venerdì 28 febbraio 2020

Lungo l'antica via Valeria oggi Corso Vittorio Emanuele III


Corso Vittorio Emanuele III, a Scurcola Marsicana, è intitolato, evidentemente, a quello che possiamo considerare l'ultimo re d'Italia. Da molto tempo rappresenta il percorso più importante della parte pianeggiante del borgo di Scurcola. La pavimentazione, costituita da lastre calcaree, risale "solo" al 1813. Al tempo Vittorio Emanuele III non era nemmeno nato e quel tratto viario era denominato semplicemente "Carriera", probabilmente perché era sufficientemente ampia da garantire il passaggio dei carri. Fulvio D'Amore, in "Scurcola Marsicana Historia", dedica alcune righe a questa importante novità per il paese di Scurcola degli inizi dell'800.

Il selciato di Corso Vittorio Emanuele III

La data precisa dell'atto comunale che predispone la realizzazione della nuova pavimentazione selciata è il 29 aprile 1813. I deputati ai lavori, secondo gli atti conservati presso l'Archivio di Stato di L'Aquila, furono il Dottor Fisico Antonio Fallocco e Luigi Pompei. Così si legge nei documenti: "La strada fatta di nuovo, che comincia dalla Porta di S. Antonio, e termina a quella di S. Egidio di lunghezza di canne cento, e dieci, di larghezza di canne due…". La "canna" è un'unità di misura che corrisponde a 2,645 metri. Questo sta a significare che il percorso della "Carriera" è lungo circa 265 metri e largo 5 metri e 30

Tre punti del percorso lastricato

Come viene spiegato anche dal professor Giuseppe Grossi nel volume "Scurcola Marsicana Monumenta", la strada di cui parliamo si inseriva esattamente sull'antico tracciato della via Valeria. Alle estremità si trovavano le due antiche porte del borgo realizzate nel corso del XVI secolo, durante la quarta fase di espansione del paese. Grossi individua porta Sant'Antonio o dell'Ospedale che "si apriva a sud-ovest verso la Valeria in direzione dell'Ospedale e del nuovo convento francescano di S. Antonio eretto nel 1518" mentre l'altro ingresso, quello rappresentato da Porta Sant'Egidio, era collocato "sul versante nord-est in direzione della omonima chiesa". 

Pietre danneggiate (nei pressi di Piazza Umberto I)

Ovviamente le due porte, quella di Sant'Antonio e quella di Sant'Egidio, risalgono al Cinquecento. Nel 1813, quando la strada venne rimessa a nuovo dal Comune, guidato dal sindaco del tempo Filippo D'Amore Pompei (morto l'11 febbraio del 1837), delle due porte non vi era più alcuna traccia. Il lastricato della "Carriera", oggi Corso Vittorio Emanuele III, esiste quindi da più di duecento anni. Ha subito, nel tempo, lavori di sistemazione e recupero che hanno comportato un'opera paziente e attenta. Nel percorrerlo adesso, in alcuni punti, si nota il danneggiamento abbastanza grave di alcune delle lastre che lo compongono. Probabilmente è giunto il momento di sostituire qualche pietra, anche per la sicurezza di chi si trovasse a camminare su questa antica e affascinante strada del borgo di Scurcola Marsicana.

martedì 25 febbraio 2020

Quando il gallo diventava cappone


Potrei sottotitolare questo post in vari modi: “una foto, una storia” oppure “i mestieri di una volta” oppure “immagine di scurcolani con pollame” oppure, semplicemente, “come eravamo”. Ognuna di queste potenziali proposte potrebbe essere valida perché siamo al cospetto di una foto scattata intorno al 1950, perché racconta un mestiere che credo che oggi nessuno a Scurcola sappia più fare, perché tutte le persone immortalate sono scurcolane e perché, a quei tempi, eravamo esattamente così. La donna più anziana al centro della fotografia si chiamava Anatolia Falcone, sposata De Amicis e, come si intuisce, è lei che si occupava di castrare i galli tramutandoli in capponi. Un’operazione che Anatolia compiva in pochi minuti, tanto bastava a cambiare per sempre il destino dei giovani galli che si ritrovavano tramutati repentinamente in bestiole da mettere all'ingrasso.

