sabato 30 gennaio 2021

Oggetti provenienti dal Convento dei Cappuccini consegnati al Sindaco di Scurcola il 7 luglio 1865


Nell'ultima parte del mio precedente post dedicato alla storia del Convento dei Cappuccini di Scurcola Marsicana, ho fatto riferimento alla legge del Regno d'Italia che andò a sopprimere ufficialmente gli enti ecclesiastici. Le difficoltà di Bilancio in cui versava il neo-nato Regno d'Italia indussero i governanti del tempo a decidere di incamerare nel demanio statale i beni di proprietà degli istituti religiosi soppressi. Il Convento dei Cappuccini di S. Maria del Colle di Scurcola, fondato nel 1590, come altri istituti, fu soppresso. Una parte di che apparteneva al Convento, infatti, venne consegnata al Sindaco Comune di Scurcola

Grazie al suggerimento di Aulo Colucci, ho deciso di prendere contatti con i Cappuccini dell'Aquila. Dopo qualche iniziale difficoltà, ho avuto la possibilità di comunicare, via e-mail, con frate Luca Casalicchio del Convento dei Cappuccini "Santa Chiara" al quale ho chiesto se fosse possibile rintracciare l'elenco dei 47 oggetti provenienti dal Convento dei Cappuccini di Scurcola e consegnati al Sindaco nel periodo in cui, per l'appunto, era stata definita, per legge, la soppressione. Devo ad Aulo Colucci la "scoperta" dell'esistenza di tale prezioso documento di cui, onestamente, non sapevo nulla. 

Frate Luca Casalicchio, con immensa disponibilità, ha rintracciato, all'interno dell'Archivio dei Cappuccini dell'Aquila [1], la nota originale, scritta a mano, risalente al 7 luglio 1865, con la quale una serie di oggetti contenuti all'interno del Convento e della Chiesa di S. Maria del Colle sono stati ufficialmente consegnati al Sindaco di Scurcola che, al tempo, era Gaetano De Giorgio. Oltre a questa lista, esistono altri due elenchi (di cui scriverò in futuro) all'interno dei quali sono indicati i beni che dal Convento di Scurcola passarono, nello stesso periodo, al Convento di Avezzano e a quello di Tagliacozzo

La nota degli oggetti provenienti dal Convento dei Cappuccini

Questa la trascrizione completa del documento che ho ricevuto da frate Luca Casalicchio
Nota degli oggetti del soppresso Convento dei PP. Cappuccini di S. Maria del Colle di Scurcola consegnati oggi 7 luglio 1865 ai Signori il Ricevitore ed il Sindaco di Scurcola 

1

Calice di Argento

4

2

Pisside di Argento

1

3

Incensiere e navicella di ottone

1

4

Acquasantiera di stagno

1

5

Pianeta di vari colori

15

6

Tovaglie e tovagliuoli per Altari

40

7

Camici ordinari

11

8

Crinoli

4

9

Veli di vari colori

10

10

Borse di vari colori

13

11

Frasche di fiori per gli altari

48

12

Candelieri di legno

34

13

Carte Gloria per gli Altari grazia

3

14

Croci per gli Altari

3

15

Croce grande per la Processione

1

16

Corporali

10

17

Purificatoi

16

1

Ombrellino per la Comunione

1

19

Velo omerale

1

20

Cotta

2

21

Patiglioni per il Tabernacolo

4

22

Sopratovaglie degli Altari

3

23

Reliquiari

14

24

Tabernacolo di noce impellicciato ed intagliato variamente

1

25

Quadro dell'Assunta posto nell'Altare Maggiore

1

26

Quadri di S. Giuseppe Cappuccino e S. Fedele posto ai lati dell'Altare

4

27

Quadri al tergo dell'Altare maggiore di vari Santi

5

28

Quadro della seconda Cappella rappresentante la Madonna di San Felice

1

29

Quadretti nelle pareti della Chiesa pittati in tela

6

30

Armadio di noce posto nella Sacrestia con sopra il quadro della Concezione pittato in tela

