venerdì 31 luglio 2020

I misteriosi Visardi della Cappella dell'Angelo Custode


Tra i tanti e suggestivi "misteri" che si celano tra le pieghe della storia scurcolana, si possono includere anche Marco Antonio Visardi e Giovanni Pietro Visardi. Ho provato a cercare informazioni in proposito ma, nonostante i vari tentativi, non sono riuscita a trovare nessuna notizia circa questi due personaggi. Eppure a Scurcola i nomi di Marco Antonio Visardi e Giovanni Pietro Visardi sono presenti da secoli anche se, quasi sicuramente, pochissimi scurcolani li hanno notati o sono in grado di dire dove si trovino. 

Il nome di Marco Antonio Visardi

Marco Antonio Visardi e Giovanni Pietro Visardi hanno lasciato la loro "firma" e, tanto per cambiare, l'hanno lasciata all'interno di una Chiesa. Per la precisione nella Chiesa della SS. Trinità. Esattamente nella Cappella dell'Angelo Custode che qui ho già trattato sia parlando di Angelo Guerra di Anagni, il pittore che ha dipinto la splendida parete di fondo, sia parlando dei segni lasciati da quelli che ho definito vandali d'altri tempi. Ebbene, sempre all'interno di questa cappella, una tra le più belle e meglio conservate della nostra Chiesa, si trovano anche i nomi di Marco Antonio Visardi e Giovanni Pietro Visardi

Affresco di Santa Caterina

Per essere precisi: il nome di Marco Antonio Visardi si trova scritto ai piedi dell'affresco che rappresenta Santa Caterina, sul lato destro dell'ingresso della Cappella; il nome di Giovanni Pietro Visardi, o Ioa Petrus Visardus, si trova inciso sulle colonne di ingresso della balaustra che limita lo spazio della Cappella di cui stiamo parlando. Considerando che entrambi portano lo stesso cognome, potrebbe trattarsi di persone imparentate tra di loro.

Affresco di Santa Barbara

"Marco Antonio Visardi f.f." si legge ai piedi del ritratto di Santa Caterina. La sigla f.f. solitamente indica la dicitura latina "fieri fecit" ossia "fece fare". Ciò sta a significare che almeno l'affresco di Santa Caterina e, vorrei ipotizzare, anche quello che si trova esattamente di fronte, l'affresco che ritrae Santa Barbara, sono stati fatti realizzare da Marco Antonio Visardi che, chiaramente, è il committente delle opere. Si può ipotizzare che l'intero ciclo degli affreschi della Cappella dell'Angelo Custode possa essere stato "fatto fare" da Marco Antonio Visardi? Chissà.

Il nome di Giovanni Pietro Visardi inciso sulla balaustra

Il nome di Ioa Petrus Visardus, come detto, compare inciso e ben visibile nelle decorazioni di marmo che compongono le colonnine principali della balaustra. Nella parte superiore è presente un bassorilievo che riproduce un elmo circondato da foglie di acanto. Appena sotto si trova una stella a otto punte collegata a un cuore che ricorda molto il Sacro Cuore di Gesù. Poco più in basso appare inciso il nome di Giovanni Pietro Visardi

Purtroppo non so dire con precisione che significato abbiano questi elementi decorativi: l'elmo, l'acanto, la stella, il cuore. Potrebbe trattarsi di un richiamo alla famiglia Visardi che, considerati gli emblemi come l'elmo con gorgiera e le foglie di acanto, doveva godere di un certo prestigio "cavalleresco". I Visardi hanno lasciato il loro nome ben visibile all'interno di una delle cappelle più preziose e antiche di Scurcola poiché, evidentemente, avevano un legame profondo con la comunità scurcolana, questo è innegabile. Ora sarebbe interessante scoprire chi fossero e perché dei Visardi, oggi, non si sa più niente.

martedì 28 luglio 2020

Conte Rosso

Qualche giorno fa, attraverso una piattaforma online che consente l'auto-pubblicazione, ho creato un e-book che si intitola "L'album delle piccole memorie". Si tratta di una raccolta di quindici racconti brevi che ho scritto lo scorso anno. Storie "minime", come mi piace definirle, perché riguardano episodi semplici di persone semplici appartenenti per lo più alla mia famiglia. Le mie origini sono doppie poiché mio padre è di Scurcola Marsicana e mia madre di Luco dei Marsi per cui ne "L'album delle piccole memorie" ci sono racconti che provengono da entrambe le radici. 