La castrazione degli animali domestici è una pratica antichissima che a Scurcola, come in tutti i piccoli paesi, si praticava abitualmente. Una volta castrato, il gallo era destinato a ingrassare e a far divenire le sue carni più pregiate. Una pratica cruenta e dolorosa per il gallo, si capisce. Anatolia interveniva con il taglio repentino dei testicoli, della cresta e dei barbigli, che finivano cucinati da lì a poco. A fermare il sangue bastavano poche piume leggere perdute durante l’operazione da apporre sulle ferite e amen. Ovviamente, di tanto in tanto, c’era qualche neo-cappone che moriva, ma era un rischio calcolato.

Ecco, dunque, la storia dei galli che, tra le mani di Anatolia, diventavano capponi. Una foto, una storia, per l’appunto. Una foto e una storia che ho potuto scrivere grazie a Enzo Colucci che ha condiviso l'immagine e le sue memorie.

venerdì 21 febbraio 2020

Che fine ha fatto l'insegna che si trovava sulla porta della Chiesa della SS. Trinità?


Curare questo blog da parte mia implica spesso la visione e la conoscenza di numerose immagini del passato. Alcune sono note, altre un po' meno. Mi capita di soffermarmi spesso nell'osservazione di vecchie fotografie di Scurcola, anche quando lo ho viste decine di volte. Di recente mi sono trovata a rilevare una importante differenza tra gli scatti che ritraggono la facciata della Chiesa della SS. Trinità di Scurcola, quella stessa differenza che faccio rilevare nell'immagine che apre questo post. La domanda, come si suol dire, viene spontanea: che fine ha fatto l'insegna che si trovava sul timpano della porta della Chiesa della SS. Trinità? 

La facciata della Chiesa nel 1939 con l'insegna

A quanto pare, è stata rimossa per consentire i lavori di restauro e ripulitura della facciata diversi anni fa ma poi non è mai stata ricollocata al suo posto. Non si sa con esattezza quando quell'insegna sia stata sistemata lì dove si trovava, ciò che è certo è che ormai manca da diversi anni. Gli scurcolani lo avevano notato? Nessuno si è reso conto che in cima all'ingresso non ci fosse più? Che strano.

Il testo dell'insegna scomparsa

Grazie ad un'immagine piuttosto nitida risalente agli anni '60 che ho reperito online, sono riuscita anche a leggere e capire cosa ci fosse scritto su quella antica lamina. Nonostante la ruggine e qualche escoriazione, si può comunque distinguere: "SACROSANCTA LATERANENSIS ECCLESIA OMNIUM URBIS ET ORBIS ECCLESIARUM MATER ET CAPUT". Il testo è inserito all'interno dell'emblema araldico dello Stato della Città del Vaticano, la cui descrizione ufficiale è: «Chiavi decussate sormontate dal triregno in campo rosso». Per essere più chiari, le chiavi rappresentano il legato che Gesù Cristo ha lasciato a San Pietro (la custodia delle chiavi del Regno) e quindi alla cristianità; il triregno, chiamato anche tiara, è il copricapo del Papa e rappresenta la triplice Chiesa (militante, sofferente, trionfante).

Iscrizione sulla facciata di S. Giovanni in Laterano

Un dettaglio molto curioso è il fatto che un'iscrizione identica, incisa su pietra, si trovi sulla facciata della Basilica di San Giovanni in Laterano. Essa sta a significare: "SANTISSIMA CHIESA LATERANENSE MADRE E CAPO DI TUTTE LE CHIESE NELL'URBE E NEL MONDO". La Basilica di San Giovanni in Laterano è stata costruita prima di quella di San Pietro e mantiene da secoli il primato di "capo di tutte le chiese nell'urbe e nel mondo". Fin qui tutto bene, ma rimangono alcune domande: cosa ci faceva un'iscrizione del genere, con un significato tanto speciale, sopra all'ingresso della Chiesa della SS. Trinità di Scurcola Marsicana? Quando è stata installata? Da chi? E, infine: non sarebbe il caso che chi l'ha rimossa e, speriamo la custodisca ancora, facesse in modo di ricollocarla esattamente dove si trovava? Vale forse rammentare che ogni chiesa di Scurcola e del mondo appartiene al popolo e a nessun altro.

