurale (ERR) era nato con lo scopo di "contribuire alla elevazione morale e culturale delle popolazioni rurali" ma, nell'arco di poco tempo, il Partito Nazionale Fascista "pose sotto stretto controllo i programmi del nuovo ente e le sempre più insistenti pressioni ad opera del segretario del partito Starace costrinsero Mussolini, nel 1934, a trasferire l'ERR proprio sotto il controllo diretto del segretario". [2] A Scurcola, come si evince dalla fotografia, la Radio Rurale veniva collocata sulla balaustra della chiesa e posta all'ascolto della popolazione presente (a quanto pare non molta, nella circostanza). La radio che si vede potrebbe essere stata a marchio Unda, uno dei dieci produttori autorizzati dal regime. Al centro sono posizionati due fregi in metallo leggero che riproducono i fasci littori. Non sappiamo che fine abbia fatto l'apparecchio scurcolano, non sappiamo se appartenesse alla chiesa, alla scuola o al Comune. Come è accaduto in molti luoghi, potrebbe forse essere stato distrutto dopo la caduta del Fascismo?


Note:
[1] Legge 15 giugno 1933, n. 791.
[2] radiostoria.wordpress.com.

giovedì 5 maggio 2022

Le opere di Filippo Balbi nella Cappella della Madonna del Carmine di Scurcola


Presso la chiesa di Maria SS. della Vittoria, a Scurcola Marsicana, all'interno della Cappella che un tempo era di pertinenza della famiglia Bontempi (l'ultima sul lato destro della navata), è conservata una tela della Madonna del Carmine. Si tratta di un dipinto di Filippo Balbi eseguito nel 1880, come attestano la data e la firma dell'artista, poste in basso a sinistra. L'opera di Filippo Balbi, come ho potuto capire leggendo un testo a lui dedicato [1], non si limita al bel quadro tuttora accolto nella cappella, ma riguarda anche alcune decorazioni presenti sul soffitto. Ecco cosa racconta il pittore al suo amico padre Salvatore Addeo:
Invitato, mi rispose, nel 1882 da D. Cosimo Buontempi a dipingergli la cappella gentilizia nella Chiesa di Scurcola negli Abruzzi, mi valsi appunto di questo studio di nastri intrecciando ad essi dei gigli ed altri fiori, e dipingendovi su le litanie lauretane. In tale occasione proposi a D. Cosimo che facesse dipingere anche la sala del suo palazzo, ma non vi riuscii. Quanto avrei piacere che tu vedessi quel palazzo! di lontano sembra la reggia di Giove.
Soffitto con inserti affrescati con fiori, nastri e litanie lauretane
Filippo Balbi (1882)

Purtroppo il degrado in cui versano attualmente gli affreschi del Balbi non consente una facile lettura delle litanie laureatane da lui dipinte, ma è facile comprendere che possa trattarsi delle stesse brevi suppliche rivolte alla Vergine Maria alla fine di ogni Rosario: "Madre sempre vergine, Madre immacolata, Madre degna d'amore, Madre ammirabile... Vergine degna di onore, Vergine degna di lode, Vergine potente... Stella del mattino, Salute degli infermi, Rifugio dei peccatori, Conforto dei migranti, Consolatrice degli afflitti". Dal racconto del pittore si evince anche che egli rimase colpito da Palazzo Bontempi tanto da descriverlo come la "reggia di Giove". Di quel maestoso palazzo, come sappiamo, oggi non ci resta più quasi nulla, purtroppo.

Firma e data di Balbi sul dipinto della Madonna del Carmine

Filippo Balbi nacque a Napoli nel 1806 (figlio di uno scultore). Si formò presso l'Accademia di Belle Arti della città, allievo di Costanzo Angelini. I suoi primi lavori furono eseguiti per i Francescani di Forio, nel comune di Ischia. Nel 1840, su consiglio del proprio maestro, si trasferí a Roma per continuare ad approfondire i suoi studi. Nel 1844 Balbi realizzò la pala raffigurante la "Madonna della Cintura" per il Convento della Madonna della Neve di Frosinone. Tra le opere più famose di Balbi vi è la "Testa anatomica" che l'artista dipinse nel 1854. Si tratta di un volto formato da una miriade di corpi umani intrecciati e sovrapposti. Il quadro venne anche inviato all'Esposizione universale di Parigi del 1855. Dal 1859 il Balbi accettò di lavorare a una serie di opere per la Certosa di Trisulti, oggi nel territorio del comune di Collepardo, in provincia di Frosinone, paese che l'artista elesse come sua dimora almeno fino al 1863 quando scelse di trasferirsi ad Alatri. Balbi, quindi, continuerà a lavorare per lo più in questa zona. Morirà ad Alatri il 27 settembre 1890, a 84 anni: è sepolto nella cappella dei Padri Scolopi.

Filippo Balbi

La tela del Balbi conservata a Scurcola, come detto, è stata realizzata nel 1880, quando l'artista era già in età piuttosto avanzata. La nostra "Madonna del Carmine", come riportato in una piccola targa posta sulla parete accanto, è stata restaurata dal Comitato dei festeggiamenti di Sant'Antonio e San Vincenzo nel 2009. Lo stile del dipinto rispecchia i canoni del Purismo, movimento pittorico a cui Balbi apparteneva, che proponeva un ritorno all'arte di ispirazione religiosa e la rivalutazione dell'arte del Trecento e del Quattrocento

Madonna della Cintura (Frosinone)

La figura della Madonna del Carmine di Scurcola sorregge Gesù Bambino, il cui piedino è appoggiato sulla mano della Madre. Dettaglio da rilevare: il piccolo Gesù, come iconografia del Carmelo vuole, tiene tra le mani il cosiddetto "scapolare" (o abitino). Si tratta di un oggetto devozionale molto diffuso formato da due quadratini di tessuto, uniti da cordoni, che mostrano da una parte l'immagine di Nostra Signora del Carmelo e dall'altra il Cuore di Gesù o lo stemma dell'Ordine carmelitano. Lo scapolare rappresenta una miniatura dell'abito carmelitano.


Note:
[1] P. Salvatore Addeo, "Ricordi di un vecchio pittore", Tipografia Calasanziana, Firenze, 1894, pp. 39-40.