martedì 31 marzo 2020

La Madonna con Bambino rubata a Scurcola negli anni '70


Sembra che Scurcola abbia una predilezione naturale nel lasciarsi rubare, con una particolare quanto innata impassibilità, opere di un certo valore. Ho già scritto di un'antica iscrizione doganale, che si trovava presso l'ormai demolito Palazzo Bontempi, sparita da un momento all'altro ad opera di chissà chi. Ho poi raccontato di come, quasi misteriosamente, sia svanito nel nulla anche un prezioso sarcofago d'epoca romana, trafugato dalla campagna scurcolana dove veniva indegnamente utilizzato come fontanile. Ho fatto anche rilevare la strana assenza di un'insegna che, fino a qualche anno fa, si trovava al di sopra dell'ingresso della Chiesa della SS. Trinità e che oggi non si trova più. Adesso è il momento di dedicare attenzione a un altro oggetto di enorme valore storico e artistico che, negli anni '70, è inspiegabilmente sparito

Chiesa della SS. Trinità a Scurcola Marsicana

Faccio riferimento a un bellissimo dipinto su tavola, risalente al XIV secolo, che era collocato all'interno della Chiesa della SS. Trinità. Una bellissima "Madonna con Bambino" di cui, a oggi, ci resta solo un'immagine in bianco e nero, quella che correda questo post e che ho ricevuto da Franco Farina il quale, come sempre, ha dimostrato grande disponibilità. In base a quanto ho potuto leggere nel volume "Scurcola Marsicana Historia", nella sezione curata dal professor Giuseppe Grossi, la pala d'altare dipinta a tempera, doveva trovarsi originariamente nella Chiesa di S. Maria de Pontibus. Come ho scritto qualche tempo fa, parlando della presenza di Templari a Scurcola, "Santa Maria ad Pontes o Santa Maria de Pontibus, edificio sacro presente nel piccolo villaggio chiamato Villa de Pontibus (o Villa Pontium), che si trovava tra Scurcola e l'Abbazia della Madonna della Vittoria, nei pressi dell'attuale fiume Salto e di cui oggi, purtroppo, non rimane nulla". 

La Maestà di Simone Martini - Siena 1315

Ebbene: la splendida Madonna con Bambino, detta anche "Madonna di Ponte", con buone probabilità, era uno dei pochi oggetti sacri superstiti provenienti dall'antica e perduta Chiesa di S. Maria de Pontibus, la chiesa dei Templari, per l'appunto. Osservando con attenzione la figura della Madonna e del Bambino, possiamo rilevare motivi e temi tipici dell'arte sacra trecentesca italiana. La figura della "Madonna di Ponte" ricorda vagamente un'opera più celebre e importante, ossia la Maestà del noto pittore Simone Martini, un affresco ospitato nella Sala del Mappamondo nel Palazzo Pubblico di Siena e risalente al 1315

Il cartiglio del Bambino della Madonna di Ponti

La nostra Madonna, rubata e mai ritrovata, non ha nulla a che fare con l'opera di Simone Martini, questo è scontato, ma mi sembra interessante sottolineare alcuni elementi in comune tra le due figure: la Madonna è seduta; il Bambino si trova sul lato sinistro rispetto alla Madre; il piccolo Gesù benedice con la manina destra e regge un cartiglio con la sinistra; la veste della Madonna è strutturata nello stesso modo. Non sappiamo chi abbia dipinto la "Madonna di Ponte" né quando esattamente lo abbia fatto. Ciò che è evidente è che essa rispetti in pieno lo stile della sua epoca, il XIV secolo. Un altro dettaglio che mi pare interessante è il cartiglio che Gesù Bambino tiene in mano. È scritto in caratteri gotici, proprio come quello del Bambino della Maestà di Martini, e reca parole tratte dal Vangelo di Giovanni: "Ego sum lux mundi qui sequitur me non ambulat in tenebris" ossia "Io sono la luce del mondo chi segue me non camminerà nelle tenebre [ma avrà la luce della vita]". E potrebbe continuare con "ego sum alfa et omega": "io sono il principio e la fine".

venerdì 27 marzo 2020

Anno 1925. Inaugurazione del Monumento ai Caduti in due foto d'epoca


Qualche mese fa scrissi un post dedicato a "I ragazzi di Scurcola Marsicana caduti in guerra". Un testo col quale ho voluto ricordare i nomi dei nostri concittadini morti durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, nomi che sono riportati sul basamento del Monumento ai Caduti che si trova, come sappiamo, di fronte al vecchio edificio scolastico di Scurcola. Ci sono due foto d'epoca che ricordano la cerimonia di inaugurazione, avvenuta nella primavera del 1925, del Monumento ai Caduti di Scurcola. Due immagini scattate da due punti diversi della piazza la quale, al tempo, durante l'iniziale fase di ascesa del Fascismo, aveva mutato denominazione: da Piazza Vetoli era divenuta Piazza Littorio. La prima foto, quella che apre il post, ci permette di osservare il Monumento frontalmente e di notare la presenza di numerose persone, di un palco per le autorità collocato sul lato sinistro, dell'edificio scolastico, al tempo nuovissimo, e, ovviamente, al centro, il Monumento ai Caduti appena installato.