martedì 18 febbraio 2020

Il devastante terremoto del 1904 a Scurcola Marsicana


I primi mesi dell'anno 1904, a quanto raccontano le cronache, furono particolarmente freddi e nevosi. Nel pomeriggio del 24 febbraio 1904, alle ore 16.53, una forte scossa di terremoto, della durata stimata di 11 secondi, colpì una vasta area della Marsica settentrionale. Secondo i dati raccolti nell'archivio dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, INGV, i centri più danneggiati furono Rosciolo dei Marsi, Magliano de' Marsi, Scurcola Marsicana, Cappelle, Sorbo, Poggio Filippo, San Donato, Gallo e Scanzano, tutti ubicati fra 700 e 1.050 metri di altitudine e sparsi su una superficie di circa 140 kmq. La scossa causò danni importanti a numerose costruzioni: molte case crollarono o dovettero essere demolite. I crolli furono causati soprattutto dalle cattive le condizioni statiche degli edifici; lo stato di fatiscenza del patrimonio edilizio era dovuto sia a vecchiaia, sia a scadenti tecniche costruttive [1]

Militari tra le case sopra via Corradino

La scossa del pomeriggio del 24 febbraio 1904 venne classificata come del IX grado della scala Mercalli (magnitudo 5.7) ed ebbe come epicentro il paese di Rosciolo. La sua potenza devastatrice venne avvertita nella provincia de L'Aquila, di Frosinone, di Perugia, di Rieti, di Urbino e di Caserta. A Scurcola il terremoto del 1904 causò svariati crolli e generò, paradossalmente, più danni rispetto a quelli che verranno causati dal terremoto di Avezzano del 13 gennaio 1915. Altrettanto incredibilmente, il terremoto del febbraio 1904 non causò vittime in nessuno dei paesi colpiti. Alla scossa più devastante, fece seguito uno sciame sismico piuttosto importante che si protrasse nei cinque mesi successivi con scosse anche molto forti.

Edificio lesionato in via A. Diaz

Sempre secondo le informazioni raccolte dall'INGV, a Scurcola i 2/3 delle abitazioni fu danneggiato, oltre un centinaio di case risultò inagibile. La scossa principale fu seguita nelle successive ventiquattro ore da otto repliche che causarono nuove fenditure nelle case, tremolio di oggetti, porte e vetrate [2]. Da un giornale dell'epoca leggiamo: "Intanto la neve viene giù a larghe falde, il freddo è intenso, e la popolazione terrorizzata accampa in aperta campagna" [3]. La popolazione che viveva nei centri più danneggiati, tra cui anche Scurcola, fu costretta a trovare riparo in campagna o in ricoveri improvvisati. Complessivamente si calcolò che più di 8000 persone rimasero senza casa in tutta l'area marsicana colpita.

Casa puntellata in Piazza del Mercato

Del tragico terremoto del 1904 ci sono pervenute alcune fotografie, scattate presumibilmente dai soldati che furono inviati nella Marsica per le operazioni di soccorso, le quali raccontano una fase successiva alla tremenda scossa, ossia quella della messa in sicurezza e del puntellamento di svariati edifici di Scurcola. I centri più danneggiati furono comunque quelli di Rosciolo e di Magliano de' Marsi. A pochi giorni dalla scossa più forte, venne istituito un Comitato di soccorso, "presieduto dal sindaco di Magliano, Sig. Scipioni, che lavora alacremente per raccogliere le oblazioni e distribuire i soccorsi: ma gli aiuti finora pervenuti sono, a dir il vero, ben misera cosa di fronte all’entità del disastro". [4]


Note 

[1] Alfonso Cavasino, "Il terremoto nella Marsica del 24 febbraio 1904", in "Bollettino della Società Sismologica Italiana", vol. 18 (1914), pp.411-48. Modena 1915. 
[2] Monti V., "Notizie sui terremoti osservati in Italia durante l'anno 1904", Regio Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica, in appendice al "Bollettino della Società Sismologica Italiana", voll. 11 (1906)-12 (1907). Modena. 
[3] Il Giornale d’Italia, 26 febbraio 1904, n. 57. Roma 1904. 
[4] Il Giornale d’Italia, 16 marzo 1904, n. 76. Roma 1904.