1

31

Stipone di noce dentro la Sacrestia fisso al muro

1

32

Campana della Chiesa

1

33

Campanella nella porta battitoia

1

34

Campanella per gli Altari

3

35

Botti grandi di 14 salme in circa

2

36

Botticelle di 7 salme in circa

3

37

Tavoloni di noce in Refettorio

5

38

Tavolini grandi

4

39

Libri volumi circa 450

450

40

Calderone di rame

1

41

Caldaio di rame

1

42

Caldarelle di rame per la cisterna

2

43

Casseruola di rame

1

44

Conca di rame

1

45

Orologio di ottone grande

1

46

Confessionale

1

47

Pulpito di noce

1


Si tratta, come si può leggere, di una gran quantità di beni. Ovviamente non sono in grado di dire quanti di essi siano sopravvissuti al tempo, a due terremoti (1904 e 1915), a due Guerre Mondiali e alle azioni degli uomini. Voglio sperare che qualcuno di questi antichi oggetti, provenienti dal Convento dei Cappuccini, sia ancora conservato all'interno delle Chiese di Scurcola, in primis in quella di Sant'Antonio da Padova, di proprietà del Comune di Scurcola Marsicana. Tra le opere di maggiore interesse, a mio avviso, sarebbe importante rintracciare il "Tabernacolo di noce impellicciato [impiallacciato, ndr] ed intagliato variamente", il "Quadro dell'Assunta posto nell'Altare Maggiore", i "Quadri di S. Giuseppe Cappuccino e S. Fedele posto ai lati dell'Altare". Non immaginavo esistesse la "Madonna di San Felice" e mi rattrista molto sapere che dei 450 libri del Convento non vi sia più traccia. Mi chiedo se la Campana dei Cappuccini suoni ancora e se il confessionale e il pulpito in noce che chiudono l'elenco siano stati salvati, magari insieme ai 14 reliquiari


Note: 

[1] Archivio storico della Provincia degli Abruzzi dei Frati Minori Cappuccini, fondo conventi, cartella Scurcola, digitalizzazione a cura di Pietro Costantini.

***

Ringrazio frate Luca Casalicchio dei Frati Minori Cappuccini del Convento "Santa Chiara" dell'Aquila.

lunedì 25 gennaio 2021

La storia della maestra Adalgisa De Cesare


C'era una volta, a Scurcola, una maestra che si chiamava Adalgisa De Cesare. Siamo alla fine degli anni Dieci del Novecento e, purtroppo, oggi, da quel che ho potuto constatare, nessuno ricorda che alcuni bambini di Scurcola, all'epoca, vennero istruiti dalla giovane e bella maestra Adalgisa. Mi sono imbattuta nel suo nome e nella sua storia in maniera del tutto casuale. Conducendo le mie solite ricerche su Internet, ho rintracciato un testo del 1917 [1] all'interno del quale sono indicati i nominativi degli insegnanti "Benemeriti dell'assistenza scolastica a favore dei figli dei militari". Forse non è superfluo ricordare che, nel 1917, l'Italia era coinvolta nella Prima Guerra Mondiale alla quale presero parte, e persero la vita, anche diversi giovani scurcolani. Per quanto concerne il Comune di Scurcola, gli insegnati "benemeriti" sono: suor Anna Spalla, suor Elaulia Gennari, Paolo Pompei, Fabiano Blasetti, Giulio Vidimari, Adalgisa De Cesare e suor Anna Camilli (direttrice dell'asilo). 

Benemeriti dell'assistenza scolastica a favore dei figli dei militari (1917)

Accanto al nome di Adalgisa viene indicata la specifica: "allieva insegnante". Evidentemente, nel 1917, la De Cesare non aveva ancora ottenuto ufficialmente il titolo di maestra che, probabilmente, otterrà da lì a un anno o due. Ciò non toglie che fosse già attiva presso le scuole elementari di Scurcola che, al tempo, vale la pena ricordarlo, si trovavano presso l'Asilo Ansini, nel cuore del nostro borgo, sotto l'omonimo arco. 