"Conte Rosso" è un racconto a cui sono molto affezionata. Ho cercato di ricostruire, a tratti immaginandola, la vicenda di  immigrazione di Peppe ossia Giuseppe Falcone, fratello di mia nonna paterna, Maria (dalla quale ho ereditato il nome che porto). Questa è una delle quindici storie presente ne "L'album delle piccole memorie" (acquistabile QUI).

Zio Peppe con la nipote Lina
Quando Peppe partì per l'America a Scurcola c'era la neve. L'inverno era la stagione peggiore. Quel paese doveva lasciarlo, proprio come aveva già fatto suo fratello e come stavano facendo in tanti. Si poteva trovare lavoro e magari pure un po' di fortuna: i soldi, dicono, in America vengono più facili. Qui, invece, a parte qualche zolla di terra e poche bestie da pascolare e mungere non c'è pane a sufficienza. Soprattutto dopo una Guerra che ha lasciato solo morti da piangere e madri e vedove col nero addosso. Peppe, nato nel 1901, a metà strada tra un fratello e una sorella, ormai sa quello che va fatto. Ha già ventitré anni e sente dentro l'urgenza di trovare un posto su una nave pronta ad attraversare l'Atlantico.
La paura si sente, per forza. Chi è mai uscito dalle viuzze tutte scalini e pietre del paese marsicano? Ma la paura si vince, basta un pizzico d'incoscienza o una bella dose di disperazione. Peppe parte e saluta tutti. Rincuora la madre, si stringe un attimo al padre e sorride come può agli altri. Qualche pezzo di sé resterà qui per sempre, sui gradini della Chiesa della Madonna della Vittoria o in mezzo ai prati della Cene Sante, tra le risate sghembe degli amici d'infanzia e sulle labbra fresche di Serafina. La bella Serafina dagli occhi scuri: Peppe se la vorrebbe sposare, ma qui non c'è granché per vivere e potrebbe darle poco o niente. Andrà dove sono già andati in tanti e, se Dio avesse voluto, un giorno Serafina l'avrebbe sposata per davvero. 
Si imbarca a Napoli. Il porto puzza di gente, di fumo e di attesa irrequieta. Peppe può salire a bordo del transatlantico Conte Rosso. Pare sia stato costruito lontano dall'Italia, in una città mai sentita prima che si chiama Glasgow. Da un paio d'anni trasporta migranti italiani fino a New York. Peppe guarda quel mostro galleggiante e crede che potrebbe contenere tutti gli scurcolani più qualcun altro. Ha due alberi altissimi, due giganteschi fumaioli e sicuramente è lungo duecento metri.
Sul Conte Rosso Peppe viaggia alcune settimane tra tanti migranti che, come lui, il mare non l'hanno mai visto né saputo immaginare. Ma di certo a casa non si può più stare. "Ci porterò pure Serafina in America", si dice Peppe salendo sul ponte da dove si vede il mare più grande del mondo. Un po' ha paura ma è la paura di tutti e, forse anche per questo, si sente meno solo e meno avvilito.
***
Peppe sbarcherà a Ellis Island il 17 febbraio del 1924, vivrà a New York e tornerà nel suo paese natale, a Scurcola Marsicana, diverse volte nel corso della sua vita. Serafina lo raggiungerà qualche anno più tardi, nel 1929. Si sposeranno e avranno quattro figli maschi. La vita di Peppe sarà illuminata dal successo: diventerà uno dei costruttori più importanti di New York, che forse è più di quanto Peppe si sarebbe mai permesso di sognare.
Il Conte Rosso, l'imponente transatlantico che lo ha condotto fino in America, avrà un'altra storia. Nel 1935 sarà utilizzato come piroscafo per il trasporto di truppe italiane verso l'Etiopia. Pochi anni più tardi, durante la Seconda Guerra Mondiale, come imbarcazione della Marina Militare, farà da spola tra l'Italia e le coste dell'Africa del Nord. Il suo ultimo viaggio risale al 24 maggio 1941. Quel giorno, intorno alle 20.40, a circa dieci miglia da Capo Murro di Porco, al largo di Siracusa, il Conte Rosso viene colpito da due siluri lanciati da un sommergibile inglese. Il transatlantico naufraga nel giro di quindici minuti portando a fondo con sé 1.297 persone. Una tragedia immane di cui, forse, pochi conservano memoria.