sabato 15 febbraio 2020

La scurcolana che fece da modella per gli affreschi di Palazzo Vetoli


Della straordinaria bellezza di Palazzo Vetoli ho già scritto in precedenza quando, in occasione della Giornata Nazionale dei Borghi Autentici 2019, il prestigioso e signorile palazzo storico di Scurcola Marsicana è stato riaperto al pubblico dopo circa quaranta anni. I visitatori sono rimasti sorpresi e ammirati soprattutto dal bellissimo salone da ballo che ha mantenuto immutato il suo fascino liberty, la sua eleganza e l’immagine raffinata di altri tempi

Uno degli elementi che stupisce di più è, indubbiamente, il soffitto delicatamente affrescato della sala da ballo. Stiamo parlando di un’opera pittorica che decora quasi per intero la superficie superiore della grande stanza. Figure femminili leggiadre e armoniose si muovono aggraziate tra ghirlande fiorite e turbinii di nubi leggere. Fanciulle come angeli suonano tamburelli, trombe dorate e sonagli. Le vesti svolazzanti si confondono con le ali di piccoli putti e l’intera scena richiama temi classici dell’art nouveau, tipica dei primi del ‘900.

Un angolo del salone di Palazzo Vetoli

Ma chi ha realizzato gli affreschi di Palazzo Vetoli? Chi fu la modella a cui l’artista si ispirò? La risposta ci arriva dalle memorie di Ennio Giuseppe Colucci, pubblicate all'interno della raccolta “Questa Marsica”, curata da Romolo Liberale e pubblicata nel 1981. La modella era una ragazza di Scurcola che si chiamava Ascenza e, a quanto scrive l’avvocato Colucci, “era la più bella donna della Marsica”. Ascenza aveva altre due sorelle ma lei superava entrambe per avvenenza e grazia. “Era un angelo, bionda, formosa, eterea…” scrive l’autore. 

Una giovane estremamente affascinante che venne presa come modella per raffigurare le graziose e volteggianti figure che adornano il soffitto dipinto di Palazzo Vetoli. Colucci spiega anche che Ascenza fu notata e scelta come modella anche dal pittore Francesco Giustiniani di Roma, colui che nel 1903 realizzò la decorazione pittorica della volta e delle pareti sovrastanti le arcate della Chiesa della SS. Trinità di Scurcola Marsicana.

Affresco del soffitto di Palazzo Vetoli

Ennio Colucci ci fornisce anche un'altra interessante informazione rispetto agli elementi decorativi di Palazzo Vetoli. Egli scrive che furono opera di pittori e scultori provenienti da Anticoli Corrado. Stiamo parlando di un piccolo borgo che si trova in provincia di Roma famoso, fin dall’800, come il paese degli artisti e delle modelle. Secondo un censimento dell’epoca, nel 1935 ad Anticoli Corrado vivevano ben 55 artisti. Il legame tra Anticoli Corrado e la famiglia Vetoli è piuttosto stretto. 

I Vetoli, infatti, oltre a svariati terreni, in questo piccolo borgo laziale, possedevano anche un castello che nei primi del ‘900, ormai semi-abbandonato, venne acquistato dall’artista Pietro Gaudenzi, padre del pittore Enrico Gaudenzi. Fu proprio quest'ultimo, nel 1939, a creare, nelle stanze del Castello Vetoli di Anticoli Corrado, la libera scuola di disegno. Ma il legame tra il Palazzo Vetoli di Scurcola Marsicana e gli artisti di Anticoli Corrado non si esaurisce qui. Esiste, infatti, una connessione tra le imponenti statue della scalinata Vetoli e un famoso scultore che visse e operò ad Anticoli. Ma di questa storia scriverò più in là.

mercoledì 12 febbraio 2020

La spettacolare scalinata barocca della Chiesa della SS. Trinità di Scurcola Marsicana


Probabilmente nessuno scurcolano ci fa caso né, forse, si rende conto del valore architettonico e artistico della bella scalinata, di scuola berniniana, che orna da alcuni secoli la facciata della Chiesa della SS. Trinità, in Piazza del Mercato. Non esistono nella Marsica opere così raffinate ed eleganti, basterebbe soffermarsi qualche minuto e osservarla con attenzione per comprenderne il valore e la valenza storica. Perfettamente inserita nel contesto del vecchio borgo, la scalinata venne eretta qualche decennio più tardi rispetto alla Chiesa che venne invece costruita probabilmente a partire dal 1570, dopo l'abbattimento della precedente Chiesa di San Tommaso, e ufficialmente inaugurata da Mons. Colli nel 1585.