Ingresso dell'Asilo Ansini sotto l'Arco Ansini

Il nome di Adalgisa De Cesare mi ha colpito immediatamente perché non l'ho mai letto né sentito menzionare in alcuna circostanza. Essendo una donna, essendo un'insegnante ed essendo scurcolana, ho pensato che potesse essere una figura alla quale prestare attenzione. Ho condotto qualche altra piccola ricerca e ho rintracciato un breve articolo del quotidiano dei marsicani degli Stati Uniti "Marsica Nuova" [2] nel quale si descrive la tragica fine di Adalgisa. Tra le pagine di "Marsica Nuova", infatti, si parla di un brutto incidente avvenuto nei pressi di Capistrello: "Un camion dopo aver scaricato della merce qui in Avezzano, faceva ritorno a Capistrello. Nell'attraversare la salita del monte Salviano trovò nei pressi del Santuario della Madonna di Pietraquaria, una comitiva di sedici persone, tra signori e signorine, recatesi a diporto presso il detto Santuario. Tutti salirono sul camion per ritornare a Capistrello; ma dopo pochi chilometri, lo chauffeur, per evitare un grosso sasso sulla strada, diede un brusco colpo di sterzo, che determinò un violentissimo urto della vettura contro la roccia, e il conseguente rovesciamento della vettura stessa. Tutti i viaggiatori furono lanciati violentemente sulla strada. Morì sul colpo la bellissima signorina Adalgisa De Cesare, di anni 20, figlia del Cav. Giuseppe De Cesare, Segretario del Comune di Scurcola Marsicana, e quasi tutti gli altri furono feriti e contusi ed alcuni in modo grave. Alcuni feriti furono condotti in questo civico ospedale [di Avezzano], ove il benemerito direttore di esso, dott. Cesare Gatti, prestò i primi soccorsi d'urgenza". 

Un camion dell'epoca (Fiat 17 - 1913)

Ho rinvenuto il nome della maestra Adalgisa anche in un post scritto da Ester Fasciani sul profilo Facebook denominato "Capistrello il mio paesello". La Fasciani, che ha tratto le sue informazioni direttamente dal Registro dei Morti del Comune di Capistrello, fa rilevare che "la sera del 12 settembre 1920, in località Iudici a causa di un incidente automobilistico perdeva la vita una giovane maestra elementare di Scurcola Marsicana, De Cesare Adalgisa. Aveva 25 anni ed era nubile". Il quotidiano "Marsica Nuova" è solito pubblicare le notizie marsicane anche con mesi o anni di ritardo per cui non stupisca il fatto che la cronaca dell'incidente sia stata inserita tra le notizie di cronaca solo nel gennaio 1921. Rimane l'incongruenza a proposito dell'età di Adalgisa: morì a 20 o a 25 anni? Tendo a propendere per i 25 anni, così come risulta dal Registro comunale di Capistrello consultato da Ester Fasciani. In ogni modo, per via di quel tragico evento, Scurcola perse improvvisamente una delle sue giovani e promettenti insegnanti della quale, come ho scritto, il ricordo sembra essersi dissolto. Spero, con questo mio scritto, di aver riportato un po' di luce sulla figura della maestra Adalgisa De Cesare affinché non venga dimenticata. 


Note: 
[1] Bollettino ufficiale del Ministero dell'istruzione pubblica, anno XLIV, Vol. II, n. 27 del 5 luglio 1917, p. 1893. 
[2] Marsica Nuova, Volume 3, Numero 1, 1° gennaio 1921.

mercoledì 20 gennaio 2021

160 anni fa l'Eccidio di Scurcola Marsicana


"In memoria degli 89 insorgenti borbonici qui fucilati il 23 gennaio 1861. La municipalità cittadina e i compatrioti posero. Non muore chi ha aiutato altri a vivere. 18 Gennaio 2020". Queste le parole della lapide che ricorda l'efferato Eccidio di Scurcola Marsicana, posta accanto all'ingresso di quella che, ancora oggi, chiamiamo la Cappella delle Anime Sante. In questo luogo, infatti, nella mattina del 23 gennaio 1861, quindi esattamente 160 anni fa, si è consumata una delle più gravi carneficine della storia contemporanea italiana anche se, purtroppo, sembra che il ricordo di ciò che avvenne è stato intenzionalmente offuscato per generazioni. La Storia, però, seppur con qualche affanno, tende sempre a riaffiorare riportando a galla, almeno in parte, eventi lasciati cadere nell'oblio. D'altro canto è difficile cancellare in maniera indelebile l'eccidio di 89 uomini e la scomparsa di altri 277. Perché è di questi "numeri" che parliamo. Anche se ognuno di quei numeri rappresenta un essere umano e, proprio per questo, degno di ogni rispetto e considerazione