venerdì 24 luglio 2020

Lo chalet della Croce Rossa costruito a Scurcola dopo il terremoto del 1915


Poco dopo il terremoto del 13 gennaio 1915, anche a Scurcola la Croce Rossa assegnò uno chalet. Secondo quanto viene spiegato in un articolo pubblicato all'interno della rivista mensile "La Lettura", associata a "Il Corriere della Sera", numero 10 dell'ottobre 1915, l'allora presidente della Croce Rossa, il conte Gian Giacomo Cavazzi della Somaglia, "ebbe l'idea di esplicare l'attività della Croce Rossa a beneficio dei medici condotti dei Comuni della Marsica maggiormente danneggiati dal terremoto, costruendo in ciascuno Comune una casa di abitazione pel medico, e aggregandovi un ambulatorio per il pronto soccorso". Venne così deliberato di costruire trenta case in trenta località marsicane colpite duramente dal terremoto del 1915

A Scurcola lo chalet della Croce Rossa, che doveva servire contemporaneamente come studio medico e come abitazione del medico stesso, venne realizzato lungo la strada che oggi è denominata "Via dell'Immagine", in un'area che al tempo apparteneva alla famiglia De Giorgio, nello specifico proprio al Maestro Vincenzo De Giorgio, che la mise a disposizione per l'emergenza in corso. In questo grande appezzamento di terreno, che molti chiamano ancora "la chiusa", oltre allo chalet, vennero edificate anche delle piccole baracche prefabbricate che servirono a dare ospitalità e riparo a chi aveva perso la propria abitazione durante la forte scossa

Lo chalet nella sua posizione originaria e le baracche post sisma

Tornando alla rivista del 1915, possiamo anche leggere che "dopo uno studio accurato, venne prescelto un tipo di chalet svizzero costruito in muratura e legno; e il primo chalet fu inaugurato in Avezzano il 21 aprile. Ogni chalet venne costruito sopra un'area designata dal Genio Civile di circa quattrocento mq. di superficie, con una fronte di venti metri". In questo interessante articolo, si possono leggere anche informazioni relative ai dettagli strutturali dello chalet: "composto di una parte in muratura, fondazioni e sopraelevazioni fino ad un metro e mezzo circa da terra, e di una parte in legno (abete rosso) a pareti di 7 cm e mezzo di spessore, elevato a due piani da terra. La copertura degli chalets è costituita di un doppio soffitto di tavolato con una intercapedine di 15 cm di area e ricoperto di uno strato di feltro bituminato e tegole alla romana in cemento". 

Unica baracca sopravvissuta (foto 2020)

Si legge anche che all'interno di ogni chalet (composto da cinque vani al piano superiore più due soffitte laterali) era presente una cucina economica, un lavandino di cemento granitello, un lavabo di porcellana per lo studio del dottore e altri elementi utili all'attività medica. Per accedere al primo piano c'era una scala di legno. Lo chalet era dotato di due ingressi, uno per l'ambulatorio medico e uno per l'abitazione del dottore. Quando l'emergenza legata al terremoto venne meno, il "nostro" chalet non fu smantellato come è accaduto in numerosi paesi della Marsica, ma venne messo all'asta e venduto. 

Maria Annunziata Calizza davanti al suo chalet

Ad acquistare lo chalet della Croce Rossa fu una scurcolana che rispondeva al nome di Maria Annunziata Calizza. Stiamo parlando di una donna nata a Scurcola nel 1879 che ebbe una vita difficile ma affascinante. Maria Annunziata comprò lo chalet e decise di spostarlo in una zona diversa. Aveva acquistato un bel pezzo di terra lungo la parte più pianeggiante del paese e lì volle che il suo chalet venisse installato. Fece realizzare un piano rialzato in muratura e al di sopra fece rimontare l'edificio che fino a qualche anno prima era servito come studio medico post sisma. Fece erigere una doppia scala per l'ingresso e chiamò persino un architetto per far sistemare il grande giardino e frutteto che desiderò impiantare alle spalle del suo chalet. 

Lo chalet oggi in via Lombardia a Scurcola Marsicana

Maria Annunziata Calizza è stata una donna intraprendete, determinata e molto intelligente. È solo grazie a lei e alla sua solerte iniziativa se, ancora oggi, in via Lombardia (una traversa di via Roma), a Scurcola, è possibile trovare quel vecchio e prezioso chalet che, seppur leggermente rimodernato, continua a essere utilizzato come abitazione privata. Maria Annunziata, dopo essere stata a Roma per molti anni, dopo aver mostrato di possedere uno straordinario spirito imprenditoriale che le permise di aprire nella Capitale ben 13 diverse attività commerciali, scelse di tornare a vivere a Scurcola e abitò nello chalet fino alla sua morte, avvenuta quando aveva 88 anni