Iscrizione con il nome di Pietro Bontempi, anno 1631

Al centro della balaustra è possibile notare la presenza di un’iscrizione: EX PIA DISPOSITIONE PETRI BONTEMPI UTRIUSQUE JURIS DOCTORIS A.D. MDCXXXI. La scalinata è stata dunque realizzata a seguito di una “pia disposizione” di Pietro Bontempi nel 1631. Andrea Di Pietro, nel suo libro più famoso [1], scrive: “… gradinata a spese del Dottor D. Pietro Bontempi, che lasciò tale incarico ai suoi eredi...”. Prima di lui, nel 1738, anche Corsignani aveva scritto [2] qualcosa in merito a questa grandiosa opera: “La facciata esteriore è molto vaga, ma la Scala del Templo edificata con buona simmetria e con spesa, fu ordinata dal Benefattore”.

Dettaglio dei gradini della scalinata barocca

Non ci sono notizie precise su Pietro Bontempi, UTRIUSQUE JURIS DOCTORIS, dottore in diritto canonico e civile. È pacifico che egli appartenesse alla prestigiosa famiglia Bontempi che, su incarico dei Colonna, era presente a Scurcola già nella prima parte del XVI secolo. A quanto scrive Andrea Di Pietro, la scalinata venne realizzata dagli eredi di Pietro Bontempi, evidentemente dopo la sua morte. Ciò lascia supporre che il benefattore sia vissuto tra la seconda parte del ‘500 e il primo ‘600, ma di Pietro Bontempi, purtroppo, non si sa molto altro. Ci resta però il suo nome inciso per sempre sulla pietra.

Simboli del "buon tempo" legati alla Fam. Bontempi

Continuando a osservare con attenzione i dettagli della scalinata, si può notare la presenza di altri elementi decorativi che richiamano i simboli del “buon tempo”, legati ovviamente al nome Bontempi: sole, stelle, luna e meridiana. Sono disegni scolpiti nelle colonne che raccordano le balaustre e che legano indissolubilmente l’opera architettonica a chi, nel Seicento, volle farla erigere.



Note:

[1] Andrea Di Pietro, “Agglomerazioni delle popolazioni attuali della Diocesi dei Marsi”, Tipografia Marsicana di V. Magagnini, Avezzano, 1869.
[2] Pietro Antonio Corsignani, "Reggia marsicana", Parrino, Napoli, 1738.

giovedì 6 febbraio 2020

L’antico sarcofago romano rubato nelle campagne di Scurcola


A Scurcola un tempo c’era un bel sarcofago antico utilizzato, con una certa incuria e, diciamo pure, con una buona dose di ignoranza, come vasca/abbeveratoio per la raccolta dell’acqua. Si trovava lungo una movimentata strada di campagna, in quella zona di Scurcola che chiamiamo abitualmente "Colli". In questo luogo, infatti, c’era un rubinetto collocato, ragionevolmente, lungo la linea dell’acquedotto che da Castellafiume arriva fino a Scurcola. Per diversi anni quel prezioso reperto di epoca romana è rimasto, del tutto ignorato e bistrattato, tra i campi e le greggi dei Piani Palentini. Ho parlato con Enzo Colucci che, per primo, ai tempi, si rese conto del valore storico di quel vascone che vascone non era affatto. Enzo osservò con attenzione il sarcofago e si rese conto che aveva persino un’iscrizione che, evidentemente, ne definiva epoca e appartenenza.

Siamo tra la fine degli anni ‘70 e i primissimi anni ‘80. Incuriosito dall’evidente valore del reperto, Enzo chiese al professor Cesare Letta di venire a Scurcola per esaminarlo e valutarne la qualità. Letta fu abbastanza chiaro: si trattava di un blocco d’epoca romana che sicuramente arrivava da Alba Fucens. Considerando che l’iscrizione era tagliata, il prof. Letta ipotizzò che quell’oggetto, usato improvvidamente come fontanile, poteva essere la metà di un manufatto più grande. Alla luce del prezioso parere di un archeologo esperto come Cesare Letta, Enzo Colucci chiese agli amministratori del tempo di mettere in salvo l’antico sarcofago, di rimuoverlo da quella sede tanto inopportuna e conservarlo in uno spazio più adatto, all'altezza del suo valore archeologico e storico.