La seconda fotografia, invece, è stata scattata verosimilmente da una delle finestre della scuola, alle spalle del Monumento. In questo caso si può notare, oltre alla gente in piazza, anche un bel ritratto del borgo di Scurcola così come appariva nel 1925, dopo due terremoti (quello del 1904 e quello del 1915) e dopo la fine della Grande Guerra. Il Monumento ai Caduti è un'opera scultorea che risponde al nome di "Allegoria della Vittoria che bacia un soldato morente". La scultura è realizzata in marmo bianco di Carrara ed è stata realizzata dal cavalier Giuseppe Ciocchetti, un artista-artigiano molto attivo nelle botteghe romane soprattutto nel periodo tra le due guerre e operativo almeno fino agli anni '50 o '60 del secolo scorso. Lavorò anche alla realizzazione delle statue che decorano lo Stadio dei Marmi di Roma.


Per quanto riguarda il monumento, la Vittoria, rappresentata allegoricamente da una figura femminile alata, che sostiene un soldato morente, è stata utilizzata dalla ditta Ciocchetti in più di un monumento dedicato ai caduti in guerra.  Monumenti identici a quello presente a Scurcola, infatti, si possono trovare in Piazza Umberto I a Crotone oppure in Piazza Vittorio Emanuele II a Balvano, in provincia di Potenza  oppure lungo Via Principe di Napoli nel Comune di Stigliano, in provincia di Matera,  oppure in Piazza Vittorio Emanuele a Laterza, in provincia di Taranto. Per la realizzazione del Monumento ai Caduti venne spesa una somma, abbastanza importante per l'epoca, di 34 milioni di lire che gli amministratori del tempo, grazie a un comitato appositamente predisposto, riuscirono a raccogliere nel giro di due o tre anni chiedendo aiuto e supporto economico anche agli scurcolani emigrati negli Stati Uniti.

martedì 24 marzo 2020

Gioacchino Bontempi, lo scurcolano che volle farsi eremita


Pochi sanno che a Scurcola, tra la seconda parte del '700 e i primi dell'800, vivesse un eremita. Le notizie circa la sua esistenza, come immaginabile, sono pochissime. Ciò che è certo è che si chiamava Gioacchino Bontempi ma, nonostante il cognome, la sua discendenza non è riconducibile alla famosa e prestigiosa famiglia Bontempi che, fin dal XV secolo, aveva scelto Scurcola come luogo di residenza per amministrare e gestire vaste proprietà in nome e per conto della potente famiglia Colonna di Roma. Gioacchino, come dicevo, non discende direttamente dai Bontempi che conosciamo anche se ha il loro stesso cognome. 

Grazie ai noti report redatti da Enzo Colucci (da me utilizzati di recente per descrivere la terribile epidemia di colera che colpì Scurcola nel 1854-1855) ho potuto recuperare qualche piccola informazione sul nostro eremita. Gioacchino era nato a Scurcola nel 1744, figlio di Paolantonio Bontempi e Gesualda Di Pietro. Di lui sappiamo anche che morì il 7 gennaio del 1827 alla rispettabilissima età, considerati i tempi, di 83 anni

Sul sito "Antenati. Gli Archivi per la Ricerca Anagrafica" del Mibact ho potuto recuperare l'atto autentico di morte di Gioacchino Bontempi. Da questo documento ufficiale, numero d'ordine 3 del Registro degli Atti di morte di Scurcola relativi all'anno 1827, ho potuto leggere e rinvenire alcuni dettagli interessanti. Prima di tutto, il sindaco di Scurcola, al tempo, era Francescantonio Liberati. Al cospetto del sindaco del tempo, per la circostanza, si sono presentati Pietro Paolo Frezzini, professione proprietario di anni 50, e Angelantonio Bontempi, professione lavoratore di anni 48, i quali hanno dichiarato che il giorno 7 gennaio 1827, alle ore dodici di notte, è morto "nella chiesa sotto il nome della Vittoria, stante in qualità d'eremita Gioacchino Bontempi di ottantatré anni nato a Scurcola di professione eremita domiciliato in Scurcola". 