*** 

Devo ringraziare Riccardo Ercoli e Anna D'Afflitto per avermi permesso di conoscere Maria Annunziata Calizza, di cui sono discendenti. Li ringrazio per la loro solerzia, per la disponibilità, per l'incoraggiamento e la condivisione. Senza l'intercessione di Riccardo non avrei conosciuto Anna e senza Anna non avrei conosciuto Maria Annunziata, una sorprendente donna scurcolana che sono fiera di aver raccontato e ricordato, almeno in parte.

martedì 21 luglio 2020

Alfonso Silvestri, uno scurcolano emigrato nel 1914


Non è facile rintracciare ritratti o fotografie degli scurcolani emigrati. Soprattutto se il viaggio verso gli Stati Uniti o altri Paesi d'Europa o del mondo è stato compiuto nei primi anni del Novecento. L'uomo ritratto nella foto d'apertura si chiama Alfonso Silvestri. Di lui, a parte il nome, non sapevo nulla. Però le storie dei nostri migranti sono sempre interessanti e, personalmente, ritengo valga sempre la pena recuperarle e raccontarle, se possibile. La mia piccola ricerca sullo scurcolano Alfonso Silvestri è partita, semplicemente, dal suo nome: l'ho cercato negli elenchi degli italiani arrivati a Ellis Island, negli Stati Uniti, lì dove venivano registrati e annotati i dati anagrafici di chi approdava negli Stati Uniti. 

Alfonso Silvestri negli Stati Uniti

Dalla mia piccola ricerca ho scoperto che Alfonso è giunto sulle coste statunitensi esattamente il 22 aprile 1914. Era un mercoledì. Non era un ragazzino, Alfonso. Nel 1914 aveva già 42 anni ed era sposato, secondo quanto dichiarato all'arrivo, con Maria Sabatini. Probabilmente aveva anche dei figli, ma non è indicato in questi registri. Ho provato ad immaginare le sensazioni e le preoccupazioni di un uomo, non più giovanissimo, che sceglie di lasciare il paese in cui, verosimilmente, è sempre vissuto e di imbarcarsi per un viaggio verso un Paese lontano, oltre Oceano. Alfonso era nato nel 1872 e, probabilmente, fu costretto a lasciare Scurcola, come molti altri compaesani, per trovare lavoro e fortuna altrove

Elenco degli scurcolani arrivati il 22 aprile 1914

Dalle note del viaggio di Alfonso, si rileva che viaggiò assieme ad altri scurcolani. Per l'esattezza: Antonio Di Massimo nato a Scurcola nel 1885 (29 anni) celibe; Domenico Petitta nato a Scurcola nel 1885 (29 anni) sposato con Teresa Petitta; Antonio Di Massimo nato a Scurcola nel 1897 (23 anni) sposato con Angiola Silvestri; Antonio Fallocco nato a Scurcola nel 1886 (28 anni) sposato con Santa Fallocco. 

Transatlantico San Gugliemo (1911-1918)

Tutti arrivarono in quel lontano 22 aprile 1914, tutti imbarcati da Napoli sul transatlantico San Guglielmo, costruito nel 1911 nei cantieri navali D. & W. Henderson & Company di Glasgow, in Scozia. Il San Guglielmo poteva viaggiare ad una velocità di 15,5 nodi e trasportare fino a 2.425 passeggeri, di cui 50 in prima classe, 175 in seconda e 2.200 in terza. Aveva due fumaioli e due alberi. Era utilizzato tra l'Italia e New York. Fu silurato e affondato da un sottomarino tedesco nel Golfo di Genova l'8 gennaio 1918, durante la Grande Guerra

Il nome dello studio fotografico di Brownsville

Un piccolo, ulteriore dettaglio. Nella parte inferiore del ritratto di Alfonso Silvestri c'è l'indicazione dello studio fotografico che ha realizzato e stampato l'immagine: Pratt's Studio - Brownsville, PA. Di Pratt's Studio non ho rintracciato notizie. "Brownsville, PA" è Brownsville in Pennsylvania. Si tratta di un paese che si trova nella Contea di Fayette, in Pennsylvania, per l'appunto. Si trova a 56 chilometri a sud di Pittsburgh (città storicamente ricca di italiani emigrati). Per curiosità ho provato a cercare il cognome Silvestri a Brownsville, PA e, nemmeno troppo sorprendentemente, ho rilevato la presenza di alcuni cittadini che portano lo stesso cognome del nostro Alfonso. Saranno suoi discendenti?