L'epigrafe presente sul sarcofago rubato
(foto Enzo Colucci)

Nessuno mosse un dito. Il sarcofago rimase lì dov'era ancora per qualche tempo fino al giorno in cui, guarda caso, sparì. Qualcuno, forse, aveva saputo che quella vasca era in realtà un reperto d’epoca romana e, con estrema serenità e senza gravi conseguenze, lo ha prelevato dalla stradina dei “Colli” in cui si trovava per farne ciò che voleva. Venduto? Distrutto? Portato a casa e messo in giardino? Chi può dirlo. Ciò che ci resta del sarcofago sono un paio di fotografie in bianco e nero che, al tempo, Enzo Colucci ebbe il buon senso di scattare, oltre a una denuncia presentata da Franco Farina nel 2014 al Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale di Roma per facilitarne l’immissione nella "banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti".

È trascorso molto tempo, questo è vero, ma forse scrivere qui dell’antico sarcofago e del suo sconsiderato trafugamento potrebbe servire sia a rintracciarlo (miracolosamente!) sia a spingere gli amministratori di oggi e di domani a prestare la massima considerazione nei riguardi del patrimonio storico, culturale, archeologico e intellettuale del nostro paese, affinché ciò che è avvenuto al sarcofago romano di Scurcola non succeda ancora perché non possiamo permetterci di perdere tesori di tale entità per superficialità e negligenze varie.

mercoledì 5 febbraio 2020

Fabiano Blasetti, maestro elementare di Scurcola tra '800 e '900 oltre che storico e scrittore


Sarò onesta: il nome del maestro Fabiano Blasetti non mi diceva proprio nulla. Almeno fino a quando Erminio Di Gasbarro e Dario Colucci non mi hanno parlato di lui facendomi rilevare che è stato un personaggio singolare, eclettico, caustico e particolarmente colto che ha vissuto e insegnato a Scurcola per molti anni tra la fine dell'800 e i primi del '900

Fabiano Blasetti era originario di Petrella Liri, frazione del comune di Cappadocia e, secondo quanto scrive in alcune sue memorie l'avvocato Ennio Giuseppe Colucci (Scurcola 1907 - Roma 1985), si era trasferito a Scurcola dopo aver sposato una nostra concittadina: Maria Aurora Liberati (figlia di Giuseppe Liberati e Teresa Barnaba). Il matrimonio fu celebrato il 20 Marzo 1871. Fabiano e Maria Aurora ebbero almeno due figli: Filippo e Agnese.

Di sicuro Blasetti era un insegnante elementare ma anche un poeta e scrittore dai toni sferzanti e caustici. Sempre secondo la testimonianza dell'avv. Colucci, sopra menzionato, i versi e le satire di Fabiano Blasetti "coglievano ogni occasione, ogni episodio paesano, per prendere in giro gli zotici, gli ignoranti, i presuntuosi". Il maestro Blasetti viene descritto come un liberale, un patriota e, soprattutto come un "mangiapreti". Eppure del maestro Blasetti pochi ricordano la passione per lo studio della storia. 

Realizzando una ricerca, infatti, sono riuscita a scoprire che è stato autore di alcuni interessanti saggi che voglio qui ricordare: "Vita di S. Onofrio Anacoreta, comprotettore di Paterno ne' Marsi", L'Aquila, 1887; "Vita del Sacerdote e Martire S. Cesidio Protettore di Trasacco nei Marsi presso il già Lago Fucino" Tipografia Rossetti, Roma, 1888; "La grotta di Sant'Angelo sopra il monte omonimo presso Balsorano in Valle Roveto", Salani, Firenze 1894; "Lucus Angitiae", Teramo, 1898. A lui si deve anche il sonetto "A Maria SS. della Vittoria che si venera a Scurcola de' Marsi".