La targa che riporta il nome di re Ferdinando II

Gioacchino Bontempi, dunque, aveva scelto di vivere, in completo ritiro, in un piccolo ambiente contiguo alla Chiesa della Madonna della Vittoria, posto sopra l'attuale spazio adibito a sacrestia. Come detto, l'eremita scurcolano visse fino al gennaio del 1827 e va specificato che, nel periodo in cui professava vita eremitica, probabilmente senza aver mai preso i voti, la Chiesa in questione aveva un aspetto e una struttura diversi da come li vediamo e conosciamo oggi. Bisogna rammentare che l'edificio dedicato alla Madonna della Vittoria subì interventi radicali e mutamenti sostanziali terminati nel 1849 grazie all'intervento di re Ferdinando II, come ricorda una targa visibile nei pressi dell'ingresso laterale della Chiesa.



* A inizio post un quadro di Jan Brueghel il Vecchio.

sabato 21 marzo 2020

Epidemie d'altri tempi: il colera che colpì Scurcola nel 1854-1855


Nel corso dei secoli, grazie ai progressi della medicina e al miglioramento delle condizioni igieniche e sanitarie, abbiamo acquisito una notevole sicurezza rispetto ai pericoli rappresentati da contagi ed epidemie. Oggi il Coronavirus sembra averci ricondotto con prepotenza a condizioni di vita che nessuno di noi viventi, prima d'ora, è mai stato costretto a sopportare. Eppure la storia più recente, quella dell'800 e del '900, ci racconta di pericolose epidemie che hanno colpito il mondo intero in tempi ben più complicati di quelli odierni. Ad esempio, nel corso del XIX secolo, l'Italia e l'Europa vennero colpite da ben sei diverse ondate di colera, esattamente negli anni 1835-1837, 1849, 1854-1855, 1865-1867, 1884-1886 e 1893

Grazie all'aiuto e ai consigli di Enzo Colucci, che ha avuto la forza e la pazienza di raccogliere e indicizzare dati anagrafici e demografici fondamentali, relativi alla popolazione di Scurcola nel corso del XIX secolo, sono riuscita a mettere insieme informazioni interessanti per capire cosa avvenne nel nostro borgo durante l'epidemia di colera del 1854-1855. I dati raccolti da Enzo, che ho potuto analizzare e studiare grazie a dettagliati report da lui redatti in diversi mesi di lavoro, raccontano molto più di ciò che le aride cifre possono trasmettere. In base ai conteggi nudi e crudi, a Scurcola nel 1854 morirono per colera 11 persone mentre nel tragico anno 1855 le vittime furono ben 65. Queste cifre, che sono di per sé già abbastanza importanti, potrebbero essere inferiori a quanto avvenne in realtà poiché ci sono ottime probabilità che non tutti i deceduti per colera siano stati correttamente individuati e registrati. In sostanza tra i tanti morti conteggiati dalle autorità di Scurcola nell'anno 1855, una parte potrebbe essere morta a causa del colera ma nessuno lo ha indicato nell'atto di morte. 


Con il Grafico 1 vorrei far rilevare l'andamento dei decessi avvenuti a Scurcola nel lasso di tempo che va dal 1850 al 1860. Come si evince chiaramente, l'epidemia ha generato un elevatissimo picco di morti avvenute a partire dalla fine del 1854 e per tutto il 1855. Durante la fase più violenta ed espansiva dell'epidemia di colera, a Scurcola potevano morire anche fino a 4 o 5 persone al giorno. Ad esempio: il giorno 20 agosto 1855 sono morte, per colera, quattro persone: Palma Pasquale, contadino di 55 anni; Palma Irene, filatrice di 56 anni; Tellone Agnese, filatrice di 29 anni e Cerrone Francesco, contadino di 23 anni. Il giorno seguente, 21 agosto 1855, i morti salgono a cinque: Consalvi Domenico, contadino di 21 anni; Pompei Maria di 6 anni (ufficialmente NON per colera); Rossi Luigi Gennaro, contadino di 20 anni; Saturni Vincenzo, sarto di 63 anni e Morzilli Teresa filatrice di 73 (ufficialmente NON per colera). 