venerdì 17 luglio 2020

La pineta di Scurcola a tre anni dall'incendio


Come molti ricorderanno, nel luglio del 2017 un vasto incendio ha devastato la nostra montagna. Le fiamme, causate dal gesto idiota di uno sconsiderato (che temo non sia mai stato identificato e, quindi, non abbia mai pagato per ciò che ha fatto), si sono sviluppate a partire dalla strada per Sorbo e, a causa del forte vento e del gran caldo, nell'arco di poco tempo, hanno divorato quasi completamente la grande pineta che, fin dalla metà del Novecento, occupava una vasta area di Monte San Nicola, sopra alla Rocca Orsini. L'incendio si è propagato fino a lambire alcune abitazioni del paese e ha creato panico e preoccupazione a tutti gli scurcolani. L'intervento dei Vigili del Fuoco, lungo e complesso, è stato provvidenziale e ha permesso di non avere vittime o danni al borgo di Scurcola.

Ciò che resta di alcuni pini

L'unica a pagare a carissimo prezzo il gesto insensato di un solo, sciocco individuo, che mi limito a definire incosciente, è stata proprio la nostra pineta. Sono trascorsi tre anni da quel terribile pomeriggio del 20 luglio del 2017 e la pineta, purtroppo, si trova nelle stesse identiche condizioni in cui l'ha lasciata l'incendio. Ho camminato tra quei tronchi carbonizzati, tra le radici di alberi crollati, tra i rami scheletrici e neri di fumo. Uno spettacolo desolante e una condizione di pericolo costante. 

Ramo carbonizzato

Ho deciso di pubblicare le immagini della pineta così come è adesso affinché lo strazio della montagna e dei suoi alberi distrutti rimanga negli occhi di chi legge questo post. Per capire, per ricordare, per evitare che ciò accada di nuovo. Ci sono tronchi ormai morti che vanno rimossi, alberi pericolanti che vanno portati via e rami precipitati che non hanno più vita. Spero con tutto il cuore che l'amministrazione provveda a definire presto un progetto per bonificare e mettere in sicurezza l'area e, soprattutto, spero che si possano piantare nuovi alberi al posto di quelli divorati dalle fiamme

Pini sradicati e crollati

La pineta di Scurcola è nata per iniziativa umana, prima degli anni Cinquanta non esisteva. È stata impiantata grazie a programmi di rimboschimento messi a punto dopo la Seconda Guerra Mondiale che servirono a dare lavoro a parecchie persone al tempo. La montagna venne terrazzata e, nell'arco di due o tre anni di opera laboriosa, venne arricchita da vegetazione sempreverde. Con gli anni quei pini sono cresciuti fino a divenire alberi alti più di dieci o quindici metri. Ora molti di loro non esistono più: l'incendio, putroppo, ne ha risparmiati pochissimi. Inutile dire quanto sia stato grande il danno arrecato al nostro paese, alla nostra montagna, al nostro paesaggio, alla nostra vita. Sì, anche alla nostra vita. Perché resto convinta che distruggere un albero sia e rimanga un enorme delitto.

Scurcola Marsicana con la pineta (anno 2016)

Di seguito una poesia di Aldo Bovi scritta a poche ore dall'incendio:

ADDIO DOLCE PINETA

M'incantavo a guardarti ogni mattina,
appena sveglio dalla mia finestra.
Mi sublimavi l'anima. Mi davi pace con la tua bellezza.
Ora non ci sei più!!! Dolce Pineta mia,
una mente malsana t'ha incendiata.
In un attimo sei volata via, avvolta in fiamme immani;
mentre io, con inutile rabbia e con le mani abbarbicate sulla balaustra,
assistevo impotente al grande rogo e l'anima muta piangeva.
Quanti, quanti cari ricordi son bruciati con te!
Ti avevo vista nascere, dolce pineta mia.
Ero fanciullo ed ancor vivo è in me
il ricordo di quella montagna,
brulla, a quel tempo, rasa e senza piante.
Era appena finita la tremenda guerra,
e quando il treno superava Villa,
mia madre, ansiosa dopo un anno,
di riabbracciare i cari genitori,
s'incollava al finestrino e guardando la Croce avvicinarsi,
sommessamente recitava un Pater.
Fu proprio da quel treno che un bel giorno,
una scritta titanica mi apparve, immensa,
lunga come la montagna tutta, fatta con bianche pietre e sassi:
CANTIERE DI RIMBOSCHIMENTO NAZIONALE, recitava.
E squadre di operai bagnaron di sudore quella terra per lunghi mesi,
per terrazzarla e con badili, zappe e sole braccia, renderla feconda.
E su di essa candide dita di scolari piantarono i tuoi candidi germogli.
Così nascesti tu! Cara Pineta mia
ed anno dopo anno (per ben 60) ti ho vista crescere
e diventare, come florida donna,
splendida e matura, ricca di aromi, di nidi e di animali
Mi davi pace con la tua presenza e passavo serate ad ammirarti.
E ora dalla mia finestra vedo solo carbone
ed un'angoscia mi serra il cuore.
Certo, lo so! Anzi lo voglio credere!
Noi tutti ti ripianteremo: pianta per pianta.
E son sicuro che i miei nipoti ti rivedranno bella come prima
Certo non io! A me rimarrà per sempre solo il ricordo della tua bellezza
e del lontano faticoso lavoro che ti fece.