Per spiegare i motivi che hanno condotto al massacro di 89 uomini presso le Anime Sante serve fare un minimo di chiarezza sugli eventi che caratterizzarono la storia locale durante quegli anni. Anche nella Marsica, infatti, erano venuti a formarsi due grandi fronti, da una parte c'era chi sosteneva i piemontesi, dall'altra chi sosteneva i borbonici. Sappiamo benissimo chi ebbe la meglio ma, forse, sarebbe giusto sapere anche a quale prezzo e con quali metodi. Serve rammentare, inoltre, che in questo periodo il Sud Italia è governato da Francesco II, detto Franceschiello, ultimo re delle Due Sicilie, salito al trono solo il 22 maggio 1859. La nascita del Regno d'Italia (col trionfo dei Savoia e il tracollo dei Borboni), come sappiamo, sarà proclamata il 17 marzo 1861

Targa commemorativa

Arriviamo, dunque, al gennaio del 1861. Il giorno 13, a Tagliacozzo, si verifica un violento scontro tra le truppe piemontesi, guidate dal maggiore Ferrero, e quelle borboniche del generale Luverà. I piemontesi hanno la peggio e sono costretti a ripiegare verso Avezzano accusando la perdita di ben 23 persone. Nel frattempo altri uomini, definiti semplicemente "briganti", provenienti dalle aree circostanti vanno a rafforzare le fila dei borbonici presenti nella Marsica. Ad Avezzano, il colonnello piemontese Quintili decide di dislocare due compagnie di fanteria: una a Magliano e una a Scurcola, quest'ultima comandata da Faldi. Nel pomeriggio del 22 gennaio 1861 Giacomo Giorgi e i suoi borbonici preparano un attacco contro i piemontesi presenti a Scurcola. La compagnia del comandante Faldi, nonostante l'attacco inaspettato, resiste anche grazie all'arrivo repentino delle compagnie di Avezzano e Magliano chiamate in soccorso. I soldati piemontesi riescono a circondare Scurcola bloccando all'interno i borbonici guidati dal Giorgi. Uno sparuto gruppo di borbonici riesce a fuggire ma tanti di loro rimangono a Scurcola e possono solo cercare di nascondersi nelle stalle o nelle case degli scurcolani

Nel corso della notte, il maggiore piemontese Antonio Delitala lascia Avezzano e giunge a Scurcola con altre tre compagnie. La mattina successiva, quella del 23 gennaio 1861, Delitala emana un bando con il quale, sotto minaccia di morte, intima tutti gli abitanti di Scurcola di denunciare i borbonici e i "briganti" nascosti in paese. In poco tempo molte persone vengono condotte di fronte al maggiore piemontese. In un testo intitolato "Storia delle due Sicilie dal 1847 al 1861" [1], a tal proposito si legge: "Dettero un bando che qualunque cittadino ascondesse un forestiero sarebbe fucilato; tutti per ispavento cacciarono gl'infelici ospiti alla via, e pur talun innocente statevi per caso". La retata, infatti, non fece grandi distinguo: nel mucchio dei prigionieri si ritrovarono anche degli innocenti, come spiega De' Sivo. 

Libro di Enzo Colucci dedicato all'eccidio
Copertina di Maurizio Moretti

Durante la mattinata del 23 gennaio 1861, quindi, inizia la strage: "al mattino cavandoli a uno a uno, prima gli uffiziali poi i soldati lor traevano colpi addosso sulla via, a orrenda caccia disordinata; sicché pur riuscì a qualcuno di scappar via tra tanti carnefici. Colma era la strada di cadaveri e sangue, né sazie quelle tigri", continua il racconto in "Storia delle due Sicilie dal 1847 al 1861". Gli uomini catturati, borbonici, briganti, innocenti vengono giustiziati nei pressi della Cappella delle Anime Sante. Le vittime saranno 89 ma avrebbero potuto essere molte di più se, intorno a mezzogiorno, non fosse giunto da Avezzano l'ordine che imponeva al maggiore Antonio Delitala di fermare immediatamente le fucilazioni