Il Grafico 2 evidenzia, mese per mese, l'andamento dei decessi nell'anno 1855. I mesi in cui il numero delle morti ufficiali per colera sono elevate sono agosto e settembre. Anche se decessi a causa del colera si registrano già a maggio, giugno e luglio 1855. Dai dati a mia disposizione, ho potuto inoltre notare che in questo drammatico periodo, c'è stato un aumento delle morti di persone molto giovani, di età compresa tra i 20 e i 40 anni. Infatti sono ben 16 i decessi avvenuti per colora in questa fascia d'età. A questi 16 si devono aggiungere altri 7 individui rientranti nella categoria 20/40 anni che i registri non dichiarano, forse in maniera poco verosimile, di essere deceduti per colera. Tra i morti per colera, inclusi in questa fascia d'età, anche il 36enne sacerdote don Giuseppe Ottaviani, deceduto il 24 settembre 1855, figlio del possidente scurcolano Domenicantonio Ottaviani e dell'avezzanese donna Francesca Orlandi.


Un altro dato inquietante che si ricava, in generale, spulciando i report dei nati e dei morti (dal 1809 al 1865) redatti da Enzo Colucci, è la spaventosa percentuale di bambini che morivano ancora prima di compiere tre anni. I numeri sono impressionanti e, proprio per questo, ho deciso di riportarli nel Grafico 3 in relazione al decennio 1850-1860. L'alta mortalità infantile è una problematica storica così grave e sconcertante che dovrò approfondire in maniera più esaustiva in un post specifico.

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Il colera si era diffuso in Italia dopo essere arrivato in Europa con una nave proveniente dall'India e salpata in Inghilterra nel 1854. Nel 1855 tutta Italia era toccata dal contagio, nessun territorio era escluso. Va anche ricordato che il colera è una malattia infettiva causata da un bacillo che vive nell’acqua, il vibrio cholerae. Per diventare mortale, il colera deve attecchire in individui fisicamente deboli o in condizioni di salute non ottimali. Un'alimentazione insufficiente o condizioni igieniche precarie causano l'espansione della malattia. Le varie epidemia di colera, quindi, nel corso dell'800, erano dovute a una organizzazione sanitaria precaria, alla povertà diffusa, all'arretratezza generalizzata in fatto di igiene personale e pubblica. 

Per questo in molti consideravano l'epidemia di colera come una punizione divina o come una strana e letale congiunzione astrale o come un avvelenamento messo a punto dal Governo. La suggestione, la superstizione, l'ignoranza e le scarse conoscenze componevano un mix esplosivo. A Scurcola, come viene spiegato a pag. 394 del volume "Scurcola Marsicana Historia", "l'abate don Luigi De Giorgio incolpò proprio i canonici di aver fatto scatenare l'orribile castigo, perché, secondo lui, avevano tolto dal baldacchino la statua della Madonna della Vittoria protettrice del paese, riponendola nella nicchia". Pura e semplice scaramanzia a cui, purtroppo, in molti credettero ciecamente scatenando reazioni rabbiose e insensate.

martedì 17 marzo 2020

Quando Mussolini passò a Scurcola e volle fare il trebbiatore


L'11 agosto del 1938 Benito Mussolini venne a visitare la Marsica. Solo un mese più tardi, davanti al Municipio in Piazza Unità d'Italia a Trieste, il Duce annuncerà la promulgazione delle Leggi razziali fasciste rivolte prevalentemente contro gli ebrei italiani. Le immagini della sua visita trionfale ad Avezzano, accolto dalla popolazione festante, sono riproposte di tanto in tanto sul web. Prima di raggiungere il capoluogo marsicano, il Duce attraversò il paese di Scurcola Marsicana. Qualcuno aveva già pensato di rendergli onore realizzando una grande scritta "DUCE" sulle pendici di Monte San Nicola. La scritta è stata immortalata nella foto che apre questo post, una foto che non conoscevo e che Costantino Oddi, che ringrazio, mi ha gentilmente permesso di riproporre qui

L'evento è stato ricordato dall'avvocato Ennio Giuseppe Colucci nel suo racconto "Ricordi paesani". Ecco cosa scrive: "io ricordo che un giorno d'estate Mussolini, passando per la via Valeria, vide nei presi del paese una trebbiatrice in azione (si sa che Mussolini era anche un trebbiatore): si fermò, si informò, si congratulò con i lavoratori e regalò 400 lire al proprietario trebbiatore, Biagio Nuccitelli, che era invece uno dei più ricchi contadini del paese!". Non è dato sapere se Colucci fosse presente ma, di certo, in quel lontano agosto del 1938, diverse persone riuscirono ad assistere alla scena e in molti furono pronti a raccontargli quanto era avvenuto nella campagna che si trova proprio all'ingresso del paese. 