(Aldo Bovi - Scurcola Marsicana, 21 luglio 2017)

Disegno dell'incendio di Giuseppe Nuccitelli (4 anni nel 2017)

Voglio aggiungere un ulteriore elemento al post. Un disegno molto speciale realizzato da un bambino di Scurcola, Giuseppe Nuccitelli che, nel 2017, aveva solo 4 anni. Giuseppe, figlio di Agostino Nuccitelli e Antonella Curini, è rimasto molto colpito dalle fiamme che vedeva sulla montagna e dai Vigili del Fuoco all'opera. "Fece questo disegno con tutti i mezzi che cercano di spegnere gli alberi in fiamme, alcuni sono ormai carbonizzati. In basso a destra la polizia arresta il colpevole con le mani in alto..." mi ha spiegato sua madre Antonella. Un disegno che attesta lo shock provato da un bimbo, il suo modo di vedere e interpretare un disastro immane ma anche una sorta di "lieto fine" che, come in tutte le fiabe che si rispettino, ci si aspetta: l'arresto del "cattivo".

martedì 14 luglio 2020

Vandalismi d'altri tempi: scritte e graffiti sulle mura della Cappella dell'Angelo Custode


Anche a Scurcola ci sono state persone, vissute nei secoli passati, che si sono divertite a deturpare antichi affreschi lasciando la propria firma o qualche altro segno del proprio passaggio nel mondo. Potremmo serenamente definirli vandali perché è esattamente ciò che sono: persone che compiono atti irrispettosi per il puro gusto di sfregiare ciò che è bello o ciò che appartiene a tutti. Una "moda" che, inevitabilmente, non è mutata molto nel tempo. La tendenza alla deturpazione e la voglia di infrangere le regole sono vecchie quanto il genere umano, evidentemente

Iscrizione incisa sotto all'affresco di San Michele Arcangelo

Recandomi presso la Chiesa della SS. Trinità e, nello specifico, all'interno della Cappella dell'Angelo Custode, dipinta in larga parte nel 1604 da Angelo Guerra di Anagni, mi sono soffermata nell'osservare non tanto e non solo gli affreschi quanto i graffiti, le firme, gli scarabocchi, le escoriazioni e i solchi lasciati nei secoli scorsi da persone che, anche con una discreta laboriosità, va detto, hanno vandalizzato le pareti della Cappella. Ho cercato di decifrare alcune di queste scritte, firme e abrasioni varie ma, onestamente, non sono stata in grado di capire molto a parte qualche firma come quella di Sabatino Orlandi, Nicola Miranti (o Micanti?), nomi sparsi come Evandro, Domenico, Battista, Vincenzo e delle date che vanno dal '700 all'800

La firma lasciata da Nicola Miranti (o Micanti?)

Sarebbe interessante concentrarsi nello studio di questi antichi "vandalismi" perché, seppur riconducibili ad atti spregevoli ed esecrabili, a modo loro, ci raccontano una storia. Si leggono datazioni ottocentesche, si leggono nomi tratteggiati sopra altre parole, si rilevano presenze che né il tempo, né i restauri hanno potuto cancellare. Ho notato che non in tutte le Cappelle della Chiesa della SS. Trinità ci sono graffiti del genere, essi sembrano abbondare proprio nella Cappella dell'Angelo Custode. Forse perché tra le più antiche, forse perché la meglio conservata. 