Secondo i dati riportati alla luce in tempi più recenti, sembrerebbe che oltre agli 89 giustiziati, siano stati ammassati altri 277 prigionieri che, scampati all'eccidio, sono destinati a raggiungere prima Avezzano e poi L'Aquila per essere processati. Come alcuni storici sospettano, sembra che nessuno di loro sia mai arrivato a destinazione e non si sa, con esattezza, che fine abbia fatto questo nutrito gruppo di borbonici catturati. La morte di tante persone, purtroppo, è stata quasi cancellata dalla memoria degli scurcolani ai quali i piemontesi, con crudeli minacce, imposero il silenzio perenne. Neanche sul registro dei morti di Scurcola è stato annotato nulla. Eppure c'erano 89 cadaveri riversi nel loro sangue. Si presume che una parte di essi sia stata inumata ai piedi di Monte San Nicola (forse a San Lorenzo), un'altra parte potrebbe essere stata addirittura bruciata o inumata in una fossa comune dietro la Cappella delle Anime Sante. Non sapremo mai con esattezza cosa sia avvenuto dopo l'eccidio a Scurcola. L'unica certezza storica è che, un paio di mesi più tardi, il 17 marzo del 1861, Vittorio Emanuele II, con la promulgazione della legge n. 4671, proclamerà la nascita del Regno d'Italia.


Note:
[1] Giacinto De' Sivo, "Storia delle due Sicilie dal 1847 al 1861", Viterbo, 1867.

venerdì 15 gennaio 2021

Il primo concerto australiano di Vincenzo De Giorgio nel 1898


Del maestro Vincenzo De Giorgio è stato già scritto in varie circostanze. Lo ha fatto don Antonio Rosa diversi anni fa e lo ha fatto la professoressa Adriana Curini in tempi più recenti. Ho letto entrambi i testi e, inevitabilmente, ho tratto utili informazioni da entrambe le fonti. In questo mio post, però, vorrei concentrarmi sull'esordio internazionale del maestro De Giorgio, ossia il primo concerto che l'artista, musicista, pianista, compositore e cantante scurcolano ha eseguito all'altro capo del mondo, poco tempo dopo il suo arrivo in Australia

Le testimonianze sopra citate attestano che Vincenzo De Giorgio, dopo aver conseguito importanti traguardi professionali e musicali in Italia, dopo aver conquistato intere platee durante i suoi concerti a Napoli, nel 1898, decise di fare un viaggio in Australia. Il maestro, al tempo, aveva circa 34 anni (era nato a Scurcola il 25 dicembre 1864) e una carriera concertistica ben definita. Va detto che tanti artisti europei all'epoca venivano invitati nel "nuovissimo continente" per far conoscere il "bel canto" e la musica dei grandi compositori, italiani in primis. 

Albert Hall di Adelaide

Come scrive don Antonio Rosa, "Qui l'artista fu conquistato dall'ambiente, sicché decise di rimanere a svolgervi la sua attività. Per prima cosa, per farsi conoscere, pensò di dare qualche Concerto. Il primo lo dette già nell'agosto del 1898". Infatti, sul quotidiano "The South Australian Register", datato lunedì 8 agosto 1898, viene riportata la notizia relativa al primo concerto tenuto dal maestro De Giorgio nella serata di sabato 6 agosto 1898 presso la sala Albert Hall di Adelaide. Nell'articolo originale che ho rintracciato online, si racconta che la performance del "signor" (viene sempre chiamato così) Vincenzo De Giorgio ha ricevuto calorosi applausi da parte del numeroso pubblico presente

Nella circostanza, come si rileva dalla cronaca, il nostro musicista venne messo in difficoltà da una ferita o un dolore al secondo dito della mano destra. Nonostante questo piccolo problema fisico e nonostante il piano a sua disposizione non fosse di qualità, De Giorgio scelse di presentare un lungo e difficile programma di musica classica e popolare. Suonò mostrando di possedere una tecnica eccellente, un tocco simpatetico, un temperamento artistico e un'immensa versatilità. Ha iniziato eseguendo un "Andantino" e un "Allegro" di Michelangelo Rossi, compositore, violinista e organista italiano vissuto nel Seicento. L'esecuzione viene descritta come pulita e appropriata. A seguire De Giorgio ha suonato la "Gavotte" di Jean-Philippe Rameau, compositore, clavicembalista, organista e teorico della musica francese vissuto tra Seicento e Settecento. 