Di questo particolare episodio, che vide Mussolini nelle vesti di trebbiatore, ho raccolto personalmente anche il ricordo diretto di un'altra scurcolana che preferisce mantenersi anonima. Anche lei, in quell'agosto del 1938, era nello spiazzo erboso di proprietà di Biagio, la cosiddetta "ara de Biaso". La nostra testimone era un'adolescente al tempo e ricorda che proprio mentre suo padre e altri scurcolani stavano "tritando" le fascine di grano, si sono trovati di fronte il Duce in persona. Mussolini è arrivato all'improvviso, racconta la scurcolana, sopra un sidecar guidato da un suo collaboratore. Ha chiesto di poter salire sulla macchina tritatrice e ha fatto finta di infilare un "manoppio" [1] di grano all'imbocco del macchinario, giusto il tempo di mettersi in posa e farsi fare una foto. Subito dopo è risalito sul sidecar ed è andato verso Avezzano.

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A margine: Emilio Di Gasbarro ricorda che la grande scritta "DUCE" sul lato di Monte San Nicola, formata da molte pietre bianche, rimase in bella vista per diversi anni, almeno fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Dopodiché venne smantellata e quindi definitivamente cancellata così come molte altre tracce, iscrizioni, segni e toponimi nati sotto la dittatura fascista.

Note

[1] Manoppio: la quantità di grano che può essere contenuta tra le braccia e che si può definire anche "covone". Dalla parola "manoppio" deriverebbe il nome del paese di Manoppello, in provincia di Pescara.

venerdì 13 marzo 2020

Sant'Angelo: una chiesa fantasma di Scurcola Marsicana


Attualmente a Scurcola esistono solo quattro chiese: SS. Trinità, Madonna della Vittoria, Sant'Antonio, Sant'Egidio. Un tempo le chiese erano più numerose, poi, per via dei terremoti, dell'incuria e, forse, anche un po' per semplice inettitudine, alcune delle antiche chiese di Scurcola sono andate definitivamente perdute. Una di queste è la Chiesa di Sant'Angelo che possiamo serenamente definire una "chiesa fantasma" poiché di questo edificio sacro non ci resta nulla. Lì dove un tempo si trovava la Chiesa di Sant'Angelo, ossia alla fine di via Oberdan, oggi c'è solo uno slargo in cui è possibile parcheggiare l'auto o fare manovra

Della vecchia chiesa scomparsa, comunque, esistono tracce documentali che ne attestano l'esistenza e la rilevanza. Sfortunatamente non sappiamo come era strutturata né chi l'abbia edificata. Leggendo i testi dedicati a Scurcola pubblicati qualche tempo fa, "Historia" e "Monumenta", è possibile ricavare alcune importanti informazioni, soprattutto dalle pagine curate dallo storico Giuseppe Grossi. Prima di tutto si può rintracciare la Chiesa di Sant'Angelo in una Bolla di papa Clemente III del 2 giugno 1188 in cui si ritrova il nome delle chiese di "Sancti Thomae, Sancti Angeli, Sancti Aegidi" ossia San Tommaso, Sant'Angelo e Sant'Egidio: tre delle chiese più antiche di Scurcola. 


La chiesa di Sant'Angelo, spiega il professor Grossi, era appoggiata alle mura di quella che viene indicata come la seconda recinzione di un ampliamento del centro storico, avvenuta in epoca medievale. Dell'edificio sacro "rimane il solo ingombro planimetrico sulla piazzetta omonima con escrescenze rocciose a segnalare il suo legame longobardo con le caverne e rupi rocciose" [1]. Tra le testimonianze relative alla Chiesa di Sant'Angelo di Scurcola, vale la pena recuperare anche quella, brevissima ed essenziale, di Andrea Di Pietro [2]: "Avea pure la Chiesa di S. Angelo edificata nel recinto del Castello…". Tornando a Giuseppe Grossi, è sempre dai suoi scritti [3] che si rilevano altri dettagli relativi alla Chiesa di Sant'Angelo: "probabilmente eretta in età longobarda nel corso dell'VIII secolo, sopra il posto di guardia della Valeria su un balzo o riparo roccioso della base del Monte San Nicola". Nei secoli XIV, XV e XVI della Chiesa di Sant'Angelo si fa più volte menzione nei documenti diocesani in merito alla rendita che garantiva. Inoltre risulta che essa sia stata visitata nel 1563 dal Vescovo del tempo, Giambattista Milanese. Pochi anni più tardi, nel 1585, il Vescovo Matteo Colli unì la rendita di Sant'Angelo con quella della neonata collegiata della SS. Trinità. 

Piazzetta di Sant'Angelo nel bordo di Scurcola

È vero: della Chiesa di Sant'Angelo, purtroppo, non ci rimane nulla, a parte il piazzale che un tempo occupava. Non è chiaro quando l'antico edificio cattolico di epoca longobarda venne abbattuto, e quindi definitivamente cancellato dal nostro centro storico, però credo che possa essere utile e interessante porre almeno un cartello nella "piazzetta di Sant'Angelo", come molti continuano a chiamarla, che ne ricordi e ne celebri l'esistenza e la storia.