Vita del Sacerdote e Martire S. Cesidio (1888)

Mi sarebbe piaciuto recuperare e condividere qui un ritratto fotografico del maestro Fabiano Blasetti ma, considerata l'epoca, temo che non ne esistano. Durante la sua attività culturale, il maestro collaborò anche con "Marsica Nuova", un giornale fondato a Pueblo, in Colorado, nel 1918 dal luchese Vincenzo Massari e creato per informare e aggiornare i migranti marsicani residenti negli Stati Uniti

Sfogliando le vecchie pagine di "Marsica Nuova" presenti online, ho rintracciato il trafiletto con cui si comunica ai lettori la morte di Fabiano Blasetti: "Il 13 corr. (si tratta del 13 febbraio 1920, ndr) in Scurcola Marsicana moriva il sig. Fabiano Blasetti, insegnante valoroso, cittadino esemplare. Fu un vero apostolo dell'educazione della gioventù alla scuola del dovere e delle virtù. Ebbe varia cultura, eccelse nella dialettica riscuotendo l'elogio più incondizionato dei suoi superiori e concittadini. Militò nelle file monarchiche, ma non gli era discara la teoria socialista, a cui effettivamente informò la sua opera altruistica. Scende nella tomba seguito dall'unanime rimpianto. Fu nostro corrispondente attivissimo e con vero dolore abbiamo appresa la sua dipartita che ci priva di uno dei nostri più affezionati collaboratori".

sabato 1 febbraio 2020

Pietra Scurcola: la sorprendente iscrizione nel centro di Roma


Siamo nel centro di Roma, a pochi passi dalla bellissima Chiesa barocca di Sant’Ignazio di Loyola. Su un lato, quasi di fronte all’imponente facciata di S. Ignazio, realizzata dallo scultore e architetto bolognese Alessandro Algardi, c’è un altro piccolo edificio sacro che, a dire il vero, quasi sfugge alla vista di chi si trovasse a percorrere le strade di quella zona di Campo Marzio. Una chiesa incastrata tra edifici più imponenti e maestosi che, però, per noi scurcolani potrebbe rappresentare un’immensa sorpresa oltre che motivo di soddisfazione e di compiacimento. Stiamo parlando della Chiesa di San Macuto, un santo e la rispettiva Chiesa che, bisogna riconoscere, dice poco a chiunque.

L'iscrizione che si trova sull'alzata di un gradino di S. Macuto

Eppure su uno dei gradini che conducono alla porta della Chiesa di San Macuto c’è una strana iscrizione che dice: PIETRA SCURCOLA. Serve un minimo di attenzione e un occhio accorto ma, come si evince dalla immagini che corredano questo post, l’epigrafe si nota con discreta evidenza. La scoperta dell’iscrizione PIETRA SCURCOLA su uno dei gradini della Chiesa di San Macuto si deve a Franco Farina che, con molta generosità e spirito di condivisione, mi ha messo al corrente del suo insolito rinvenimento. Grazie a Franco, a cui sento di esprimere la mia personale riconoscenza, sono riuscita ad avere le indicazioni sufficienti per recarmi di persona sul luogo, Piazza San Macuto, e invito chiunque si trovi a Roma a fare lo stesso.

L'ingresso della Chiesa
e la posizione dell'iscrizione

L’iscrizione si trova sul secondo gradino, esattamente sulla pietra di alzata. PIETRA SCURCOLA. Un’iscrizione che ci riporta al nostro piccolo paese, al fatto che dalla nostra cava, per diversi secoli, è stata estratta la pietra bianca che, tutt’oggi, caratterizza i portali di diversi e storici palazzi del borgo. Voglio credere, naturalmente, che la dicitura Scurcola a cui fa riferimento l’epigrafe sia proprio Scurcola Marsicana. Sono sicura che sia molto più di una suggestione e che né Franco Farina né io stiamo prendendo un abbaglio. 

Volendo parlare un po’ della Chiesa di San Macuto, essa risale addirittura al 1192. Nel tempo ha subito interventi e mutamenti. Nel 1560 la Confraternita dei Bergamaschi commissionò una nuova facciata all'architetto Giovanni Alberto de Galvani e affidò a Francesco Capriani da Volterra la ricostruzione, che terminò nel 1579. Vogliamo ipotizzare che i gradini siano stati montati in questa fase? È possibile. Per finire un breve accenno a San Macuto: si tratta di un santo vissuto nel VII secolo, nativo del meridione del Galles, consacrato primo vescovo della città di Aleth e fondatore di un monastero che divenne centro di evangelizzazione dei paesi limitrofi.