Pubblicità di un concerto di De Giorgio
Evening Journal (Adelaide) 26 novembre 1898

Successivamente il maestro si è esibito con la sonata per pianoforte n. 21, Op. 53 in Do maggiore, nota come "Waldstein" (dall'omonimo conte a cui è dedicata), di Ludwig van Beethoven. A tal proposito, l'articolista scrive: "l'esecuzione tecnica non era certo così buona dal punto di vista estetico come la precedente, ma un paio di pezzi di Chopin, un notturno e uno scherzo, che gli succedettero, furono resi ammirevolmente e suscitarono un grande applauso". Dopo Chopin, Vincenzo De Giorgio è passato a "due graziosi e piacevoli brani di musica da salotto che sono stati suonati con brillantezza e grande gusto". Poi c'è stato l' "Etude" di Sigismund Fortuné François Thalberg (pianista e compositore austriaco vissuto nell'Ottocento) eseguito con grande tecnica, "probabilmente il miglior numero del recital". Vincenzo De Giorgio ha poi eseguito il "Valzer" del compositore napoletano Costantino Palumbo (1843-1928), suo contemporaneo. Il primo concerto australiano di Vincenzo De Giorgio si è concluso con "Tarantella e Canzone" di Franz Liszt a cui il musicista scurcolano "ha reso ampiamente giustizia". 

Dopo il suo concerto d'esordio nell'agosto 1898, il maestro De Giorgio iniziò a essere conosciuto, apprezzato e amato ad Adelaide, città nella quale visse e lavorò per alcuni anni, fondando anche una scuola di canto classico in Hutt Street. Qui rimase fino al 1902, anno in cui decise di rientrare per la prima volta in Italia. Tornò a Scurcola, ovviamente, dove si trovava la sua famiglia. Vincenzo De Giorgio, probabilmente nel 1895 (quindi prima di recarsi in Australia), aveva sposato Agnese Bontempi (nata a Scurcola il 1° ottobre 1872, figlia di Cosimo Bontempi e Marta Fiorani), una delle discendenti della prestigiosa famiglia che tutti conosciamo. Il maestro De Giorgio tornerà in Australia intorno al 1909, assieme a sua moglie e ai suoi tre figli: Beatrice, Mario e Lea. Nella sua vita continuerà a viaggiare tra l'Italia e l'Australia fino a quando, nel 1937, deciderà di rientrare e rimanere definitivamente a Scurcola.

domenica 10 gennaio 2021

L'incendio che nel 1922 distrusse il Municipio di Scurcola Marsicana


Tra le più imponenti e devastanti perdite della storia umana e amministrativa di Scurcola vi è, senza alcun dubbio, quella degli archivi storici comunali. Le cronache, riprese già da altri autori prima di me, riferiscono che, nella serata dell'11 gennaio 1922, le stanze del Municipio di Scurcola vennero improvvisamente avvolte dalle fiamme. Negli archivi della Prefettura dell'Aquila è conservata una comunicazione ufficiale, ripresa da Fulvio D'amore in "Scurcola Marsicana Historia" [1], con la quale il Prefetto comunicava al Ministero dell'Interno che "nei locali del municipio di Scurcola Marsicana, per cause non bene precisate, si sviluppò un violento incendio che in breve distrusse lo stabile con tutti i mobili e le suppellettili, e gli incartamenti che vi erano conservati". 

Nei ricordi di molte famiglie scurcolane, ancora oggi, restano i racconti di quel che avvenne in quel lontano gennaio del 1922 perché in tanti, al tempo, cercarono di partecipare alle operazioni di spegnimento. Anche nella mia famiglia, ad esempio, rimane qualche piccola memoria di quel disastro: mio nonno Antonio Tortora, al tempo poco più che ventenne, ha raccontato che, insieme ad altri giovani di Scurcola, tentò di placare le fiamme e di salvare gli archivi comunali. Fu tutto inutile. Ovviamente venne avviata un'inchiesta, seguita dall'ispettore di Polizia Baldi, per capire cosa fosse avvenuto e chi, eventualmente, avesse appiccato l'incendio. 

Palazzo del Municipio in una foto di inizio '900

Tutto si concluse con un nulla di fatto. Nessuno venne incriminato anche se le indagini portarono ad accertare che, quasi sicuramente, l'incendio fu di natura dolosa. Nella serata dell'11 gennaio del 1922, dunque, qualcuno, probabilmente passando attraverso una finestra della Camera di Consiglio, rimasta danneggiata dal terremoto del 1915 e mai riparata, si introdusse nel Municipio e diede alle fiamme vecchi incartamenti da cui divamparono le fiamme che distrussero tutto il resto. Secondo le testimonianze raccolte, uno dei consiglieri comunali dell'epoca, Alvise Nuccetelli, si trovava nei pressi dell'edificio comunale e, accorgendosi che qualcosa non andava, diede immediatamente l'allarme. "L'incendio avvolse tutto il locale che si componeva dell'archivio, camera del Segretario, di quella degli impiegati comunali, di quella già gabinetto del Sindaco, per le riunioni consiliari e pel Consorzio Idraulico e di quella appartenente già agli impiegati e poscia ai catasti ed altro". [2] 