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Integrazione

Dopo aver letto questo post, Aulo Colucci mi ha contattata per farmi rilevare che don Antonio Rosa, il sacerdote musicista scurcolano che molti ricordano, ha lasciato un suo personale e fondamentale ricordo dell'ormai perduta Chiesa di Sant'Angelo. Lo propongo così come è giunto a me attraverso Aulo:
"Nel 1929, avevo 9 anni, dalla casa in via Porta romana, siamo andati ad abitare in Via della Scuola 28. Con i ragazzi spesso andavo a giuocare dentro la Chiesa di S. Angelo. Allora esisteva un muro, alto forse tre metri o poco più, che andava dalla casa di Minicuccio il falegname alla stalla ancora esistente. Ricordo bene almeno un vano di porta che aveva ancora gli stipiti di pietra con l'arcosolio a tutto sesto. All’epoca era in piedi anche un altare (la sola struttura in muratura) sul quale noi ragazzi salivamo per divertirci. Era appoggiato sulla metà del muro perimetrale. Eccetto questo muro e quel simulacro di altare non v'era altro. Mi pare che sulla parete della casa del falegname v' era una nicchia. Ma non ricordo altro. Don Antonio Rosa 20 agosto 2002".

Note 

[1] Giuseppe Grossi, "Scurcola Marsicana. Monumenta", DVG Studio, Avezzano, 2006, pag. 96. 
[2] Andrea Di Pietro, "Agglomerazioni delle popolazioni attuali della Diocesi dei Marsi", Tipografia Marsicana di V. Magagnini, 1869, p. 208. 
[3] AA.VV., "Scurcola Marsicana. Historia", DVG Studio, Avezzano, 2005, pag. 120.

martedì 10 marzo 2020

Coronavirus a Scurcola Marsicana. Istruzioni per non dimenticare troppo in fretta


In maniera forse inaspettata anche Scurcola è stata toccata, seppur in maniera alquanto marginale, dal tristemente noto virus Covid 19. Nella serata del 9 marzo 2020 la sindaca Maria Olimpia Morgante ha annunciato che un cittadino di Scurcola Marsicana è risultato positivo al test del Coronavirus. Nell'arco di pochissimo tempo, probabilmente subissata da chiamate e richieste di spiegazione da parte degli scurcolani, legittimamente spaventati, la sindaca ha provveduto a specificare che la persona infettata non ha avuto alcun contatto con la gente del nostro paese. La sua famiglia si trova in quarantena ed è costantemente vigilata. Qualcuno, poi, mi ha spiegato che si tratta di un individuo che abita a Scurcola ma non è scurcolano e, anche per questo, forse, non frequenta il nostro paese e i suoi abitanti

La situazione, come sappiamo, da ieri sera è mutata per tutti. Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in conferenza stampa, ha annunciato che dalla mattina del 10 marzo 2020, tutta l'Italia va considerata "zona rossa". Per un paese piccolo e impaurito come Scurcola, significa restringere ancora di più gli spazi lasciati al contatto sociale. Alle persone si raccomanda di non uscire di casa, di non frequentare luoghi in cui ci siano tante persone, di mantenere la distanza di sicurezza di almeno un metro, di non muoversi se non per ragioni urgenti e necessarie, di chiamare il proprio medico in presenza di febbre e altri sintomi influenzali, di non recarsi al pronto soccorso. 

Situazione assurda, difficile, amara, incredibile ma è solo il presente. Tra un anno, forse, saremo qui a ricordare questi giorni tirando un forte sospiro di sollievo. Tra un anno, forse, saremo tutti vaccinati e protetti. Tra un anno, forse, sorrideremo nel rammentare i giorni in cui le autorità ci hanno costretto a rimanere in casa per evitare pericolosi picchi di contagio. Tra due o tre anni sarà ancora meglio, ovviamente. Poi di anni ne passeranno cinque, dieci e anche di più. L'angoscia sarà sfumata, l'ansia sarà persa, i ricordi andranno a indebolirsi. Eppure credo che dovremmo imparare anche da questa straniante e difficile esperienza. Dovremmo imparare che la paura e l'impotenza ci fanno tutti uguali senza distinzioni di sesso, di etnia, di religione, di lingua. Dovremmo imparare che, nonostante tutto, siamo e rimaniamo creature fragili e che, più di tutto, le nostre esistenze vengono illuminate e salvate dall'affetto, dal rispetto, dalla sicurezza e dalla vicinanza che riceviamo e che sappiamo offrire a chi ne ha bisogno