Esempi di iniziali, nomi e altre incisioni

Alla fine, quindi, i vandali hanno avuto ragione: con un loro sfregio sono riusciti a sopravvivere nel tempo. Forse proprio perché si sono aggrappati a qualcosa che è destinato a vivere nei secoli come un'opera d'arte. Ciò non autorizza nessuno a deturpare o rovinare i nostri piccoli tesori artistici. Anzi, il nostro compito, oggi, è quello di conservarli e fare in modo che, nei secoli a venire, chi verrà dopo di noi, potrà continuare ad ammirarli, a comprenderli e ad amarli.

venerdì 10 luglio 2020

Quattro bambini, una giovane donna e un somarello


Conosco questa bellissima fotografia d'epoca ormai da tempo ma, fino ad ora, non ero stata in grado di identificare né la donna, né i bambini, né il somaro, né il luogo in cui fosse stata scattata. Di recente ho avuto modo di incontrare nuovamente Aldo Bovi che mi ha svelato, finalmente, diversi dettagli e alcuni ricordi personali legati a questo scatto. Aldo, che ringrazio di cuore, mi ha dato anche la possibilità di condividere qui il suo racconto

Prima di tutto la fotografia in bianco e nero che vediamo risale all'anno 1940. Il nesso affettivo che lega Aldo Bovi a questa splendida immagine è rappresentato dalla bella ragazza con una treccia sul capo e il sorriso gentile: lei è Irene Di Pietro, da tutti chiamata Vittoria, la mamma di Aldo. Irene/Vittoria era figlia di Giovanbattista Di Pietro e di Anna Rosa Tortora (a sua volta figlia di Giovanni Tortora e Mecarosa Bontempi) che tutti chiamavano semplicemente Rosina. La famiglia Di Pietro abitava lungo Via dello Statuto, a Scurcola. 

E i bambini chi sono? Aldo mi ha spiegato che i due maschietti più grandicelli seduti in fondo sono i figli di Vittorio Di Massimo, detto "glio Prefetto": Francesco e Antonio. Dei primi due, purtroppo, non ho rintracciato notizie specifiche: uno è un cuginetto di Aldo che veniva a villeggiare a Scurcola da Roma. Il somaro in primo piano, in realtà, è una somara ed era proprio di Giovanbattista Di Pietro, il padre di Irene e nonno di Aldo.

Porta della bottega di Mastro Vincenzo oggi

Lo scatto, come forse qualcuno potrà capire da sé, è stato realizzato nel borgo di Scurcola, per l'esattezza lungo la scalinata di Via Dalmazia, dinanzi a quella che un tempo era la bottega di Mastro Vincenzo, detto Nasone. Stiamo parlando di uno dei falegnami più in gamba di Scurcola, un artigiano che lavorava anche presso l'officina Garzia quando questa si trovava all'inizio di Via della Vittoria. Di Mastro Vincenzo, Aldo ha conservato un ricordo tenerissimo: "lo ricordo ormai vecchio e solo che lavoricchiava saltuariamente e che aveva per compagnia una gattina che chiamava con voce affettuosa "Ciguliiiii!!" Che ricordi struggenti mi vengono in mente!!".

lunedì 6 luglio 2020

Un anno fa la visita del Presidente Mattarella a Scurcola Marsicana


Era il 6 luglio del 2019. È già passato un anno dalla visita che il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, fece a Scurcola Marsicana. Non posso che riallacciarmi a qualche ricordo personale visto che, come molti scurcolani, ero assiepata ai piedi della scalinata della Chiesa della Madonna della Vittoria. Ricordo il grande caldo, ricordo gli agenti della Digos che ci intimavano di rimanere a distanza, ricordo le battute con altri paesani curiosi e contenti, come me, di poter assistere a un evento che, checché se ne dica, rimarrà epocale per la storia di Scurcola

Alla fine il Presidente Mattarella arrivò con la sua scorta e la sua elegante auto blu. Rimanemmo tutti in attesa di vederlo dal vivo. Salì le scale del Santuario della Madonna e, seguito da uno stuolo di persone, entrò in Chiesa. So che ha assistito a una brevissima cerimonia durante la quale gli è stata spiegata la storia della statua della nostra Madonna e fatto qualche accenno alla Battaglia dei Piani Palentini che sconvolse la storia dei nostri luoghi ma anche la storia d'Italia e d'Europa. 

Ho stretto la mano al Presidente Mattarella solo più tardi quando è tornato a salutare e ad avvicinare le persone che lo attendevano. Ricordo i suoi modi gentili, la sua voce pacata: "Grazie" e "Auguri". Ha sfiorato centinaia di persone quella mattina, il Presidente. Ha osservato tantissimi volti. Ha lasciato che lo fotografassero e gli rivolgessero ogni genere di saluto. Personalmente, ritengo che sia stato un momento davvero speciale non solo per me, ma anche per tutti quelli che lo hanno aspettato, accolto e abbracciato coi loro sorrisi e i loro applausi. Un ricordo da  mantenere per sempre.