Nove giorni dopo l'incendio, il 24 gennaio 1922, il Sindaco di Scurcola, Costantino Oddi, inviò a molti altri sindaci del territorio, e non solo, una richiesta di aiuto. A documentare questo momento, un interessante documento pubblicato per la prima volta da Dario Colucci [3] attraverso il quale Oddi cercava un sostegno economico per "procedere alla ricostituzione di un Comune gravemente provato dall'avversa fortuna". Non è chiaro se l'appello del primo cittadino venne raccolto e se qualche altra amministrazione inviò denaro a Scurcola. Di certo, come spiega lo studioso D'Amore, l'amministrazione comunale decise di dimettersi in blocco (quattordici consiglieri su venti) e il Municipio venne affidato a un commissario prefettizio (dott. Luigi Sestili della Regia Sottoprefettura di Avezzano) il quale tentò di ricostruire, almeno in parte, la documentazione distrutta mettendo in luce, alla fine, l'esistenza di delibere e vertenze su contenziosi aperti, soprattutto in materia demaniale, che potrebbero spiegare perché qualcuno scelse di cancellare ogni traccia e ogni potenziale problema dando alle fiamme l'intero Municipio. Per necessità, gli uffici comunali furono trasferiti temporaneamente prima presso i locali della Congregazione di Carità (Confraternita della S.S. Trinità) e successivamente (1929) presso la casa di Vittorio Nuccitelli, in Via della Stazione.


Note:
[1] Fulvio D'amore, "Scurcola Marsicana. Historia", DVG Studio, Avezzano, 2005, p. 469.
[2] Archivio di Stato L'Aquila, Archivio Prefettura, Serie II, Affari dei Comuni, VIII Versamento, Scurcola Marsicana, Anni 1922-24, b. 770.
[3] Dario Colucci, "1a Appendice a De Scurcola Marsorum", 2011, p. 30.

martedì 5 gennaio 2021

La prima fotografia della Madonna della Vittoria


Tra i vari documenti che Aulo Colucci ha messo a mia disposizione, c'è una vecchissima fotografia che ritrae la statua della Madonna della Vittoria accanto alla quale è inginocchiato un sacerdote. Come lo stesso Aulo spiegò a suo tempo, attraverso le pagine di "Scurcola Domani", il giornalino che ha ideato e curato per parecchi anni, l'immagine è probabilmente la prima foto della storia di Scurcola in cui appaia la Madonna della Vittoria. Nella sua riflessione, Aulo riteneva che la foto fosse stata scattata intorno alla metà dell'Ottocento presso l'abitazione di don Vincenzo Liberati, il parroco del tempo, il quale decise di custodire la statua della Madonna nella sua casa mentre la Chiesa di Maria SS. della Vittoria veniva ristrutturata grazie ai fondi messi a disposizione (settecento piastre napoletane, secondo quanto riporta don Carlo Grassi [1]) dal re Ferdinando II Borbone nell'anno 1849 (come attestato da una lapide attualmente apposta nei pressi dell'ingresso laterale dell'edificio sacro). 

Lapide con il nome di Re Ferdinando II - 1849

Un'ipotesi che sembra del tutto plausibile se non fosse che, osservando nel dettaglio la fotografia, non avessi rilevato un dettaglio. La Madonna della Vittoria e il Bambino, come si può notare, indossano le due preziose corone d'oro donate alla protettrice di Scurcola nel corso di una affollata e sentita cerimonia che, come scrive il domenicano scurcolano P. Filippo Bontempi, venne celebrata, alla presenza di Monsignor Domenico Brizi, "nell'ultima domenica di Settembre del 1757 nel sito così detto Aia dello Ospedale propriamente vicino alla Chiesolina del Purgatorio". Lo scettro, invece, venne donato a Maria SS. della Vittoria un secolo più tardi, nel 1857, per celebrare degnamente la ricorrenza del centenario dell'Incoronazione. Ed è proprio la presenza dello scettro a creare qualche dubbio in merito all'ipotesi avanzata a suo tempo da Aulo Colucci