Tra un anno, due, cinque, dieci e anche oltre, dovremmo ricordare che un virus invisibile ed etereo ha mandato in tilt la nostra vita nell'arco di pochi giorni. Non dobbiamo dimenticare il Coronavirus né i disagi, né il panico, né l'inadeguatezza, né lo sbigottimento che ha generato. Non dobbiamo dimenticare quanto siamo indifesi e deboli in questo momento. In fondo, oltre al male, il temibile Covid 19, nella sua spietata e cieca diffusione, sta impartendo insegnamenti profondamente umani. Ci sta facendo tornare, forse, a una dimensione umana più autentica ed essenziale smorzando le spavalderie degli arroganti, cauterizzando la rabbia di chi sputa veleno a prescindere e ridimensionando la forza di chi pensava di essere invincibile o intoccabile e non lo è affatto. Dobbiamo cercare di memorizzare adesso ogni sensazione per non rinnegarla o insabbiarla, per vigliaccheria o superficialità, quando tutto sarà passato. Dobbiamo memorizzare tutto per mantenerci umili e uniti come adesso.

Nel mio piccolo, da questo blog, voglio augurare a tutti di tornare a una situazione di normalità in tempi ragionevoli. Nel frattempo: calma, pazienza e buon senso.

lunedì 9 marzo 2020

Quello strano pino marittimo sul Colle dei Cappuccini


Per gli scurcolani salire ai "Cappuccini" è un'abitudine che si impara fin da bambini. Salire ai "Cappuccini" significa procedere lungo una strada che attraversa vigne e terreni ma, soprattutto, significa raggiungere la Quercia di Donato e superarla. La zona denominata "Cappuccini" fa riferimento a un'area che, a partire dal 1590, venne destinata ad accogliere un Convento di Frati Cappuccini che non esiste più. Della presenza dei francescani a Scurcola parlerò in altra sede, adesso vorrei dedicarmi a un albero molto particolare.

Casale ex foresteria dei Cappuccini di Scurcola

Sto parlando dell'imponente pino marittimo che si trova alle spalle di un antico edificio che, probabilmente, veniva usato a suo tempo dai Frati come foresteria, ossia come luogo destinato all'alloggio temporaneo di ospiti di passaggio e "forestieri". Per anni lo abbiamo chiamato "Casale Colucci", da qualche anno però il proprietario è cambiato. Nonostante il passare del tempo e il susseguirsi delle generazioni, quel pino marittimo, la cui presenza è così inusuale per i nostri territori, è rimasto lì dove venne collocato a suo tempo. Una pianta imponente, austera e, almeno a Scurcola, piuttosto inaspettata considerando le condizioni climatiche e l'altitudine dei luoghi.

Il campo in cui si trova il pino marittimo (foto 2012)

La sua esistenza mi ha sempre incuriosito. Negli anni passati ho girato spesso attorno al campo in cui si trova e ho sempre ammirato quel gigantesco pino solitario e anomalo che non ha niente in comune con gli alberi che lo circondano. Ho cercato qualche spiegazione finché Dario Colucci mi ha raccontato la sua storia. Quel pino venne piantato da sua madre, Maria Cerrone, attorno al 1915. Maria, che molti a Scurcola ricordano semplicemente come Marietta, essendo nata nel 1903, aveva al tempo 12 anni. Dario mi ha spiegato che, in realtà, i pini marittimi che Marietta mise a dimora erano due. Purtroppo il secondo venne abbattuto dalle intemperie o dagli uomini ed è ormai perso.

La chioma del pino marittimo

Il maestoso pino marittimo che si trova ai Cappuccini, dunque, è stato piantato da una bambina scurcolana più di un secolo fa. Non sappiamo dove Maria abbia preso la pianticina. È probabile che l’avesse avuta da suo zio Giuseppe Nuccetelli che, forse, l’aveva a sua volta ricevuta in regalo o come compenso per qualche sua prestazione lavorativa (era uno dei migliori scalpellini di Scurcola). Non è possibile recuperare ogni dettaglio di questa vicenda, ciò che conta è che quel pino marittimo, per quanto ne so l'unico presente a Scurcola, ha una sua storia ed è una storia che dura dal 1915.

venerdì 6 marzo 2020

A Scurcola c'è uno degli organi a canne più antichi della Marsica


Tra gli oggetti più preziosi e raffinati presenti a Scurcola Marsicana c'è un piccolo organo che risale al '600. Stiamo parlando dello strumento che si trova nella cantoria collocata sulla porta di ingresso della piccola Chiesa dell'Immacolata Concezione, edificata proprio accanto alla Chiesa della SS. Trinità. Il piccolo edificio sacro risale alla prima parte del '600 ma venne ultimato solo nei primi anni del '700.