venerdì 3 luglio 2020

La cappella con affreschi che si trova nel Castello di Scurcola Marsicana


Nell'attesa di poter visitare il Castello Orsini di Scurcola (al momento ancora non accessibile), ho scelto di soffermarmi su un elemento architettonico interno all'edificio storico più importante del paese: la piccola Cappella affrescata della cui esistenza, forse, non tutti sono a conoscenza. Per ottenere qualche informazione più precisa in merito, anche se, al momento, è piuttosto complicato averne, ho chiesto lumi al professor Giuseppe Grossi che ben conosce la Rocca di Scurcola. Grossi mi ha spiegato che la tipologia dell'affresco risale intorno alla metà del Cinquecento. In un articolo pubblicato nell'ormai lontano 1997 sulla rivista "Abruzzo Beni Culturali", il prof. Grossi scriveva: "Nella quarta fase dei Colonna, prima metà del XVI secolo, le mura sono rinforzate con una terza fasciatura esterna, dotata di fori per cannoni e merloni superiori su beccatelli in mattoni. Il puntone viene avvolto da un nuovo bastione a profilo semiovato, con fori per cannoni sull'attacco delle cortine rettilinee. In questa fase è realizzata la Cappella dedicata a S. Angelo, posta sul lato sud-est".

Dettaglio dell'affresco: Dio benedicente con globo
Consultato solo pochi giorni fa, Grossi ha chiarito, su mia precisa richiesta, un dettaglio importante: "la fonte su una cappella di S. Angelo nel castello di Scurcola andrebbe meglio indagata; non vorrei che le informazioni fossero relative alla chiesa di S. Angelo interna al primo borgo alto di Scurcola". Il dubbio relativo alla reale intitolazione della Cappella, con abside affrescato tuttora visibile, presente all'interno del Castello Orsini di Scurcola, è più che legittimo. Nel mio piccolo, anche io credo che la denominazione "S. Angelo" sia riferibile alla Chiesa ormai scomparsa che si trovava nei pressi della seconda recinzione del centro storico e non alla Cappella della Rocca.

Figura di Santa

Le figure ritratte nell'affresco, seppur non completamente riconoscibili, non forniscono alcun richiamo agli Angeli. Nella parte alta dell'abside, come si può rilevare dalle foto che fanno da corredo a questo post, è stato dipinto un Dio benedicente, raffigurato come un anziano, con un globo (sui cui sono leggibili le lettere A A D) sotto la mano sinistra e con un'aureola triangolare che, per la sua forma, simboleggia la Trinità. Al di sotto del Dio benedicente, c'è la figura femminile di una Santa, la quale, a ben guardare, sembra essere accompagnata dalla raffigurazione di una ruota dentata, purtroppo non ben distinguibile, posizionata sotto le braccia. Se così fosse, la Santa dell'affresco potrebbe essere Santa Caterina d'Alessandria che, come sappiamo, viene solitamente ritratta assieme allo strumento del suo supplizio, la ruota dentata, per l'appunto.

Abito domenicano e figura di Santo dell'affresco

Qualche dettaglio in più, forse, si può riconoscere nella figura posizionata sul lato destro. Dai suoi abiti, potrebbe trattarsi di un domenicano: "una tonaca di lana bianca cinta da una cintura di cuoio su cui si indossava una cotta di lino; sopra un largo cappuccio a coprire anche le spalle e su tutto una cappa di lana scura". Ovviamente di Santi appartenenti all'ordine di San Domenico ce ne sono diversi e, tra di essi, possiamo individuare San Vincenzo Ferreri che a Scurcola viene venerato da secoli. Non so se la devozione nei confronti del Santo spagnolo fosse già viva nella Scurcola della metà del Cinquecento, quando la Cappella venne edificata e l'abside affrescato, di sicuro i Vetoli, nel Settecento, dedicarono la loro Chiesa di famiglia (ora sede della BCC di Roma) proprio a S. Vincenzo Ferreri. Ovviamente, anche in questo caso, si tratta di una mera ipotesi. Sul lato sinistro, purtroppo, non è possibile vedere quasi nulla perché l'opera pittorica si è ormai quasi del tutto sgretolata. Resta solo un piccolo volto difficile da decifrare. 

La posizione della Cappella all'interno della Rocca

Infine vale la pena soffermarsi sulla collocazione della Cappella all'interno della Rocca. Essa è stata edificata su quello che era l'originario ingresso al Castello che tale rimase almeno fino al XIV/XV secolo. Con gli importanti rifacimenti architettonici della Rocca, avvenuti nella seconda parte del Quattrocento, l'accesso al maniero venne spostato lì dove possiamo vederlo anche oggi e al posto della precedente e originaria porta di ingresso fu edificata la Cappella di cui ho parlato.