Madonna della Vittoria con corona e scettro

Se la Madonna della Vittoria appare con lo scettro, vuol dire semplicemente che lo scatto è stato realizzato quanto meno dopo il 1857, ossia dopo la donazione del prezioso oggetto d'oro. Altro limite temporale: la foto non può essere stata realizzata dopo del 1870, anno in cui don Vincenzo Liberati morì. Il problema, a quanto pare, rimane senza soluzione: perché don Vincenzo Liberati avrebbe dovuto custodire presso la sua abitazione la statua della Madonna? Per cercare di comprendere meglio, ho contattato la signora Carmen Talone, proprietaria della vecchia fotografia di cui parliamo. La signora Talone, con grande gentilezza, mi ha spiegato che don Vincenzo Liberati era fratello del suo bisnonno Giuseppe

La casa di don Vincenzo Liberati in via dello Statuto

L'abitazione di don Vincenzo, appartenente alla famiglia Liberati, era ed è ubicata lungo via dello Statuto, poco prima di arrivare all'Arco di Scoccetta. La statua della Madonna e il sacerdote sono stati immortalati su un terrazzino che affaccia verso Corso Vittorio Emanuele III. Purtroppo neanche la signora Carmen Talone conosce la data esatta in cui la fotografia è stata scattata né perché la statua della Madonna della Vittoria, in quel momento, si trovasse nella casa di don Vincenzo, considerando che i lavori di ristrutturazione della Chiesa, dopo il 1857, dovevano essere stati già ultimati

Il volto di don Vincenzo Liberati, verosimilmente, è quello del primo sacerdote di Scurcola ad apparire in una fotografia. Il suo nome, tra l'altro, figura nel noto libro [2] del contemporaneo Andrea Di Pietro, il quale scrive: "la medesima statua rimase sepolta fra le alte rovine fino all'anno 1525 quando fù rinvenuta dietro la visione che ebbe una donna di Tagliacozzo, e trasportata prodigiosamente sopra la Rocca di Scurcola dove i divoti Scurcolani fabbricarono un tempio decente, che negli ultimi anni, dietro le somme cure del Canonico D. Vincenzo Liberati non che di tutto il Capitolo e degli altri proprietari di Scurcola con danaro avuto dalla Real Casa di Napoli, è stata rinnovata dai fondamenti, mirabilmente abbellita ed ingrandita".

Lapide dedicata a don Vincenzo Liberati nella Chiesa della Madonna

Di don Vincenzo Liberati si parla anche in un documento dei primi del Novecento [3] in cui si descrivono i giorni successivi all'Eccidio di Scurcola Marsicana del 22/23 gennaio 1861: "Il colonnello Quintini, avuto riguardo allo stato davvero miserando della numerosa famiglia del suddetto Monti, e volendo perciò ad ogni costo salvarlo, pretendeva da lui soltanto una dichiarazione, colla quale avesse promesso di vivere per l'avvenire da buon cittadino. Lo sciagurato si ricusò di sottoscriverla, aggiungendo parole arroganti, e fu moschettato alle spalle. I due monaci, per altro, furono liberati, essendo stata accertata la loro innocenza; e di lì a qualche giorno, venne messo in libertà anche il Parroco di Scurcola Don Vincenzo Liberati. Gli altri arrestati della falange di Giorgi, già scomparso, non avendo preso parte neppure al conflitto, vennero rimandati alle loro famiglie". Infine vale la pena rilevare che, nella Chiesa di Maria SS. della Vittoria, all'interno della Cappella posta a sinistra dell'altare maggiore, esiste una lapide di marmo con la quale Giuseppe Liberati, bisnonno di Carmen Talone, volle ricordare il fratello, don Vincenzo, dopo la sua morte, avvenuta il 19 febbraio 1870 quando il canonico aveva 66 anni. 


Note:
[1] Carlo Grassi, "S.M. della Vittoria nel II° Centenario dell'incoronazione", Scurcola Marsicana, 1957. 
[2] Andrea Di Pietro, "Agglomerazioni delle popolazioni attuali della Diocesi dei Marsi", Pescina, 1869. 
[3] Beniamino Costantini, "Azione e reazione: notizie storico-politiche degli Abruzzi, specialmente di quello Chietino, dal 1848 al 1870", Chieti, Tipografia Editrice C. di Sciullo, 1902.