Chiesa dell'Immacolata Concezione di Scurcola Marsicana

Uno dei dati più interessanti inerenti all'organo a canne della Concezione, come solitamente chiamiamo questa chiesa, è rappresentato dal fatto che lo strumento è stato attribuito dagli addetti ai lavori, e con poco margine d'errore, a Francesco I D'Onofrio, capostipite della famiglia di organari provenienti dal paese di Caccavone, attualmente denominato Poggio Sannita, in provincia di Isernia. Francesco D'Onofrio è vissuto, per l'appunto, nel XVII secolo. Le notizie intorno alla famiglia D'Onofrio non sono moltissime ma è noto che tra il '600 e '700 i suoi membri erano già famosi come eccellenti realizzatori di organi a canne. Francesco I D'Onofrio viene ricordato come uno degli esponenti più illustri della famiglia e a lui è attribuibile una ristretta serie di strumenti, tra cui quello presente a Scurcola.

Le pessime condizioni in cui era l'organo
(foto tratta da Scurcola Domani)

Nella relazione di Andrea e Barbara Pinchi (ditta Ars Organi di Foligno) sui lavori di restauro dell'organo, terminati nel 2006, si legge: "si tratta di uno dei pochi strumenti superstiti attribuibile a Francesco I D'Onofrio". Un immenso onore, dunque, per Scurcola Marsicana e per i suoi cittadini poter vantare, all'interno della Chiesa dell'Immacolata Concezione, la presenza di uno strumento tanto antico, raro e pregiato, assolutamente unico nel panorama marsicano. Le attività di restauro, iniziate esattamente il 12 dicembre del 2004, misero in evidenza uno stato di estremo degrado in cui versava l'antico organo. Oltre agli elementi meccanici dell'organo, venne restaurata, ad opera della ditta Mercuri & Malarico di Roma, e rimessa a nuovo anche la cassa in legno di pioppo che accoglie lo strumento.

Relazione del restauro dell'organo (2006)

Insomma: siamo al cospetto di un piccolo gioiello d'arte musicale del XVII secolo che dovremmo tutti conoscere, apprezzare e amare. Con la speranza, mia e di molti, che venga suonato e utilizzato un po' più spesso.

martedì 3 marzo 2020

La Torre che NON è dell'Orologio


Tra i primi post che ho scritto su questo blog c'è quello in cui ho raccontato della perduta "Torre dell'Orologio" di Scurcola. Ho descritto la sua posizione, la sua fondamentale funzione e, soprattutto, ho spiegato che, con il terremoto del 1915, quella torre, come molti altri edifici del centro storico di Scurcola, è stata irrimediabilmente danneggiata tanto che fu deciso di abbatterla. In quella circostanza avevo pubblicato anche la vecchia fotografia che apre questo post, quella in cui si vedono alcuni militari sulla sommità della torre semidistrutta. Poco dopo la messa online di quella immagine ho ricevuto un messaggio da Angela Di Massimo, scurcolana doc, che mi avvisava saggiamente che la torre immortalata in quello storico scatto NON era la famosa "Torre dell'Orologio", per cui ho provveduto a rimuovere la foto in questione da quel post.

La torre come appare oggi

È trascorso un po' di tempo e ho pensato di tornare sull'argomento per fare finalmente chiarezza: Angela ha perfettamente ragione. In diverse circostanze, compreso il libro "Scurcola Marsicana Monumenta", la torre presente nella foto post-terremoto è stata designata come la Torre dell'Orologio ma, in realtà, la torre in questione NON è affatto la Torre dell'Orologio. Si tratta, come mi ha fatto correttamente rilevare Angela Di Massimo, di una torre che si può vedere ancora oggi lungo via Trento e Trieste, nel borgo antico di Scurcola.

La torre nel 1904 e la torre adesso: stesso edificio

Per far rilevare la veridicità di quanto vado affermando, ho pensato di porre, una accanto all'altra, due foto: quella storica in cui si vede la torre lesionata dopo la scossa del 1904 e la torre così come appare oggi. È evidente che si tratta della stessa costruzione: stessa collocazione, stesse dimensioni, stesse finestre. Ovviamente la parte superiore della torre, attualmente, non esiste più ma per il resto non mi sembra ci siano dubbi. Una torre ad "U", come ce ne erano diverse lungo le antiche mura medievali di Scurcola. Una torre di cui ci resta una bella testimonianza. Una torre che, ribadisco, NON è affatto la "Torre dell'Orologio" come spesso è stata erroneamente indicata. Ringrazio Angela Di Massimo per avermi fatto notare questo interessante dettaglio.